Dilaga, in queste ore, l’incubo Mani Pulite. E’ davvero quella che stiamo vivendo una stagione simile all’altra? Dove porta e dove si arresterà il mondo dei corresponsabili dello scandalo bancario? La risposta è quasi sempre negativa: no, oggi è diverso. Non c’entrano, infatti, almeno fino ad ora, tangenti così diffuse tra i politici. Si mormora di omissis, ma in quantità comunque assai inferiore alla fiumana degli anni novanta. Qui i problemi e gli illeciti riguardano innanzitutto l’universo delle banche. Si aggiunge poi che per fortuna la magistratura di oggi è assai differente da quella di allora: nel senso che non sembrano esserci ansie di protagonismo e voglia di manette ad ogni costo. Gli arresti, questa volta sono stati necessari non tanto per far confessare, si dice, quanto per fermare le operazioni di salvataggio dei vari malloppi che erano tuttora in corso.
Insomma, c’è da star tranquilli, quella stagione non torna più.
In sostanza, riflettere su ciò che sta accadendo in questa stagione serve a riprendere l’opera di condanna per la stagione del ’92-’94. Sono passati ormai più di dieci anni e il giudizio dovrebbe riuscire ad essere più pacato: è forse vero che ci furono eccessi, che qualcuno emise condanne troppo rapidamente, che moltissimi dei sospettati sono stati assolti. Ma se dovessi dire che l’Italia di oggi sarebbe migliore se non ci fosse stato Mani Pulite, direi qualcosa in cui non credo affatto.
Anzi. Sono convinta che senza la denuncia di allora del malcostume della politica, senza la denuncia di allora dei costi della politica, senza quel richiamo a un diverso sentire, una diversa morale, un diverso rapporto fra cittadini e partiti, senza quel difficile disfarsi e poi riorganizzarsi della politica che purtroppo ci ha fatto conoscere anche i rischi della cosìdetta antipolitica, cioè del governo del partito azienda tanto nefasto per il Paese, senza tutti ciò noi oggi non saremmo un Paese che può legittimamente aspirare a Istituzioni più forti e pulite, con più democrazia, trasparenza, legalità.
La storia non si fa con i se, ma allora nemmeno con un eccesso di paragoni. Questa non è la stagione di allora, ma se non lo è forse è merito anche del fatto che quella stagione di eccessi e di richieste di legalità ci fu.
Senza Mani Pulite forse oggi non assisteremmo al crollo della fiducia in alcune banche e nella Banca centrale, ma al crollo della fiducia in tutte le istituzioni, partiti compresi. Mi rendo conto che questa può essere una tesi poco politicamente corretta, ma pazienza. Mani Pulite ci ha insegnato molto e più nel bene che nel male. Ci siamo fatti le ossa, cercheremo oggi di essere meno impulsivi, ma non potremo esimerci dai giudizi. Che senso ha, mi chiedo, insistere a sostenere: la politica non deve entrare in questioni che riguardano la giustizia? Certo i politici devono tenersi ben lontani dall’influire sulla magistratura. Ma un giudizio, una valutazione sui reati ipotizzati, affinché il comune cittadino possa orientarsi , capire, giudicare a sua volta, saranno pure necessari. Non basta chiedere che la giustizia faccia in fretta, il che è sacrosanto. Bisogna anche aggiungere: se quei fatti ipotizzati fossero veri sarebbe gravissimo. Chiunque li abbia commessi.
Quanto ai paragoni impossibili me ne viene in mente un altro. Era il marzo del 1979 e Ugo La Malfa era in coma a Villa Margherita, la clinica romana dove era stato ricoverato. Tra la gente che si aggirava muta nella hall, c’era anche il governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi. Da poche ore il direttore generale della Banca, Mario Sarcinelli era stato arrestato dalla Procura romana, per una inchiesta del giudice Antonio Alibrandi nella quale egli risultò assolutamente innocente.
C’era sconforto e tristezza, moriva un grande della politica e la sacra istituzione di via Nazionale era nella bufera. Molti già intuivano, ma solo dopo fu chiaro che l’”errore” di Baffi e Sarcinelli era stato quello di osare di mandare ispettori al banco Ambrosiano. Un errore che, insieme a quello commesso da La Malfa di non aver aiutato Michele Sindona, i poteri forti di allora, cioè la Chiesa e la Dc non potevano perdonare. Si sa come andarono le cose, quale fu la rovina di Calvi e di Sindona e con loro della finanza legata al Vaticano. In quegli anni la Banca d’Italia pagò con la galera di aver fatto il proprio dovere. Altri, come l’avvocato Giorgio Ambrosoli, pagarono con la vita.
Paragoni impossibili, dicevo. Perché altrimenti uno potrebbe anche chiedersi perché nella storia d’ Italia appunto da Sindona a Calvi e a Fiorani ci si debba imbattere così spesso in scandali che coinvolgono banche e finanze che rivendicano un rapporto speciale e diretto con la Chiesa. Fazio e Fiorani come maestri di religiosità…Legionari di Cristo, Opus Dei e quant’altro. E accanto ai paragoni, le coincidenze: perché la fortuna di Fiorani all’interno della Popolare di Lodi fiorì insieme all’acquisto della Banca Rasini, di cui era stato direttore generale il padre del Cavaliere (e che Michele Sindona indicava come una banca nella quale si lavavano i soldi di Cosa Nostra)?
Paragoni e coincidenze impossibili. Ogni epoca ha la sua storia. Qualcosa si ripete, qualcosa sembra ripetersi.
La saggezza vorrebbe che imparassimo le lezioni che ci fanno crescere e fuggissimo quelle che ci attirano nei meandri oscuri del potere: dai quale prima o poi, se non lo fa la politica, arrivano i carabinieri e la Finanza a tirarci fuori.
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