Partito democratico, si comincia a discutere. Una giornata di studio organizzata dall’associazione Libertà e Giustizia, a Roma, il 14 giugno, ha messo sul tavolo, in modo concreto, la prospettiva di realizzare una nuova formazione politica che sappia mettere insieme le tradizioni partitiche del centrosinistra e la grande disponibilità alla partecipazione della società civile. L’incontro, dal titolo “Partito democratico: dalle parole ai fatti”, ha visto tra i relatori Franco Bassanini di Astrid, Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, rispettivamente presidente del gruppo Ulivo al Senato e alla Camera, il giornalista Paolo Franchi, fresco di nomina alla direzione de Il Riformista, il presidente dell’Associazione per il partito Democratico Gregorio Gitti e Pietro Scoppola dei Cittadini per l’Ulivo, Leopoldo Elia, presidente emerito della Corte costituzionale e Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia.
Pietro Scoppola dei Cittadini per l’Ulivo ha aperto il convegno con una raccomandazione e alcuni suggerimenti: per creare il Partito democratico ci sono passaggi obbligati da seguire. Ci vuole un comitato promotore in cui però la presenza dei partiti deve essere controbilanciata da quella dei cittadini. Se un domani si farà la storia del Partito democratico, si dovrà partire dalle primarie, dal giorno in cui i cittadini si sono messi in fila per andare a votare.
L’ultima parola devono averla i cittadini.
Gregorio Gitti, presidente dell’Associazione per il partito Democratico.
Società civile è categoria troppo abusata dentro la quale i partiti hanno già diritto di sede. Parliamo di società, invece. E parto da una provocazione: un partito molto ampio, molto radicato e articolato esiste già. Un giurista potrebbe dire che l’associazione che si è costituita il 12 ottobre si chiama Ulivo, ma con il versamento dell’obolo, c’è già la fondazione.
Alle politiche ha preso meno consensi perché quelle elezioni sono state governate con poteri di nomina, più che di rappresentatività. Rilanciare con forza il progetto del Partito democratico, vuol dire rilanciare un progetto che è già stato fatto vedere ma poi nascosto. Però bisogna anche evidenziare i paletti organizzativi del progetto.
Condivido le parole di Pietro Scoppola sulla possibilità di considerare un criterio di partecipazione molto ampio per eleggere i rappresentanti. Il comitato ordinatore deve fissare una dead-line, un giorno preciso entro cui realizzare il progetto.
Tra gli obiettivi ineludibili ci deve essere uno statuto che garantisca trasparenza e partecipazione, ancora prima che arrivi l’auspicata legislazione sui partiti – il modello di regolamento comunitario è molto severo – . E’ fondamentale in termini di trasparenza e di elezione democratica dei rappresentanti.Concludo: la struttura del nuovo partito deve essere riconosciuta come una struttura regionale per cui vengano attribuiti un certo numero di delegati dal territorio, per una nuova classe dirigente. Il Partito democratico serve inannazitutto per vincere.
E per vincere in Italia significa vincere al Nord, dove il centrosinistra ha rinunciato ad affrontare la campagna elettorale. Abbiamo rischiato di perdere l’ultima tornata elettorale per le uscite sulle tasse, quando al Nord si parlava solo di fiscalità.
Ci siamo fatti imporre l’agenda da Berlusconi e abbiamo rischiato il tracollo. Errori di questo tipo devono servirci da lezione precisa. Occorrono scelte coraggiose che mettano in gioco anche aspirazioni personali e scelte democratiche.
Franco Bassanini di AstridParlo come socio di LeG, iscritto fin dalla fondazione. Sono totalmente d’accordo sullo statuto. Sarebbe bene se alla fine ci trovassimo tutti d’accordo su questo punto.Riassumo le mie riflessioni:1. abbiamo assoluto bisogno del Partito democratico. La frammentazione del nostro sistema politico rischia di frammentare anche la democrazia italiana. Abbiamo bisogno di una forte semplificazione del sistema e dunque di un partito che sostenga il presidente del Consiglio. Senza Partito democratico rischiamo che avanzi un sistema di riforme costituzionali pericoloso ogni volta che ci sarà da risolvere un problema di stabilità di questo o quel governo. Non dico che non servano le riforme costituzionali. Per esempio è necessario e urgente cambiare questa brutta legge elettorale. Però le riforme costituzionali non possono servire a mettere stampelle a sistema politico che sta disgregandosi.
2. Abbiamo una serie di fatti: il primo, le primarie, dove hanno votato 3milioni e mezzo di persone, di cittadini non iscritti ai partiti dell’Unione.
