La riforma della giustizia è solo l’annuncio di un rinvio. La riforma del bicameralismo, che ha già bucato due «ultimatum», fa piccoli passi in commissione solo perché i senatori girano attorno ai problemi, rinviandoli. E alla riforma della legge elettorale, promessa per luglio, il senato potrà dedicarsi sul serio dopo l’estate. Eppure Renzi mantiene il profilo del corridore, e risponde con appena 24 ore di ritardo al nuovo invito del Movimento 5 Stelle, che adesso lo marca per metterne alla prova la volontà «dialogante». Il presidente del Consiglio non abbocca: su carta si dichiara disponibilissimo al confronto. Però demolisce le proposte grilline e ribadisce tutti i punti fermi dell’accordo che ha stretto con Berlusconi. Rinvia la palla nel campo dei 5 stelle, aspetta ancora l’ex Cavaliere (deciderà domani): prende altro tempo.
La lettera — che ufficialmente è della delegazione Pd, ma è scritta in «renzese» puro ed è firmata secondo lo stile del segretario con i soli nomi di battesimo dei quattro che hanno rappresentato il partito nell’ultimo incontro in streaming — è aggiornatissima. Contiene un riferimento al voltafaccia all’inno europeo dell’alleato Farage, episodio di ieri mattina a Stasburgo, all’interno di un ampio e facile capitolo dedicato alle malefatte grilline degli ultimi sei mesi. Così ben disposto, Renzi ricapitola le critiche alla proposta di legge elettorale del M5S, tutte già fatte dal vivo. Sottolinea il fatto che le maggioranze con quel sistema si formerebbero solo dopo le elezioni — caratteristica in teoria irrinunciabile di un regime parlamentare, ma qui (e altrove) presentata come una dannazione. Sulle preferenze, invece — i grillini le chiedono e l’Italicum le esclude — si sorvola.
Poi la lettera del Pd cala il suo decalogo, con il quale propone una legge elettorale fatta di ballottaggio, premio di maggioranza (ma a una minoranza) del 15% e collegi piccoli. L’identikit dell’Italicum, che è il sistema che prima delle europee reggeva il patto con Berlusconi e adesso è da verificare. Certo, per l’ex Cavaliere quello schema resta preferibile ad altri in cui siano previste le preferenze o i collegi, e per questo i suoi stanno tentando di legare il sì alle riforme costituzionali a un impegno del Pd al rispetto dell’Italicum (senza cioè andare troppo dietro ai grillini). È precisamente quello che garantisce la presidente della prima commissione Finocchiaro, pronta ad assicurare che licenziato per l’aula il disegno di legge sul bicameralismo, si comincerà a lavorare sull’Italicum. Luglio, a quel punto, volgerà al termine e con lui i lavori parlamentari. E in ogni caso in autunno la legge eventualmente approvata dovrà certamente tornare alla camera per una terza lettura.
Ma la risposta di Matteo & Co ai grillini non si ferma alla legge elettorale. Allarga il campo anche alle riforme costituzionali e si trasforma in un elogio sfrenato al disegno di legge governativo, quello che il senatori stanno da due giorni lentamente accogliendo in commissione. Anche in questo caso, però, spazio all’attualità. È l’immunità l’argomento del giorno: l’emendamento dei relatori Finocchiaro e Calderoli la mantiene in vita anche per i nuovi senatori, tutti sindaci e consiglieri regionali, categorie ultimamente bersagliate dalle indagini. È una scelta impopolare, ma obbligata. Pasticciata ma conseguente alla decisione di promuovere gli amministratori a legislatori. Il governo aveva provato in un primo momento a scaricare la responsabilità sui relatori, impossibile: è un emendamento deciso a palazzo Chigi. Per cui Renzi deve difenderlo, e lo fa approfittando della lettera ai grillini. «Siete disponibili a trovare insieme una soluzione sul punto delle guarentigie costituzionali per i membri di camera e senato, individuando una risposta al tema immunità che non diventi occasione di impunità?», chiede retorico il presidente del Consiglio.Non è un dettaglio: quando la lettera vede la luce, la sua «risposta» è già stata votata in commissione. Scandalizzando i grillini — ma anche quella è propaganda avendo loro presentato emendamenti simili.
Domani sarà il giorno in cui si esprimerà Berlusconi, che fatica a tenere stretti i suoi nel patto con Renzi. Doveva essere il giorno in cui la riforma arrivava in aula, ma è slittato al 9 luglio. Le difficoltà cominceranno allora.