Nel paese dell’ignoranza

10 Ottobre 2008

“Questo Paese è il regno dell’ignoranza e Bush parla al cuore di questa ignoranza” dice Jamie, la protagonista dell’ultimo romanzo di Philip Roth al marito che la incoraggia a non esser tanto pessimista nelle ore in cui Bush sta vincendo per la seconda volta le elezioni. Adesso che gli americani stanno per tornare al voto e forse dalle urne emergerà, fra le macerie della più grande crisi economica e finanziaria di tutti i tempi, un altro paese, meno chiuso, meno bigotto, meno ignorante mi chiedo come mai in altre parti del mondo sia possibile che accada ciò che da noi, in Italia oggi appare un sogno simile a quelle visioni che nel deserto offrono refrigerio prima del collasso.
Comunque vadano a finire le elezioni Usa in questi mesi è emersa netta e vigorosa l’immagine di una nazione ancorata a forti valori e aperta alla società del futuro. Un paese che discute vivacemente sul fascino della ragazza della porta accanto, come a molti appare la Palin, ma che alla fine pone con Jon Meacham su “Newsweek” la domanda di fondo su cosa sia una leadership democratica: “Vogliamo leader che siano gente comune o vogliamo leader che capiscano la gente comune?”. Meacham ammette che la sua scelta per la seconda ipotesi possa esser criticata come visione di elite o elitista che dir si voglia ma nel senso in cui per elitismo si intenda “la ricerca del meglio”, qualunque siano i tuoi natali o le scuole che hai frequentato. Gente comune, che ha però passato la vita a fare cose speciali, a inseguire interessi e curiosità nel mondo che li circonda.
Questo dibattito, trasferito in casa nostra, assume i contorni paradossali di un Premier che stravince le elezioni e è in testa ai sondaggi perché non essendo un uomo della porta accanto ha però saputo creare e plasmare un’idea di cittadino comune tanto egregiamente da plasmarlo e allo stesso tempo esserne plasmato.

Dell’italiano medio, diciamo noi che stiamo dall’altra parte, ha preso il peggio: ignoranza (della storia, ad esempio), superficialità, amore per i propri interessi, per i sotterfugi, una certa dose di volgarità esibita, le pacche sulle spalle, il disprezzo per i diritti e le regole ecc. ecc. Oggi che molti di noi faticano a riconoscersi in un popolo che mostra di apprezzare Berlusconi dobbiamo ammettere che lui si muove in totale sintonia con una bella fetta del paese, che forse lo invidia, forse lo ammira, certamente capisce quello che dice e pur sapendo che molto spesso trattasi di bugie, finge di credergli.
Al populismo del premier non si oppone però purtroppo un elitismo illuminato, qualcuno che vada a cercare l’altra Italia che c’è e che soffre, che avrebbe cose da dire e magari anche proposte e programmi da fare, idee da discutere e condividere. Dall’altra parte, quella di chi si oppone, si ammette di aver perso il polso del paese, di non saper capire la realtà della nostra gente, i bisogni e le aspirazioni dei giovani. Ma non si fa uno sforzo serio di tornare sul territorio a rafforzare le radici (là dove ce ne siano ancora), a cercare e mobilitare le persone più capaci, a scovare le competenze per cominciare finalmente ad abbozzare un progetto per il Paese. Lo sforzo politico e strategico della minoranza politica è stato totalmente speso nell’inseguire i programmi della maggioranza attraverso una suggestione mediatica: una grande manifestazione, reti televisive, qualche trovata comunicativa, ma pochissime, anche queste.

Si è completamente saltata cioè la prima fase: quella dell’incontro, del contatto, della conoscenza, dello studio e della riflessione. La casualità è la vera caratteristica dell’opposizione di oggi.
Molti elettori del centro sinistra non sanno oggi cosa pensino veramente sui singoli temi coloro che li rappresentano o non li rappresentano in Parlamento. Se il Parlamento è stato esautorato, cosa dovremmo dire noi semplici cittadini? Perché dovremmo dolercene, alla fine, se nemmeno lo abbiamo eletto? Cosa ci importa se i nostri rappresentanti non contano un bel niente dal momento che non ci rappresentano, ma rappresentano soltanto le segreterie di due partiti e basta? Vedete dove ci potrebbe portare l’elucubrazione di un cittadino che si sente senza riferimenti nell’Italia di oggi. Paradossalmente a porsi domande su quelle poche cose “sacre” in cui ancora ci ostiniamo a credere e senza le quali non sapremmo davvero andare avanti, come il ruolo e l’autonomia del Parlamento. Mediocri incubi notturni. Che vorremmo però condividere con leader politici che credano nella “ricerca del meglio” e capiscano la gente comune, come mi sento anche io, nel Paese ignoto che Berlusconi invece comprende e blandisce.

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