Non sono affatto sicura che i cosiddetti dirigenti del partito democratico che stanno prendendo in queste ore decisioni importanti si rendano conto fino in fondo della responsabilità che un giorno sarà loro addossata: non soltanto di aver contribuito al fallimento e poi allo sfascio del Pd, partito che doveva rappresentare il vanto dell’avvenuto rinnovamento del centro sinistra, ma, colpa assai più seria, di aver cancellato in una fase così grave, quel poco di opposizione anche se troppo debole e impacciata al governo di Berlusconi.
Non credo infatti che come ci insegnano storici e costituzionalisti che hanno condiviso il manifesto di Libertà e Giustizia “Rompiamo il silenzio”, non credo che una democrazia possa vivere senza che nel Paese e nel Parlamento che lo rappresenta vi sia una opposizione degna di questo nome. L’assenza dell’opposizione non può non provocare esiti nefasti: cresce la volontà di onnipotenza di colui o coloro che governano, produce forme pericolose di “ribellismo” o di leaderismo demagogico.
Lo sfascio del Pd sta provocando un passo ulteriore sulla via di quella deriva nemica della democrazia che Gustavo Zagrebelsky ha per primo intuito e così appassionatamente denunciato.
Il Paese non se ne rende conto? Il Paese sorride ai lazzi di quegli esponenti della maggioranza che vengono costantemente mandati in Tv a deridere chi si prova a parlare ancora di giustizia per pochi (“una legge per quattro”, dice Benigni del lodo Alfano ), di conflitto di interessi, di Parlamento esautorato, di giornalisti intimiditi dal carcere, ed editori dalle sanzioni e così via.
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