Oggi, tra le poche certezze che ci sono, una è quella della rapida e irreversibile trasformazione dei paradigmi comunicativi che sovrintendono alle nostre relazioni politiche e sociali. Il ricorso dei partiti, e delle loro coalizioni, a personalità esterne ai propri apparati quali candidati spendibili ai diversi livelli istituzionali, non è solo un segno della debolezza intrinseca delle attuali oligarchie.I “prestati” alla politica di cui parla Edmondo Berselli, non sono solo dei “supplenti” che, in quanto visibili, possono favorire quel potere di convocazione, simbolica o mediatica che sia, di cui i partiti sono sempre più carenti. Nella società , in un confronto che è diventato globale e tecnicamente avanzato, le competenze specifiche, le performances professionali e locali, i valori artistici e culturali, ma anche i profili morali, hanno requisiti che corrispondono più efficacemente ai codici produttivi del sistema informativo. Nella politica, invece, la pur acquisita fine dei miti ideologici e delle appartenenze non ha ancora dissolto le nebbie di quegli orizzonti culturali e di quei linguaggi che, al di là degli sforzi di accelerato adeguamento di ristrette cerchia di dirigenti, impediscono la formazione di nuove, aperte, pluralistiche strutture di organizzazione della partecipazione politica e del consenso. Strutture più in sintonia con le opinioni collettive attuali che, sempre meno coincidenti con superate categorie economiche e sociali, sono sempre più eterogenee, informate e indipendenti, più capaci di contribuire alla formazione della influente “opinione pubblica generale”.
D’altra parte, l’idea stessa di un “partito democratico” nasce proprio dalla necessità di rappresentare, con autorità di governo e in un contesto di compatibilità tra risorse e garanzie, proprio questa complessità comunicativa.A questo proposito, la recente partecipazione alle “primarie” del centro-sinistra sembra caratterizzata, più che da impulsi di potenziale militanza, come qualcuno ha strumentalmente immaginato secondo un vecchio metodo classista, da una generale esigenza di esprimere un giudizio, di indicare una scelta, soprattutto di fronte alle insostenibili complicazioni prodotte sistematicamente dai partiti.E anche a proposito di questa “domanda di unità” ( ma di chi? e di che cosa?), trattata da più parti con la solita, incauta, demagogia, c’è da dire che questa sembra più essere una domanda di “chiarezza”, senza la quale nessun progetto è credibile, e tantomeno efficace.E a questa domanda di chiarezza si dovrà pur rispondere, se non si vuole perdere il contatto con una realtà che rischia di esaurire le proprie riserve di disponibilità.
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