Lo spettacolo del regista Romeo Castellucci, “Sul concetto di volto nel  figlio di Dio”, è un dialogo tra un figlio e un padre anziano colpito da  dissenteria: il dialogo si svolge sotto una grande riproduzione di un  celebre volto di Cristo. È  il volto dipinto da Antonello da Messina: un Cristo vero e bellissimo  uomo. Un Gesù dall´espressione dolce e intensa, un´immagine lontana da  quella tradizione di origine francescana che ha insistito sugli strazi  della Passione, il sangue, le spine, l´allucinata magrezza. Questa  versione ha vinto nella storia della religiosità cattolica e  segnatamente italiana perché ha dato espressione al bisogno di  accostarsi a Cristo come uomo, di trovare in lui una figura fraterna, un  mediatore dolce e rassicurante col Padre Eterno. Ma in questo  spettacolo è proprio quella perfezione fisica che viene presentata come  una provocazione intollerabile per chi sta sperimentando il degrado e  l´umiliazione estrema del corpo di un padre nell´estrema decadenza della  vecchiaia. La reazione a questo conflitto è l´iconoclastia, l´offesa  all´immagine: un gruppo di giovani sporca quell´immagine, le scaglia  contro sassi e granate.
È una drammatica sfida, una maniera di  chiedere una spiegazione a Dio, dunque qualcosa che appartiene in  profondità all´esperienza religiosa. Si può chiamare a testimone un  sacerdote che fu anche un intellettuale cattolico e un grande  organizzatore di cultura, don Giuseppe De Luca. Nella sua definizione  della pietà era inclusa anche l´offesa a Dio, la bestemmia,  l´esecrazione, l´empietà: tanti segni, secondo lui, di un rapporto vivo  tra l´uomo e Dio, di un atteggiamento diverso dall´indifferenza e dal  distacco di chi non si sente minimamente interrogato dal messaggio  religioso. Questa scena aveva suscitato reazioni polemiche di gruppi  cattolici tradizionalisti francesi durante le rappresentazioni parigine  nell´ottobre scorso. Ora il dramma è in cartellone a Milano al Teatro  Franco Parenti a partire dal 24 gennaio. Il regista ha annunciato che la  scena delle offese all´immagine non ci sarà. Fa parte della sua libertà  di decidere in materia. E fa parte della libertà degli spettatori il  diritto di andare a teatro e di giudicare il dramma in base alla loro  sensibilità e alla loro cultura. Anche di protestare, se si sentono  offesi nei loro sentimenti.
Invece in questo caso non si vuole che  il dramma sia rappresentato. Rispolverando toni intransigenti e  scandalizzati che riportano ai tempi delle condanne del teatro da parte  di San Carlo Borromeo. un comitato che non a caso si intitola proprio al  nome del santo milanese ha chiesto al teatro milanese di «voler  cancellare questo spettacolo» perché è una «offesa a Cristo e, con lui, a  tutti i cattolici». Ed è giunta, insieme ad altre reazioni dello stesso  tipo, una lettera di monsignor Peter Wells della Segreteria di Stato  vaticana che accusa il dramma di Castellucci di essere un´opera  «offensiva nei confronti di Nostro Signore».
Milano non è Parigi,  evidentemente. Né i cattolici italiani possono godere dei diritti dei  cattolici francesi. In Italia non si può vedere, non si può giudicare  con la propria testa. Questo è il punto. Alla Chiesa cattolica non si  può muovere a cuor leggero l´accusa di essere un´agenzia  dell´intolleranza religiosa: in tempi come i nostri ben altre sono le  manifestazioni dell´intolleranza che destano preoccupazione. Lo  scatenarsi della violenza da parte di chi si ritiene obbligato a  vendicare l´onore del suo Dio o del suo profeta ha riportato all´ordine  del giorno fenomeni che speravamo di avere lasciato in un remoto  passato. La Chiesa cattolica ha dimostrato di saper aprire un confronto  col mondo moderno all´interno di una accettazione del principio della  libertà delle coscienze e della tolleranza: una tolleranza che si somma  spesso alla saggezza politica. Talvolta eccessivamente politica a  giudizio di molti, che preferirebbero una proposta religiosa capace di  distinguere i veri credenti dal cattolicesimo sociologico della  maggioranza.
Se ne è avuto un esempio nella non dimenticata  controversia giuridica sull´affissione del Crocifisso nei luoghi  pubblici quando le autorità ecclesiastiche ne hanno sottolineato il  carattere di “arredo” mettendo in ombra quello di sconvolgente simbolo  religioso. Resta il fatto che l´Italia per questa Chiesa è una provincia  speciale dove si deve ancora sfoderare all´occasione il volto severo:  come si fa coi bambini, come non si fa con gli adulti. Ritroviamo in  questo episodio la conferma di una tradizione antica e la riprova di  quello speciale stile della Chiesa di Roma che un esperto studioso di  queste cose, il professor Jeffrey Haynes della London University, ha  definito come l´esercizio di un “transnational soft power”: un potere  dolce, capace di adattarsi alle differenze locali e di modulare  diversamente la voce a seconda dei destinatari. Con gli italiani, la  voce è severa, per loro vige ancora la censura preventiva.		
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