Ci sono clienti che nell’ora di colloquio ti stringono la mano forte per non separarsi da te. Ci sono quelli che, nonostante tutto, trovano la forza per farti i complimenti per l’eleganza. C’è chi parla dei suoi problemi in famiglia, dei sogni infranti, dei progetti per il futuro. Ricordo le porte che si chiudono, i mille colloqui, le attese con la polizia penitenziaria, le tante storie, le battute, i sorrisi, la speranza della libertà… Stavolta però sono ancora più commossa. Sono giorni che penso e ripenso alla condizione dei bambini in carcere. Giovedi’ sono andata a trovare la detenuta che aveva partorito in carcere: una notizia che mi aveva molto colpito. In quei giorni la Capitale era caldissima. La Città eterna sembrava impazzita: uno sciame di auto in fuga nel rito di un lungo week end di San Pietro e Paolo. Dentro mi chiedevo perché lo facessi. Era stata una giornata pesante: avevamo avuto le audizioni in Commissione Giustizia ed io ero rimasta tra i pochi ad ascoltare Catricalà e i rappresentanti delle casse forensi. Il tempo sembrava non passare. Volevo essere già lì e aver superato le tante porte sbarrate. Finalmente entro nel carcere femminile. La vicedirettrice, premurosa e preoccupata, mi viene incontro per spiegarmi che hanno fatto tutto ciò che potevano. Mi accompagna preoccupata, io le sorrido; il suo volto si accende quando, con gioia, ricorda che – in questo luogo così triste – è nato un bambino. In fondo ad un lungo corridoio intravedo un gruppetto di donne.
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