Vogliamo mettere in campo questa forza? Poi suggerisco un’ulteriore verifica: guardiamo i comitati per il referendum sorti un po’ in tutta Italia. Certo che ci sono i partiti, ma c’è uin mucchio di gente che non è iscritta.
Il messaggio che mi pare di poter leggere è chiaro: il Partito democratico non può essere la somma tra due apparati, se fosse così tra 5 anni rischia di prendere il 17,6%. Il Partito democratico deve rendere protagonista questa norme fetta di Paese, questi italiani che sono andati a votare alle primarie non solo per mandare a casa Berlusconi. Intanto credo che non vogliano che Berlusconi ritorni e che siano disposti a impegnarsi.Dunque: a. Suggerisco un processo costituente per la nascita del nuovo partito – si potrebbe cominciare da una lettera di Prodi agli iscritti ai partiti, certo, alle associazione anche, ma anche a quelli che hanno votato alle primarie. La lettera potrebbe avere un talloncino da rendere in caso di adesione.
b. Se questa è la base, il comitato ordinatore deve rappresentare questa ampiezza. Forse si può prevedere anche un piccolo organo di garanzie, autorevole ma ineleggibile
c. Lo statuto: studiare i modi per evitare che il meccanismo sia di cooptazione.Una ipotesi può essere quella dei partiti regionali, poi la partecipazione diretta, attraverso le nuove tecnologie. Potrebbe esserci un discorso statutario di quote, oltre che per le donne anche per i giovani.
Infine, punto fondamentale è che questo partito si deve caratterizzare non solo per idee o carta d’intenti, ma anche perché pone problemi che riguardano il nostro sistema istituzionale e primo fra questi le primarie per ogni tipo di elezione, in secondo luogo il sistema elettorale deve consentire ai cittadini di scegliere le persone da candidare.
Fondamentale sarebbe tornare alla legge maggioritaria uninominale.
Infine, la legge sulla disciplina dei partiti è un punto fondamentale. Da ultimo non va trascurato il criterio meritocratico, che punta tutto sulle competenze e sull’esperienza, sui risultati raggiunti, per la designazione delle cariche. Un forte no alla lottizzazione delle cariche nell’economia, per ristabilire rapporto corretto tra la politica e le istituzioni. Soprattutto dopo un quinquennio dove si è occupato tutto, anche la Costituzione.
Dario Franceschini, capogruppo Ulivo alla Camera
Siamo tutti un po’ specialisti nel vedere il bicchiere mezzo vuoto anzicchè messo pieno. Però rendiamoci conto che stiamo già sottolineando i limiti di un persorso appena iniziato. Se un anno fa qualcuno avesse provato ad avviare un dibattito serio sul Partito democratico, sarebbe stato preso per pazzo.
Passi avanti, comunque, già ne sono stati fatti e la costituzione dei gruppi unici al Senato e alla Camera sono li’ a dimostrarlo. La svolta, è vero, è stata la nuova legge elettorale per cui la politica ha trovato gli anticorpi e grazie a questa ora abbiamo gruppi unici. C’è stata la dimostratazione che l’Ulivo esercita maggiore attrazione di Ds e Margherita e soprattutto è emersa la non autosufficienza dei due partiti. L’idea di crescita ed espansione e non solo quella di manutenzione dello spazio conquistato. Finalmente, ora, si è arrivati a dichiarare l’obiettivo finale: la creazione di un partito democratico.
Questa volta, per fortuna siamo partiti dalla politica e non dalla politologia, dalla scelta politica e non dalle formule organizzative.
L’altra volta, con la Fed abbiamo dibattuto sugli organi costitutivi. Poi tutto si è fermato alle formule, gli assetti, le sigle. Questa volta lo sforzo richiede un grande dibattito politico. Dobbiamo costruire questo processo portandoci tutti, poi dobbiamo allargare ulteriormente. ”Coinvolgere i cittadini”, ma se non prima almeno in contemporanea ”convincere i partiti”, vale a dire ”tutti i Ds e i Dl”, periferie incluse dove ancora ”non tutti sono d’accordo”. E’ questa la strada da seguire secondo Dario Franceschini, che definisce ”utile” la proposta del premier di dar vita a un direttivo ad hoc, per costruire il nuovo Partito democratico senza incorrere nelle false partenze del passato, anche perché i Ds e i Dl possono conoscere un processo di espansione solo se si mettono insieme”.
