Il Presidente che vorrei/Che sia uguale per tutti in tempi di disuguaglianze 

24 Gen 2022

Il Presidente della Repubblica ha, nella Costituzione, un compito che non può limitarsi al formalismo delle regole per eleggerlo. Tutto il titolo a esso dedicato lascia intendere una forma di entusiasmo civile che lo rende non solo latore di una funzione istituzionale, ma anche il punto di sintesi dell’istituzione simbolica dello Stato. Del resto, che vuol dire che il Presidente è “il capo dello Stato e rappresenta l’Unità dello Stato”? Non è il capo perché ha più funzioni degli altri: ogni tentazione presidenzialista in fondo vuole cancellare questa scelta costituzionale così elegante e ricca di conseguenze culturali. Così inattuale: il capo non è il più potente, è il più credibile. E può esser tale soltanto se rinuncia a essere il più potente. Il suo compito non è prevalere, ma unire. Dunque il Capo è tale perché racchiude in sé la condizione di possibilità di una Repubblica: che ci si riconosca un solo corpo di un solo Stato. Che ci si riconosca insieme. Per questo il Presidente della Repubblica rappresenta, se così possiamo dire, l’incarnazione della Costituzione. Ciò che la Costituzione fissa in parole, Il Presidente della Repubblica rappresenta in carne e ossa.

Sento in questi giorni l’obiezione secondo cui non dobbiamo proiettare sul Presidente della Repubblica aspettative eccessive e che, piuttosto, esse devono essere proporzionali ai limiti costituzionali del suo potere. Ecco, io penso invece che non vi sia nulla di più prezioso di questo vuoto di potere che permette l’istituzione simbolica dello Stato e che la scomparsa di una minima misura di entusiasmo civile sia il segno di una crisi irreversibile non tanto della pragmatica della democrazia, ma del fondamento dei suoi legami.

Anche per questo non solo è inaccettabile politicamente ma è soprattutto contraddittorio che il prossimo Presidente possa essere qualcuno che abbia fatto intendere pubblicamente che la Costituzione sia faziosa. Una Costituzione non può certamente essere neutra: essa esprime i valori su cui si fonda l’Unità che il Presidente della Repubblica è chiamato a rappresentare. Non può esistere una Costituzione senza valori. Ma per lo stesso motivo non può darsi una Costituzione faziosa: perché essa è il fondamento comune a partire da cui tutte le parti possono riconoscersi reciprocamente. Sono cose note, ma vanno ripetute in questo strano paese che viene da uno strano ventennio.

Vorrei dire un’ultima cosa. L’unità dello Stato non è solo l’unità del Parlamento e dei grandi elettori. C’è qualcosa di più forte, di più radicale. Che la “crisi dello Stato” non ci permette più di vedere e, probabilmente, di sperare. Il Presidente della Repubblica è garante dell’unità tra i rappresentanti e i rappresentati. Tra le élites e il popolo, si direbbe con linguaggio attuale. A me pare che questo tema sia oggi più forte che in altre occasioni.

Da un lato abbiamo infatti una classe politica al minimo storico della sua credibilità. Una parte politica è stata capace allo stato attuale di proporre una sola candidatura che è un oltraggio al pudore; l’altra parte sembra disinteressarsi dal rappresentare sotto la forma di un nome le attese di una porzione importante del paese che vorrebbe essere riconosciuta (oltretutto una parte politica che non è minoranza nemmeno in termini di grandi elettori ma che preferisce lasciarsi dipingere come tale).

D’altro lato abbiamo una “tentazione presidenzialista” che si manifesta nell’estensione della tutela oligarchica. Del resto l’uomo della provvidenza è tale in ogni occasione. E anche adesso sembra vi sia una spinta oligarchica che vorrebbe ribadire che solo il potere taumaturgico di Draghi potrà salvarci. Che ci vorrebbero due Draghi, uno al governo e uno alla Presidenza della Repubblica. E, se non si può fare, si deve trovare il modo di farlo. Che l’unico che può fare politica non debba essere un politico. Rendendo così irreversibile la sostituzione della politica con la tecnica, della democrazia con la tecnocrazia.

Non so quale delle due tendenze prevarranno. Se una politica così delegittimata riuscirà a schivare l’ennesima minaccia di una sua umiliazione. E se lo farà per dignità o per capriccio. Oppure se anche stavolta accetterà la tutela per non dover fare i conti con la propria crisi ormai cronicizzata.

Quel che intravedo e che mi preoccupa davvero è che questo conflitto è tutto interno alle élites (e ai salotti televisivi in cui esse si rivedono). Buona parte dei nomi che vengono pronunciati – al di là del nome oltraggioso che non val la pena ricordare – sono nient’altro che rappresentanti apicali di quella classe politica in crisi. Sono maschere che hanno contribuito alla sua delegittimazione.

Io non credo affatto che la stagione del populismo sia finita, ma che sia semplicemente sospesa. Che quando questo strano tempo sospeso finirà la rabbia esploderà ancora più forte e ancora più violenta. E che anche in quest’occasione non si sta dando testimonianza di aver imparato la lezione del populismo, ma di averla ignorata.

Quale unità deve rappresentare il Presidente della Repubblica? Non quella tra maschere e Draghi, tra politici delegittimati e oligarchie che si accaniscono sulla democrazia. Non quella che irrobustisce la democrazia della diffidenza e fa sentire i cittadini fuori dai giochi. Un tempo si usava la categoria di “cittadinanza attiva”. Ecco, se non riattiviamo i cittadini facendoli uscire dal senso di passività che provano rispetto alle istituzioni democratiche, avremo sprecato un’altra occasione. Non è in gioco una semplice casella istituzionale, ma l’istituzione simbolica e l’entusiasmo civile senza il quale è fragile ogni patto sociale. Vorrei un Presidente capace di entusiasmare coloro che lo scelgono ma anche coloro che lo attendono, coloro che parlano ma anche coloro che non hanno il potere di parlare e possono solo ascoltare. Un Presidente che sia uguale per tutti, in tempi così drammaticamente diseguali.

*L’autore insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata ed è presidente di Libertà e Giustizia

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