«Dagli ex pci critiche staliniane» Bonsanti: «Non c’è una volontà politica contro il presidente della Repubblica»

22 Ago 2012

La giornalista Sandra Bonsanti ha lavorato per molti anni a Repubblica, con il direttore Eugenio Scalfari, mentre oggi guida l’associazione «Libertà e giustizia», di cui Gustavo Zagrebelsky è presidente onorario: per cui, quello che prova adesso, è puro smarrimento causato dallo scontro in atto tra due icone della sinistra sul conflitto Quirinale-pm di Palermo

ROMA — La giornalista Sandra Bonsanti ha lavorato per molti anni a Repubblica, con il direttore Eugenio Scalfari, mentre oggi guida l’associazione «Libertà e giustizia», di cui Gustavo Zagrebelsky è presidente onorario: per cui, quello che prova adesso, è puro smarrimento causato dallo scontro in atto tra due icone della sinistra sul conflitto Quirinale-pm di Palermo. E prima di dirigere il Tirreno di Livorno, Bonsanti è stata pure eletta in Parlamento con i Progressiti («Due anni a non far niente mentre c’era da portare a casa la legge sul conflitto di interessi»): e così reagisce con rabbia davanti a quei maestri della ex scuola comunista che, «con fare staliniano, continuano a denunciare campagne politiche che non ci sono».
Tutto è iniziato perché il professor Zagrebelsky ha lanciato un appello al capo dello Stato affinché ritirasse il ricorso alla Consulta contro i pm di Palermo.
«Personalmente mi ci ritrovo molto nelle cose che ha detto Zagrebelsky. Bisogna conoscere la persona: Gustavo è uno spirito libero, uno che crede davvero nel dialogo, nell’incontro tra due individui in cui tutte le ipotesi siano aperte. Ha fatto quell’appello per vedere se fosse ancora possibile evitare un conflitto istituzionale che lui ritiene molto pericoloso. Tutto qua. Quindi, mi chiedo perché si debba sempre incasellare le persone dentro un’operazione politica. Non c’è rispetto per l’individuo. Vedo molta insofferenza. Ti sbattono in una casella, in un recinto, con lo scopo di non farti più uscire di lì».
È un tentativo, questo, che lei ritrova anche nell’intervento di Scalfari che ha smontato, per usare un eufemismo, la tesi di Zagrebelsky?
«Questa linea staliniana pura la ritrovo molto in Luciano Violante, in Emanuele Macaluso, nell’Unità e nel suo direttore Claudio Sardo…».
Violante ora parla di «blocco di populismo giuridico».
«Bene, ricordiamoci della commissione da lui presieduta che ha preparato il processo ad Andreotti. Non c’era la condanna esplicita ma nella relazione, parola più parola meno, fu scritto: “Fin qui possiamo arrivare noi, da qui in poi tocca alla magistratura”. Direi che Violante di “populismo giuridico” è un esperto».
Macaluso però ha una storia diversa. Nel Pci era un migliorista, come Giorgio Napolitano.
«È così. Ma anche in lui prevale questo senso del partito, della linea, dell’etichettatura di chi la pensa in modo diverso… Oggi sta rivenendo fuori quel filone che è ben diverso dai liberi pensatori alla Bobbio, dal Partito d’azione, da Libertà e giustizia. Ecco, Zagrebelsky lo vedo più battitore libero di una minoranza illuminata».
E l’intervento di Scalfari?
«Scalfari è un’altra cosa. È stato un giornalista che si è sempre appassionato fino in fondo alle idee in cui crede veramente. Non c’è un’ideologia dietro a questo: è una persona che in tutta la storia della sua vita — come ha fatto nel caso De Lorenzo e contro la trattiva durante il sequestro Moro — ha sempre condotto battaglie in cui credeva fino fondo. Purtroppo i vari filoni si stanno incontrando».
Perché si incontrano?
«Magari c’è la tentazione di chiudere anche Libertà e giustizia e Zagrebelsky nel recinto dell’antipolitica del Fatto, di Di Pietro e di Grillo. Non a caso Macaluso mi ha definita “segretario” di L&g quando noi abbiamo un presidente. Non siamo un partito».
Lei, insieme a 120 mila cittadini, ha firmato l’appello del «Fatto» per sostenere i magistrati di Palermo.
«La politica dovrebbe fare una vera analisi sulle stragi del ’92 e del ’93: qua si parla del più grande depistaggio che c’è stato nella storia italiana. E mi riferisco all’attentato al giudice Borsellino e alla sua scorta, un’inchiesta difficilissima tanto che molti protagonisti di quell’indagine insistono a dire che non fu solo mafia… Ho firmato ma non per questo faccio parte di una campagna contro Napolitano».
Che impressione le ha fatto leggere sul «Corriere» la lettera di Caselli che replica con durezza a Vigna?
«È una vecchia vicenda legata alla successione che non ci fu alla Direzione nazionale antimafia. Vigna, comunque, è stato un grande magistrato, non dimentichiamoci mai che arrestò in pochi giorni Concutelli, l’assassino di Vittorio Occorsio».
Il dottor Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, è troppo esposto in tv e sui giornali?
«Chi fa quel tipo di inchieste, e rischia tutti i giorni, ha quasi la necessità di sentirsi insieme agli altri. Dico questo anche se a me piace chi lavora in silenzio, come Ilda Boccassini».

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