Dopo la bufera

04 Marzo 2009

Adesso che la bufera è arrivata a travolgere insieme ai risparmi quelle che erano le certezze accantonate durante una vita di lavoro e fatica cominciamo a guardare oltre il 2009 e il 2010: come saremo dopo la tempesta? Come saremo noi singoli cittadini delle nazioni sconvolte, come saranno le nostre istituzioni, come saranno economia e finanza, il nuovo capitalismo. Come staremo, quanto a quei diritti inviolabili sanciti alla fine del settecento, esisterà ancora una società ispirata alla solidarietà, o forme di “cannibalismo” sociale e civile ci avranno reso addirittura meno “umani”, più attaccati al valore del denaro di quando pensavamo di essere ricchi e buoni?La tentazione è quella di affrontare ogni idea di futuro andando a rivedere come vissero le grandi crisi i padri del novecento e come ne uscirono: le sorprese, le scoperte e i paragoni sono di un qualche aiuto, ma certo non esauriscono il problema che si pone oggi, in un mondo così totalmente diverso, così grande, così drammaticamente in bilico fra passato e futuro, così giovane e insieme così percorso da folle di vecchi che faticano a morire come piante ormai secche ma abbarbicate a zolle indurite. Noi di Libertà e Giustizia abbiamo cominciato già da tempo a ragionare sul grande rischio di esser costretti ad affrontare la crisi economica in una situazione di tensione istituzionale e questa preoccupazione, insieme alla denuncia del degrado civile e politico che contraddistingue il nostro Paese sono alla base del manifesto “Rompiamo il silenzio” che in pochissime ore è stato sottoscritto da più di duecentomila italiani: abbiamo dato voce a un pensiero comune, che la classe dirigente soffocava, nascondeva o addirittura negava.

Non c’è niente infatti che attiri gli strali della maggioranza quanto l’affermazione che la nostra democrazia è in bilico. “Non ci può esser dialogo con chi sostiene che la democrazia è a rischio” ripete il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti. Stessa reazione stizzita quella del premier: mi dipingono come Pinochet. Ci troviamo, noi italiani, a cercare di superare lo spettro della crisi, sempre più reale e bruciante, essendo particolarmente vulnerabili per un evidente abbassamento della soglia di garanzie democratiche, per una Costituzione continuamente messa in discussione e spesso apertamente violata, per un calo di attenzione ai valori della libertà e della giustizia che riscontriamo attorno a noi. E la storia ci ricorda che in tempo di carestia è assolutamente naturale che la massa anteponga il pane alla libertà. “La sempre maggiore disperazione dei senza lavoro, provocata da periodi sempre più lunghi di disoccupazione, indebolì le forze della democrazia nella città” scrive W.S. Allen nel suo studio sulla Germania nazista. Tensione politica e nazionalismo crescente prepararono la grande resa. Oggi si parla molto di protezionismo: c’è chi apertamente lo invoca. E nello stesso tempo si sente chiedere dalla Lega sussidi per i lavoratori italiani, ma non per “gli altri”. Dove andremo di questo passo? Sapremo fermarci un momento prima di varare decreti razzisti? Nel presentare alla stampa estera il manifesto di LeG, Gustavo Zagrebelsky ha raccomandato ai giornalisti stranieri di guardare con attenzione al nostro paese: “L’Italia già altre volte è stata il luogo di un esperimento politico che poi si è diffuso”.

Come saremo, dunque, dopo la bufera? Se tra il 1928 e il 1930 Keynes poteva immaginare una società che anteponesse i fini ai mezzi, “il buono all’utile” e un capitalismo molto diverso da quello fino ad allora conosciuto anche a noi, che abbiamo il “vantaggio” di conoscere la storia, non può esser negata la speranza. A una condizione, però: che nel frattempo non si sottovalutino gli anni e i sacrifici che furono necessari per riconquistare la democrazia. Fu solo il 13 dicembre del ’45 che, nel primo consiglio dei ministri da lui presieduto, Alcide De Gasperi volle che fosse messa a verbale la sua direttiva di base: “Libertà in tutti i campi…desidero che si metta a verbale che in questa occasione si sono riconfermate la libertà di stampa, della magistratura, del lavoro e l’indipendenza della radio”.Finita la bufera, vorremmo tutti un paese più giusto, oltre che florido e sicuro. La crisi può essere dunque un’occasione, come si sente dire da voci più o meno interessate? Sarebbe come sostenere che per avere un mondo migliore si debba assolutamente passare attraverso la sofferenza dei più deboli. Le cose potrebbero alla fine anche andare così. Ma pensiamo davvero che sia il caso di rallegrarsene? Che ognuno di noi per quello che può non debba prodigarsi per rendere meno doloroso il passaggio nella bufera? Tenere saldi i valori inviolabili della Rivoluzione francese?“Alcune società” è il monito di Ralph Dahrendorf, “sono disposte a sacrificare le libertà politiche per raggiungere obiettivi economici e sociali.

In questo modo si diffonde la convinzione che il cambiamento sia possibile solo limitando la libertà… e cresce la tentazione di sospendere in qualche modo il processo democratico, governando attraverso decreti o grandi coalizioni…Stare in guardia contro il nuovo autoritarismo è importante, perché non si presenta apertamente come una dittatura. Può consistere nello svuotamento strisciante dei diritti e delle libertà civili, e non necessariamente per opera di partiti estremisti, ma anche dei dell’arco costituzionale. E probabilmente con il consenso dei cittadini”.Come saremo, dopo la bufera, dipende da noi, dalla forza delle nostre convinzioni, dall’energia con cui ribadiremo la non negoziabilità dei principi che sono alla base della nostra Costituzione. Intanto, siamo già duecentomila. E le firme continuano ad arrivare.

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