Ma bisogna andare avanti con i piedi di piombo perché davanti c’è un terreno minato. Non è volontà di frenare: in una strada piena di curve accelerare vuol dire uscire fuori strada.
Per un po’ di tempo dobbiamo far maturare l’idea del Partito democratico. Perché non possiamo illuderci, le insidie della frammentazione sono lì, sia a sinistra sia al centro. Mentre una alleanza di governo può vivere e fare bene sulla base di un programma di legislatura, per fare un partito serve anche costruire un terreno di valori condiviso. Appropriarsi delle primarie non è onesto: c’è anche chi ha votato per Bertinotti, non solo per Prodi. Attenzione: perché il processo vada avanti bisogna coinvolgere i cittadini, ma bisogna anche considerare i partiti.1.
bisogna vincere il referendum
2. governare bene – la prima cosa su cui la gente ci misurerà è l’azione di governo
Tutti quelli che credono nel disegno di un partito nuovo, credo debbano fare uno sforzo per cominciare ad ascoltarsi, a parlarsi e cercare di costruire delle posizioni comuni anche sui temi su cui sappiamo ci sono delle distanze a cominciare dai temi più legati all’etica, sapendo che comunque esiste la via della libertà di coscienza sui temi che interrogano così direttamente la coscienza di ogni parlamentare. Ma, mi pare che una cosa è la libertà di coscienza alla fine di un percorso in cui si è cercato di costruire una posizione comune e comunque ci si è ascoltati. Altra cosa è partire ognuno seduto sulla propria posizione e non cercando neanche il dialogo.
Anna Finocchiaro, capogruppo Ulivo al Senato
Mi viene in mente quella frase latina che stava a indicare pericolo: HSL Hic sunt leones. Sono contraria al partito democratico parlamentare. Non mi convince e non mi convincerà mai. Franceschini e io che lavoriamo nella terra di mezzo nella quale si sperimenta la possibilità di stare insieme e di fare il grande Ulivo o il Partito democratico possiamo confermare che si tratta di un’esperienza di grande difficoltà e insieme di grande fascino.
Una delle prime questioni su cui mi sono trovata a ragionare è quello di avere pedante attenzione al fatto che insieme alla costruzione della decisione politica che porterà alla nascita del Partito democratico, abbiamo la necessità di definire il quadro identitario di questo nuovo soggetto politico, per mettere a punto l’agenda dell’oggi, ma soprattutto quella di domani dato che quella attuale è inadeguata per la modernizzazione del Paese.
Il Partito democratico è il futuro e l’innovazione. Se dobbiamo pensare che abbia bisogno delle quote per le donne e i giovani, non è quello che penso io.
Non è facile, certo, il percorso è faticoso e doloroso. Voglio dirlo subito.
Dalla bioetica alla politica estera, infatti, ‘trovare un punto di definizione comune è molto difficile, ma d’altro canto nonostante il pluralismo sia bello, se ci candidiamo a governare il Paese dobbiamo avere le idee chiare su quello che vogliamo fare di questo Paese.
Confronto, ascolto, verifica sono le parole chiave attraverso le quali procedere che valgono almeno quanto le preoccupazioni per il modello organizzativo. L’obiettivo per Anna Finocchiaro è infatti costruire ”una cosa che duri nel tempo” e ”il grande collante dell’antiberlusconismo, anche inteso non contro Berlusconi ma contro il berlusconismo, non basta e rende effimero” il progetto.
Le occasioni sono una dietro l’altra. Certo il referendum è una di questa. Ma dovremmo chiarire per esempio cosa fare dopo. Il Partito democratico è necessario al Paese – conclude Finocchiaro – perché la frammentazione è un virus non solo per il governo, ma anche per la competitività e l’affidabilità del Paese. Credo che il grande Ulivo e il Partito democratico non debba essere una forza moderata, rispetto alla sfida verso la modernità. La prova è che alle elezioni l’unione ha preso più di riformazione e comunisti italiani
Con l’adozione della legge elettorale maggioraitaria si produsse effetto contrario: pensavamo che quel sistema elettorale avrebbe prodotto una minore frammentazione e invece è accaduto il contrario.
Con a disposizione cinque anni di tempo, comunque il Partito Democratico potrà nascere.
Bene la lettera di Romano Prodi, e bene tutto quello che serve a creare le condizioni per il Partito Democratico, ma se non riusciamo a definirne il profilo identitario il Partito Democratico rischia di essere una cosa effimera”. Voglio una cosa solida, che duri perché il Partito Democratico serve al Paese prima che al centrosinistra.
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