Il discorso di Mussolini alla Camera del 3 gennaio 1925 // Il 30 maggio del 1924, Matteotti parla alla Camera: un discorso che gli costerà la morte.Non è un paragone, ma c’è una inquietante assonanza, un parallelismo tra il discorso ducesco del 16 novembre 1922 e quello in Confidustria, ieri 22 maggio, di un altro cavaliere: Silvio Berlusconi. Vogliamo ricordare qualche passaggio di quel celebre discorso con cui Mussolini, dopo la “marcia su Roma” e l’incarico di formare il governo, intimò alla Camera di “non intralciarlo”, minacciandone lo scioglimento? “Con trecentomila giovani armati di tutto punto e quasi misticamente pronti a un mio ordine (…) potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”, disse, e aggiunse: “Potevo sprangare il Parlamento, ma non ho voluto, almeno in questo momento…”. E ancora (a proposito di assonanze): “Non bisogna dimenticare che, al di fuori delle minoranze che fanno politica militante, ci sono quaranta milioni che lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono e hanno il diritto di non essere gettati nel disordine cronico, preludio sicuro della generale rovina”. E infine: “Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera; ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni”.
E vogliamo ricordare che cosa ha appena detto Berlusconi in chiave bonapartista? Che “le assemblee pletoriche sono inutili, dannose e controproducenti”: troppi veti (ambiente, costruzioni), troppe lungaggini (l’applicazione delle direttive europee), più facile dunque fare le rivoluzioni che le riforme. Il presidente del Consiglio si fa beffe dei parlamentari definiti “capponi o tacchini” non disposti a ridurre i componenti le due Camere. “Le norme vanno cambiate: il premier non ha nessun potere, tutti i poteri ce li ha il Parlamento” dove c’è gente che “vota senza capire”: il pollice in alto per dire sì, in basso per dire no, e il cavaliere mima con le dita una sorta di balletto come al circo Barnum….
LA DENUNCIA DI MATTEOTTI. A Mussolini non fu necessario “sprangare il Parlamento”: si fece una legge elettorale su misura e su misura si fece la sua Camera. Tra pochi giorni saranno passati ottantacinque anni dal giorno – il 30 maggio del 1924 – in cui la Camera fu chiamata a convalidare in blocco quasi tutti i deputati eletti il mese prima con la famigerata legge Acerbo. Davanti a Mussolini (che restò muto e immobile per tutta la seduta), il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò con forza le violenze e i brogli delle squadracce ai danni dei candidati delle opposizioni. Scorro le ingiallite pagine dei resoconti stenografici di quella drammatica seduta. Matteotti, rivolto ai fascisti: “…Contestiamo in tronco la validità delle elezioni di aprile.
La vostra lista ha ottenuto con la forza i voti necessari per far scattare il premio di maggioranza…”. Voci da destra: “Basta! La finisca! Non possiamo tollerare che ci insulti!”. Matteotti: “Avete sostenuto che le elezioni avevano un valore assai relativo perché il governo non si sentiva soggetto al responso elettorale ed era deciso a mantenere il potere anche con la forza…”. Farinacci, il ras squadrista di Cremona: “Sì, sì, è così! Noi abbiamo fatto la guerra!”. Matteotti: “Per vostra stessa conferma, dunque, nessun elettore è stato libero di decidere”. Voce da destra: “E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?”. “Potevate fare la rivoluzione!”, chiosò per scherno l’animoso Farinacci.
“SI ATTENGA ALL’ARGOMENTO!” Il presidente della Camera, Alfredo Rocco (che si farà più tardi truce nomea con il suo codice penale: ci vorranno decenni, con il ripristino della democrazia, per cancellarne le norme più vergognose) non zittì i suoi camerati ma cercò di intimidire l’oratore socialista intimandogli: “Onorevole, si attenga all’argomento!”. Matteotti: “Presidente, forse ella non m’intende: stiamo parlando di elezioni!” E riprende la denuncia: “Esiste una milizia che durante le elezioni…”. Guai a toccare gli sgherri armati di Mussolini. Si odono grida violentissime: “La milizia non si tocca! Viva la milizia fascista!”. E il solito Farinacci: “Erano i balilla!”. Matteotti: “E’ vero, onorevole Farinacci: in molti luoghi hanno votato anche i balilla”.
