Dunque, Berlusconi si ripete. Non è la prima volta che, durante una trasmissione televisiva, telefona, strepita, accusa. Ma con la sua ultima esibizione, nell’agitata puntata di “Ballarò”, ha passato il segno. Con un sol colpo ha attaccato “Repubblica” e il suo vicedirettore, Massimo Giannini, che aveva osato mettere in dubbio la credibilità dell’azione anti-evasione del governo, nonché l’Ipsos e Nando Pagnoncelli , colpevoli d’aver registratato il suo calo di consensi nei sondaggi. E, prima di gettar giù il telefono per bloccare ogni possibile replica, il Cavaliere ha trovato il modo di accusare anche il servizio pubblico che si presta a dare spazio a “queste menzogne”. Naturalmente, quando si muove il capo, c’è sempre qualche maestro di cerimonie che è pronto a fargli da coro. Qualche ora dopo, altri due fendenti sono partiti contro la Rai. Il ministro leghista Calderoli ha minacciato la cancellazione del canone se non si fa cadere la scure dell’austerità anche sui “superstipendi” della Rai. Mentre il viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, l’uomo che per meriti berlusconiani dovrebbe prendere il posto dell’incauto Scaiola, ha dettato le sue liste di proscrizione: male Rainews e il Tg3 (“La Dandini è peggio di Santoro”), bene solo il telegiornale minzoliniano.
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C’è tutto Berlusconi in questo. C’è la sua ossessione per i media, che lo porta, con un Paese allo stremo per la crisi economica, a concentrare i suoi attacchi verso l’informazione non addomesticata. Lui, la televisione e i giornali, li concepisce come megafono del governo e, al tempo stesso, mezzo di intimidazione degli avversari. Figuriamoci se può tollerare che si mettano in circolazione sondaggi capaci di rompere la bolla mediatica in cui vive. Ma, attenzione: nell’ultima sortita non c’è solo la protervia del “padroncino” che non ammette obiezioni e riserve. Si rivela anche lo stato di crescente nervosismo di un premier in difficoltà e pronto a gesti esasperati, che vede intorno a sé defezioni e congiure. Non solo la ribellione di Fini, ma anche l’autonomia di Tremonti che gli ha preso il ruolo guida del governo nella politica economica, visto che la crisi, da Palazzo Chigi, lui l’ha sempre sottovalutata e ora si trova impigliato in questioni che non conosce e non ama. Del resto, a scatenare la reazione di Berlusconi, inducendolo a telefonare in diretta, è stato soprattutto l’atteggiamento a “Ballarò” di Tremonti, troppo compiaciuto del suo ruolo e restio a rintuzzare le accuse con la dovuta durezza.
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Stiamo, a questo punto, tra la farsa e la tragedia, avendo l’unico caso di un leader politico che dispone del controllo padronale e politico dell’universo televisivo. Vorrebbe, Berlusconi, che i cittadini vivessero come in una favola ovattata, in cui tutto va bene grazie al “fare” dell’operoso governo. Con questo assunto, la manipolazione dei fatti, la sistematica sostituzione degli slogan alla realtà, diventa una regola. Vantaggi e onori per gli uomini di corte che appaiono sui teleschermi o sui giornali, annunciando le opere del governo e denunciando i “catastrofismi”. Ma nessuna tregua a chi la pensa diversamente: il capo non perdona chi si mette sulla sua strada e, prima o dopo, lo obbligherà a uscire di scena. Giunti qui, non è più il momento di parlare di casi personali. Si pone una questione di democrazia perché la crisi del berlusconismo, coi suoi colpi di coda, minaccia il peggio.