L’Euro non è un imbroglio

28 Set 2012

L’Euro, che ne dica Silvio Berlusconi, sempre pronto a cavalcate populiste ammiccanti ai sentimenti di pancia degli elettori, non è un imbroglio. Semmai è un prodotto non finito, da completare. Ma non è un imbroglio. E l’implosione dell’Euro, oggi come oggi e nonostante tutto, sarebbe un danno.

L’Euro, che ne dica Silvio Berlusconi, sempre pronto a cavalcate populiste ammiccanti ai sentimenti di pancia degli elettori, non è un imbroglio. Semmai è un prodotto non finito, da completare. Ma non è un imbroglio. E l’implosione dell’Euro, oggi come oggi e nonostante tutto, sarebbe un danno. Non solo – ovviamente – per economie fragili come la nostra, ma anche per i primi della classe (o sedicenti tali) come la Germania. Angela Merkel, infatti, sa benissimo che il famigerato boom dell’export, grande volano della ripresa economica tedesca degli ultimi anni, deve molto del suo successo proprio alla moneta unica. E la dichiarazione di Silvio Berlusconi – l’«uscita della Germania dall’Euro non sarebbe un dramma» – ha suscitato la reazione piccata della Cancelliera, che l’ha definita “semplicemente assurda”.
Ma c’è di più, «la fine dell’Euro porterebbe ad una catastrofe economica per la Germania, l’Europa e il mondo». A pronunciare queste parole non è un fanatico dell’integrazione europea, un fondamentalista dell’europeismo: lo ha affermato niente meno che il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, quest’estate, in un’intervista alla radio tedesca Rbb Inforadio.«Negli anni Novanta – continua Schaeuble – abbiamo detto: iniziamo da un’unione monetaria e un giorno arriverà il momento di fare un passo successivo; ora dobbiamo trarre le conseguenze e creare una struttura europea migliore per le politiche finanziarie ed economiche». Proprio qui sta il punto. La moneta unica, oltre ad essere, come è ovvio, questione economico-finanziaria, ha a che fare con il percorso comune intrapreso dai paesi europei. Quella “comunità di destino” di cui parlava Edgar Morin già nel 1987, nell’intenso “Pensare l’Europa”. «Benché non sia ancora visibile alla maggior parte degli europei, un destino comune s’impone loro, a dispetto di tutte le differenze di situazioni e di problemi. E’ il destino di subire gli stessi fattori di decadenza e di decomposizione e di non potervi resistere che in modo comune».
Ora, però, è arrivato il momento di chiudere il cerchio e portare a compimento l’esperimento europeo, costruendo una vera e propria federazione europea. Se l’altra faccia della crisi è l’opportunità – di cambiare, innovare e rinnovare – allora è proprio il terremoto sociale, economico e finanziario di oggi a costituire la vera finestra sul cambiamento. Non si tratta, dunque, di tornare indietro rispetto all’Euro, ma di ristrutturare la governance economica europea, affiancando ad essa una costruzione politica, a forte connotazione democratica e sociale. Sono in tanti ad affermarlo, in Europa, anche se, spesso e volentieri, non occupano le prime pagine dei giornali, monopolizzate da spread altalenanti e mercati schizofrenici. In Italia lo stanno ribadendo con forza (ed autorevolezza) personaggi come Sandro Gozi, Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, che – insieme ad altri – si sono fatti portatori di un messaggio chiaro e forte: l’Unione europea non potrà uscire da questa crisi senza un cambio di paradigma. La via di uscita c’è, purché i costi della non-Europa vengano denunciati, ridotti e progressivamente annullati. Nonostante colpevoli ritardi, imperdonabili incertezze e ciniche tentazioni nazionalistiche, insomma, le basi per un’Unione giusta, solidale e democratica ci sono. Ora è il momento della responsabilità e delle scelte. Perché la salvezza dell’economia è, ancora una volta, la politica.

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