Mancano pochi giorni al referendum, fra meno di una settimana saremo chiamati ad esprimerci sulla legge elettorale. Per i cittadini le possibilità sono tre: oltre al sì e al no, il referendum prevede infatti anche l’astensione.Stefano Grassi, ordinario di Diritto costituzionale generale all’Università degli Studi di Firenze, votare è sempre un “dovere civico”?«No, non sempre. L’articolo 48 parla sì di “dovere civico”, ma il riferimento è in primo luogo alle elezioni per le assemblee rappresentative. Per i referendum è la stessa Carta costituzionale a riconoscere implicitamente il diritto all’astensione. L’elezione dei rappresentanti è un dovere funzionale alla formazione del Parlamento e degli altri organi elettivi. Per il referendum invece, i cittadini possono decidere se accettare o meno di rispondere ai quesiti proposti».L’astensione è dunque un comportamento costituzionalmente corretto?«Sì, votare ai referendum è frutto di una scelta libera. Prevedendo un quorum di partecipazione, l’art. 75 della Costituzione riconosce la non partecipazione al voto come una volontà legittimamente espressa».Astenersi è allora un diritto?«Assolutamente, l’astensione sul referendum abrogativo non è certo una vergogna. Il voto è un dovere morale: fino a poco tempo fa era prevista una sanzione per chi non partecipava alle votazioni, l’iscrizione “non ha votato” nel certificato di buona condotta; dagli anni Novanta invece, la sanzione è stata eliminata anche per le elezioni politiche.
Ma per il referendum il diritto di voto comprende il diritto di astenersi e quindi il dovere morale è solo quello di assumere una decisione sui quesiti, compresa quella di non accettare di rispondere, astenendosi, anche mediante il rifiuto della scheda.Quali sono le prerogative del referendum?«I quesiti sono posti da una minoranza a tutto il corpo elettorale che, chiamato a partecipare al procedimento legislativo, ha così la possibilità di cambiare, abrogandole, le leggi. Chi ritiene i quesiti inammissibili può evitare di esprimersi, negando così il proprio contributo al raggiungimento del quorum».Cosa si può dire del referendum del 21 giugno?«L’intento sarebbe buono, correggere un sistema elettorale che non va bene. Il problema è che le modifiche previste andrebbero ad accentuare quelli che oggi vengono riconosciuti come difetti. Personalmente poi ritengo che a legiferare su riforme così complesse come quelle elettorali debba essere il Parlamento: l’esito del referendum rischia di assumere significati contraddittori e per nulla chiari. Il tema del sistema elettorale mal sopporta la soluzione binaria di contrapposizione (sì/no) delegata alla maggioranza dei votanti. Per le riforme occorre il dialogo e la razionale ricerca di un accordo nella sede parlamentare».
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