Può sembrare futile, travolti come siamo dalle notizie sulle guerre che ci circondano, tornare a riflettere sui risultati dei cinque referendum in tema di lavoro e di cittadinanza che si sono svolti nelle scorse settimane.
E tuttavia non convincono le dichiarazioni di tanti esponenti politici che, da posizioni diverse, hanno rimesso nel cassetto i temi sollevati dai referendum e, sia da destra che da sinistra, hanno fatto ricorso a riduttive metafore calcistiche: avete perso! Abbiamo fatto un autogol! Landini come Spalletti e così via.
Si può provare a ragionare diversamente, abbandonando la logica del gioco a somma zero.
L’obiettivo di portare a votare il 50% più uno degli aventi diritto era evidentemente irrealistico, considerato che nelle recenti votazioni, sia politiche che europee e regionali, si è registrata un’affluenza in forte e progressivo calo.
Tanto più che i quesiti in tema di lavoro sui quali i cittadini erano chiamati ad esprimersi presentavano una notevole complessità, essendo diretti a modificare parzialmente normative già di per sè articolate, né si prestavano ad una semplificazione efficace dal punto di vista comunicativo.
Mentre il quesito sulla cittadinanza interveniva su un vero e proprio terreno minato, brodo di coltura delle peggiori destre nostrane e mondiali.
In una situazione così sfidante, la sentenza della Corte Costituzionale che, in contrasto con la precedente decisione della Corte di Cassazione, ha stabilito l’inammissibilità del quesito sulla autonomia differenziata – oltre che essere poco comprensibile e per nulla condivisibile – ha dato il colpo di grazia alla competizione referendaria.
In una fase in cui dominano la paura e l’ostilità per i poveri e i diversi, lo stesso fatto di avere alzato la bandiera della solidarietà è stato un risultato positivo, una preziosa inversione di tendenza.
È stato dunque un errore di valutazione quello che ha indotto la CGIL e i partiti di opposizione ad impegnarsi comunque nella campagna per abrogare alcune norme in tema di licenziamenti, di subappalti e di cittadinanza? Abbiamo addirittura messo la testa sotto la mannaia?
Io non credo, penso anzi che i referendum abbiano fatto emergere un duplice dato positivo: anzitutto, la disponibilità del principale sindacato italiano e di (quasi) tutta l’opposizione ad impegnarsi in un battaglia politica avente ad oggetto temi di natura solidaristica. In una temperie culturale in cui dominano l’indifferenza per i destini degli altri e la paura e l’ostilità per i poveri e i diversi, lo stesso fatto di avere alzato la bandiera della solidarietà è stato un risultato positivo, una preziosa inversione di tendenza. Ha inteso respingere la sottocultura del disprezzo e della cattiveria verso i deboli e chiedere invece che la collettività si faccia carico delle loro necessità, come deve essere in ogni consesso civile.
E questo messaggio di fondo è stato, io credo, recepito come tale – al di là dei tecnicismi giuridici dei quesiti – e condiviso da ben dodici milioni di elettori; l’impianto solidaristico che accomunava i quesiti sul lavoro e quello sulla cittadinanza è il dato che ha indotto un numero straordinario di elettori a votare “sì” e costituisce un grande patrimonio etico e culturale, prima ancora che politico, del nostro paese.
Un patrimonio etico e di opinione che si pone in frontale contrasto con alcuni fenomeni dominanti: l’allargarsi progressivo delle disuguaglianze, l’adesione a stereotipi discriminatori e finanche apertamente aggressivi verso i deboli.
Dunque, dall’esperienza dei recenti referendum – pur persi – possiamo trarre una conclusione positiva: che esistono almeno dodici milioni di italiani che considerano sbagliato impoverire e precarizzare il lavoro dipendente e discriminare immotivatamente gli immigrati. Si tratta di un argine importantissimo alla mediocrità e all’autoritarismo delle destre al potere, di un messaggio del quale lo stesso governo e certamente il Parlamento dovrebbero tenere conto, intervenendo per modificare e migliorare le norme oggetto dei referendum anziché mettere la testa sotto la sabbia e negare la gravità dei problemi e delle esigenze che i referendum hanno fatto emergere.
E allora diciamo grazie alla CGIL e all’opposizione, e anche alle associazioni come Libertà e Giustizia che hanno fatto la loro parte in questa battaglia di civiltà!