Giovani in fuga

06 Novembre 2006

Ero seduta l’altra sera accanto a Pietro Ingrao in casa di amici dopo una presentazione del suo ultimo libro. A un certo punto si è avvicinato un ragazzo alto e bruno, assai intimidito che ha gettato sulle ginocchia del vecchio leader un rotolo di stoffa rosso dicendo :”Potresti farci una dedica per i compagni e le compagne della sinistra giovanile?”.
La frase prima l’ha detta quasi sotto voce, poi incoraggiato dal sorriso di Ingrao ha alzato il tono . Ingrao ha cominciato a srotolare e è emersa una bandiera rossa con dentro un simbolo simile a un globo e attorno la scritta “sinistra giovanile.”
Se la girava e rigirava tra le mani poi ha chiesto: “sinistra giovanile, di che?” e lo ha ripetuto due o tre volte visto che il giovane taceva un poco sorpreso. “Di che?”.
“Del partito…”
“E quale partito?”.
“Dei Ds, ma siamo della sinistra Ds…”. Allora Ingrao ha fatto un cenno di assenso, cominciava a capire ma doveva trovare la dedica giusta. Alla fine ha detto: “Allora: alla rossa gioventù”. E così ha lentamente scritto su quella bandiera rossa con quel simbolo che non gli diceva niente. Alla fine ha guardato il giovane negli occhi. Ha alzato la destra col pugno chiuso e gli ha detto: “Però sempre così!”.
Il ragazzo ha risposto levando anche lui il pugno e se ne è andato felice.
Pochi minuti erano stati sufficienti a mostrare dal vivo lo smarrimento del vecchio leader comunista di fronte alla evoluzione del partito in formule e simboli tanto diversi da quelli a lui noti da risultare addirittura estranei.

E poi la scelta di ciò che ancora univa il vecchio e il giovane, al di là del nome del partito, la “rossa gioventù”, il pugno chiuso. Le radici antiche e l’eredità da conservare.
Ma in quella rappresentazione visiva della realtà presente ho intravisto anche un giovane in fuga: la tentazione, cioè, di una fuga dal futuro cercando una immedesimazione nel mitico passato. Quel ragazzo, mi sono chiesta, sarà per il Partito Democratico o per la nuova sinistra? E quali saranno le ragioni che lo porteranno, in caso di divisioni o scissioni, da una parte o dall’altra? E perché poi sarà necessario dividersi ancora e i giovani quale idea di futuro seguiranno, c’è o non c’è una politica che possa convincerli, appassionarli, consegnando loro una nuova bandiera?
La risposta che mi sto dando anche alla luce della grande manifestazione contro il precariato, è che sia davvero irrealistico pretendere da chi oggi è convinto di non poter aspirare alla certezza del lavoro di avere una passione politica che vada oltre una scelta di immediato interesse, un ideale che non sia la pura e semplice sopravvivenza. Difficile convincerli che vi possa essere non solo una visione diversa della società ma anche un progetto realistico di come risolvere i grandi problemi. Difficile spiegare la destra e il centrosinistra, il centrosinistra e la sinistra, il riformismo e il continuismo. Difficile spiegare che flessibilità non è necessariamente precarietà, che una cosa non presuppone l’altra.

Forse il ritardo è ormai troppo forte e i parametri culturali cui riferirsi sono logori e freddi.
Ma qualcosa si può tentare, con pazienza e determinazione. Credo ad esempio che occorra cominciare a spiegare bene nel dettaglio, ma con parole semplici e con cifre che non sia facile fraintendere, che cosa concretamente il governo sta facendo per combattere il precariato. E intendo ministri che parlino una sola lingua e il Presidente del Consiglio che in Tv parli ai giovani italiani (come ha fatto ieri a Bologna) e dica loro cosa sta già facendo e cosa intende fare nei cinque anni del suo governo. Dovrebbe forse rassicurarli che il culto della competitività non soffocherà in partenza i più pensierosi e meno aggressivi. Dovrebbe soprattutto, ma non esclusivamente, rivolgersi a quelli che lo hanno votato anche perché nel programma dell’Unione, come ricorda Luciano Gallino su “Repubblica”, c’era scritto (a torto o a ragione) “siamo contrari ai contenuti della legge n. 30”. Il programma non sarà né Bibbia né Vangelo ma non può essere nemmeno una presa di giro. Le difficoltà di comunicazione, se ci sono o se ci sono state, non possono esser adoprate per giustificare l’assenza di informazione. Dunque, parlare e spiegare: la vera concertazione deve essere, prima di tutto, col Paese, con i cittadini italiani, quelli che hanno votato a favore e quelli che erano contrari.
E’ di questo rapporto diretto con gli elettori che sentiamo l’urgenza quando parliamo di Partito Democratico o di nuova sinistra e chiediamo di non diventare prigionieri di logori luoghi comuni.

Bisogna ricordare i motivi di fondo per i quali molti si augurano la nascita di un grande, partito nuovo. Primo: perché il Pd è indispensabile se si vuole davvero cambiare l’Italia con alcune importanti riforme del sistema e con una collocazione non ambigua sullo scenario internazionale. Quali riforme? Il Pd non potrà sopravvivere nella fumosità e non potrà nemmeno smentire domani quello che promette oggi. Chiarezza, chiarezza e poi ancora chiarezza: sulla giustizia, sull’informazione, sulle istituzioni, sulle pensioni, sul lavoro e così via. Chi deciderà di prendere la famosa tessera vorrà sapere esattamente a cosa si iscrive.
Secondo motivo (ma non in ordine di importanza): ricucire il divario fra politica e cittadinanza. Riconciliare la gente e soprattutto i più giovani a un’idea alta del fare politica, cioè al servizio della comunità. Seminare valori e principi e legalità e ideali, scaldare i cuori. Combattere paludi e oligarchie.
Se non si farà questo, il risultato finale non potrà non essere un piccolo mostro antico. Né si salverà la sinistra radicale, abbarbicata ai suoi “no” senza proposte. Dica finalmente perché pensa che sia più utile per il futuro di questi giovani, fare un’altra cosa e quale, e con quali risorse e obiettivi.
Mi chiedo come sia possibile domandare alla “rossa gioventù” e anche a quella che rossa non sarà mai di seguire qualcuno sulla strada impervia del risanamento e dello sviluppo se non c’è chi sappia informarla, e appassionarla e convincerla.

Servirebbe uno slancio, uno scatto di operosità e intelligenza. E invece capita di trovarsi già stanchi, all’indomani di una difficilissima vittoria contro la destra, a chiederci se davvero non siamo a punto e a capo. Confusi per la nostra debolezza e addirittura dubbiosi se non siano invece altri ad avere le ricette giuste. Come se non li avessimo già amaramente sperimentati.
La noia è una tentazione subdola ed è la negazione assoluta di un grande ideale, o di una grande passione.

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