Il Paese del corteggiamento

13 Dicembre 2007

In a Funk, Italy Sings an Aria of Disappointment Che brutto paese che siamo diventati…altro che buona politica, altro che rinnovamento, nuova fase, nuova pagina. E’ sempre la stessa sconsolante storia di quando, inseguendo in buona fede un paese normale, ci si rende conto che normali non siamo, rischiamo di non diventarlo ancora per molto tempo, forse addirittura c’è qualcosa nella nostra natura di italiani che porta ad amare chi sfida le regole assai di più di coloro che le rispettano e fanno il loro dovere.
Quel che più impressiona, dopo la lettura degli articoli di D’Avanzo sull’inchiesta napoletana, non è tanto l’ennesima conferma di quanto sia caduta in basso la cultura politica italiana, ma il silenzio e l’imbarazzo del centro sinistra e del governo rispetto alla possibilità che esistano le prove sia del tentativo di corruzione di senatori, sia di quanto sia profondo il marcio costituito dalla mancata soluzione del conflitto di interessi e di adeguate leggi sulla Tv pubblica. Su tutto ciò che sta accadendo si antepongono due sentimenti. Il primo: separare la questione giudiziaria da quella politica (vedi dichiarazioni di Mastella o del senatore del Pd Guido Calvi). Secondo: che il dialogo con Berlusconi sulle riforme continui. E mentre questa seconda preoccupazione mi pare assolutamente indispensabile (la crisi istituzionale prodotta da quella riforma elettorale berlusconiana è ancora più grave di quanto si dica), non dare un giudizio politico sul quadro che emerge dalle rivelazioni di “Repubblica”, non trarne una sorta di ammonimento rispetto alle cose che Parlamento e governo devono fare, mi pare colpevole e incomprensibile.

Per fare le riforme occorre il dialogo, ma esso non deve ritardare nemmeno di un minuto l’approvazione in Parlamento di quelle regole invocate ormai dal ’93-’94 che tutti i paesi normali hanno e che da noi non si possono fare perché Berlusconi non le vuole.
E qui bisogna fare una piccola digressione sul concetto di “normalità”. Prendiamo atto che vogliamo essere un Paese normale, in cui ai ragazzi si insegna la legalità, il senso civico e delle istituzioni e che su questi valori si organizza la vita privata e pubblica del Paese, a questi ci si ispira nel fare le leggi e nel farle rispettare. Vogliamo esser normali, ma non lo siamo. E non basta un incontro con Berlusconi a cambiare la situazione, non basta promettere di fare come se fossimo normali. Non è una questione di odio. In questo caso non ci deve essere odio né penso ci sia mai stato. C’è solo una grande questione morale come avrebbero detto Berlinguer e La Malfa e Spadolini e De Gasperi e tanti altri (che oggi non si ricordano perché è vietato parlare del Pantheon…). Una questione morale che riguarda ormai non solo la politica: i giornalisti e il giornalismo, l’imprenditoria, l’uso delle “segnalazioni” (parola che sembra soppiantare, nel lessico berlusconiano, le “raccomandazioni”), il reato di corteggiamento (meglio noto come “corruzione”), gli intrecci ad ogni livello fra pubblico e privato e così via.
Cosa ci si può fare, sembrano dire i leader politici, “lui” è fatto così.

E’ una persona che da sempre ha un irresistibile impulso ad ottenere ciò che vuole, un istinto che non si placa fin quando non ha cercato con tutti i mezzi di avere il giochino che lo diverte ed appaga. Il Senato non gli dà retta? E lui prova a corteggiarlo. La Rai continua a dare qualche fastidio? E lui aiuta chi si affanna a spolparla, a prendersene fette e collocarle altrove.
Resta da capire quanto diffusa è ormai la rassegnazione a questa cultura del corteggiamento. E quanto indifesa sia la nostra società rispetto al canto delle sirene. Resta da capire quanta voglia ci sia nel nuovo partito che guarda al domani di non fare orecchie da mercante. Trattiamo con tutti, dialoghiamo con tutti, ma non chiamiamo “odio” la necessità assoluta di fare leggi e riforme che ci facciano uscire da questa melma. Bloccare le intercettazioni o la loro pubblicazione, perquisire i giornalisti o trasferire magistrati è soltanto una autentica vergogna.

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