Di rimando, in un drammatico crescendo: “Per voi hanno votato i disertori! Imboscati!”. Matteotti: “In sei circoscrizioni su quindici le operazioni che si compiono normalmente nello studio di un notaio sono state impedite con la violenza”. Per quanto purgati, i resoconti fanno intendere che in aula c’era un putiferio: grida, insulti, battibecchi. Imperturbabile, Matteotti riprese: “A Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata…”. Ancora Farinacci: “Va a finire che faremo davvero quel che non abbiamo fatto!”. Matteotti: “A Melfi s’impedì con la violenza la raccolta delle firme…In Puglia fu bastonato persino un notaio…A Genova rubarono i fogli con le firme già raccolte…”. Da destra: “Per voi ci vuole il domicilio coatto! Andatevene in Russia!”. Il leader socialista non raccolse le continue, crescenti provocazioni e scandì: “…Presupposto essenziale di ogni libera elezione è che i candidati possano esporre pubblicamente e liberamente le loro opinioni. Ma questo non fu possibile. L’onorevole Gonzales, al quale fu impedito di tenere a Genova un comizio, convocò una conferenza privata: i fascisti invasero la sala e a bastonate impedirono all’oratore di aprire bocca…”
GRIDA SEMPRE PIU’ MINACCIOSE. Grida ancora più alte, interruzioni sempre più arroganti. Il presidente Rocco ad un tratto urlò a Matteotti: “Onorevole, sia breve e concluda!”. Ma questi, imperterrito: “…A Napoli, con il ricorso alla milizia armata, fu impedito di tenere una conferenza all’onorevole Amendola, capo dell’opposizione costituzionale…”.
“Ma che costituzionale!”, sbraitarono i deputati fascisti: “E’ un sovversivo come voi!”. Ma il caso di Amendola non è isolato, denunciò ancora Matteotti: “Su cento nostri candidati, sessanta non potevano circolare liberamente nelle loro circoscrizioni!”. “Per paura, avevano paura!”, fu la replica degli squadristi. L’anziano Filippo Turati, uno dei fondatori del Partito socialista, reagì tra il commosso e lo sdegnato: “Sì, paura! Come nella Sila quando c’erano i briganti, avevamo paura!”. Alfredo Rocco indignò ancora, capovolgendo le parti: “Onorevole Matteotti non provochi incidenti e concluda”. Replica: “Protesto! Non sono io a provocare ma gli altri che m’impediscono di parlare!”. E il presidente della Camera di rimando: “Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l’onorevole…”. Matteotti reagì: “Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare!”. Scoppiò un nuovo casino di cui Alfredo approfittò per ammonire Matteotti: “Se ella vuole parlare, continui, ma prudentemente”. E lui: “I candidati non avevano libera circolazione…. L’onorevole Piccinini fu assassinato nella sua casa, davanti a moglie e figli, per avere accettato la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato il destino suo! E i seggi elettorali? Quasi ovunque erano composti solo da fascisti. In altri luoghi furono incettati i certificati elettorali, e certuni votarono dieci, venti volte: un giovane di vent’anni votò per un vecchio di settanta!”.
Il sottosegretario e vice-capo della polizia Aldo Finzi, seduto davanti a Mussolini al banco del governo, scattò in piedi gridandogli: “Le prove! Lei deve provare quanto dice!”. E Matteotti: “Tutto documentabile. E non ho ancora parlato della provincia di Rovigo, che è la mia e anche la sua, onorevole Finzi: la vostra responsabilità è gravissima!”. Finzi: “Me ne onoro!”. Matteotti: “Noi difendiamo la libera sovranità popolare: ne rivendichiamo la dignità chiedendo l’annullamento delle elezioni inficiate dalla violenza!”.
L’INFAME AGGUATO E LA MORTE. Dieci giorni dopo, il 10 giugno 1924, Matteotti verrà rapito all’uscita di casa, a Roma, sul Lungotevere, da quattro uomini di Mussolini tra i quali Amerigo Dumini, che verrà poi difeso con successo proprio da Farinacci (che ebbe comunque direttamente le mani in pasta nel delitto e pagherà anche questo il 28 aprile del 1945, quando verrà giustiziato dai partigiani). Poco dopo il deputato socialista sarà ucciso a pugnalate e il cadavere nascosto nella macchia della Quartarella, poco lontano dalla Capitale, dove verrà ritrovato solo il 16 agosto. Poi l’Aventino dei deputati antifascisti che i comunisti interromperanno per riprendere, ancora per poco, la battaglia in Parlamento. Il 3 gennaio, al culmine di quella che è la più grave crisi del fascismo, Mussolini pronuncia alla Camera il famoso discorso in cui si assume “io, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di quanto è accaduto.
Se il fascismo è stato ed è un’associazione a delinquere, io sono a capo di questa associazione a delinquere!”. Il colpo di stato è definitivamente consumato.
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