Dopo l’emergenza/La fame di solidarietà

Dopo l’emergenza/La fame di solidarietà
Proviamo a estrarre dall’esperienza di queste settimane di grandi sofferenze e sacrifici una traccia di lettura critica e prospettica sulle implicazioni di questa crisi sanitaria globale. È certo che siamo di fatto globalmente integrati. Eppure, soggiaciamo a regole che sono, non solo incapaci di gestire questa integrazione di fatto, ma la piegano a interessi che a tutti gli effetti la possono rendere un inferno.
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Alla globalità non c’è alternativa. Si tratta di governarla per le ragioni che la impongono: la vita della specie umana. Come scrive Mario Del Pero sul Giornale di Brescia, la crisi indotta dal coronavirus rivela “non l’eccesso di globalizzazione, ma il deficit di globalità”. Noi soffriamo non per troppa integrazione e collaborazione globale, ma per poca e miope globalizzazione. Soffriamo a causa di una parzialità delle sue regole e dell’assenza di un suo governo giuridico e politico.
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Questa crisi ha messo in luce prima di tutto l’anacronismo della trasformazione delle frontiere in trincee. La boria nazionalista ha fatto capolino in Europa, dove alcuni leader hanno fatto credere che la loro nazione fosse capace di risolvere il problema a modo suo, come se il problema fosse la proverbiale inefficienza del sistema italiano: e hanno dovuto ricredersi e seguire il modello italiano.
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La soluzione non verrà dal nazionalismo, ma dall’accettazione ragionevole a integrare regole e scelte politiche, a considerare tutti i popoli compartecipi di uno stesso destino, come aveva capito il nostro visionario Mazzini.
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Scriveva Kant che le società saranno per necessità indotte a cooperare, a comprendere l’ umanità al di là degli Stati, che pure resteranno necessari e dovranno essere governati con costituzioni e diritti di libertà. Si definiranno delle sfere di vita che dovranno essere soggette a un diritto condiviso, che risponderà all’interesse dell’ umanità e perciò dei singoli Stati.
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Sarà necessario, una volta che il sistema di comunicazione ci farà partecipi di quel che avviene all’altro capo del mondo. A quel punto, la resistenza a collaborare e a darsi norme comuni capitolerà. Non per umanitarismo, ma per necessità.
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Questo nuovo millennio ci mostra la strada del nostro futuro: l’esigenza di solidarietà transnazionale, di cooperazione tra società e popoli, tra modelli economici e politici. È una comunità umana cosmopolita quella che si intravede in nuce da queste settimane di indefinita paura e forzata reclusione.
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Da qui in avanti, due sfere di vita richiedono di essere trattate come sfere di governo globale: il clima e la salute. Due sfere che rivelano la pochezza e, ora anche la pericolosità, di attitudini radicalmente strumentali, che rifiutano la responsabilità di fronte a un fatto che il virus ci fa vedere con chiarezza: o si opera per il rispetto delle condizioni di sopravvivenza che riguardino tutti, o per tutti ci saranno problemi insormontabili.
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Il clima e la salute sono beni dell’umanità, dunque globali; di ciascuno di noi e quindi di tutti. Quel che succede nei mercati di una lontana provincia cinese impatta la vita di chi vive in una provincia dall’altra parte del mondo. Il clima e la salute sono le prime sfere di un governo globale.

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Il secondo dopoguerra ha reso globale la pratica dei trattati per il disarmo e per la cooperazione economica. Ha aperto la strada per una più profonda globalità, per una integrazione di regole affinché la vita ordinaria di ciascuno di noi sia nel proprio Paese più sicura. Senza di ché, rinunciare alla nostra libertà non porterà a risultati, sarà solo inutile e più insopportabile.
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la Repubblica, 22 marzo 2020

2 commenti

  • Chi ha idee parli!
    Oggi che è tanto necessario un cambiamento chi ha qualche idea parli di come ridistribuire i beni vitali senza sconvolgere il sistema.

    Pensato e scritto all’inizio della crisi
    Oggetto: Liberalizzare la qualità, Elucubrazioni su una moneta diversa per i beni vitali.
    Liberalizzare la qualità. (10/3/2010)

    Le misure governative di liberalizzazione tendono ad introdurre altri soggetti fra i venditori e quindi aumentare la concorrenza.
    Nei momenti di crisi economica, quando manca alla gente il denaro per fare acquisti ogni venditore per battere la concorrenza utilizzerà la diminuzione del prezzo o se ciò non è possibile si sforzerà di tenerlo più basso possibile. Con ogni mezzo a disposizione cercherà di ottenere questo risultato senza far diminuire i guadagni e perciò risparmiando sui costi. Questo significa, se ha il tempo necessario, migliorare, tentare di migliorare la propria organizzazione, altrimenti si adatterà ad utilizzare materie di basso costo, a diminuire la paga dei dipendenti e chiedere agli stessi di lavorare più velocemente per produrre di più e cioè con minore sicurezza.
    Ogni venditore vede il mercato suddividendo i clienti secondo la disponibilità di denaro che sono, disposti e in condizione, di spendere per acquistare. L’evento improvviso della diversa disponibilità di denaro degli acquirenti comporta che tutte le misure necessarie a far fronte alla nuova situazione vengano prese in modo poco e male organizzato. La mancanza di denaro tende a dividere la clientela in tre classi ben definite. La classe di chi ha conservato completamente la propria potenzialità di acquisto che si può permettere di comprare quanto desidera a qualsiasi prezzo anche più alto; la classe di coloro che hanno ancora possibilità di comprare ma solo al prezzo precedente e perciò se i prezzi salgono per le nuove condizioni di produzione, devono cambiare l’approvvigionamento rivolgendosi ai prodotti di prezzo più basso; la classe di coloro che hanno addirittura perduto la possibilità di acquistare al prezzo precedente, che sono in una condizione ancora peggiore di chi appartiene alla classe precedente. Chi appartiene alla seconda o terza classe deve sperare di trovare prodotti a prezzi ancora inferiori, altrimenti sarà in condizione di grave crisi.
    Il venditore, se può, sceglie la propria clientela.
    Se il proprio prodotto glielo permette, si rivolge ai clienti ricchi, aumentando i prezzi; naturalmente la crisi lo investe quando non trova sul mercato il numero di clienti necessario a sostenere i propri costi. Questa tipologia di venditore è l’unica che si può difendere bene, conservando le proprie abitudini di produzione, in quanto esistono di fatto un numero sufficiente di persone ricche per le quali il prezzo non è un problema.
    Gli altri venditori per mantenere il proprio stato economico devono tentare di conservare il resto della clientela, che si è nella gran parte impoverita. L’urgenza di prendere misure opportune non può che spingerli ad abbassare in ogni modo la qualità delle proprie attività per renderla meno costose.
    (Quanto segue l’avevo già scritto ancora prima)
    La burocrazia rende possibili tutte le contraddizioni dello Stato mediante regole e consuetudini che permettono di travisare la stessa Costituzione.
    Consideriamo per esempio il criterio di introdurre la tessera per la sopravvivenza (social card); si tratta chiaramente di fare rientrare in una norma di legge quanto già esiste come consuetudine: la divisione dei cittadini italiani in persone ambienti che possono bastare a se stesse e gli incapaci che possono vivere solo di carità.
    L’impostazione dovrebbe invece essere rovesciata, non sono le persone che debbono essere divise in classi ma i beni. Dovremmo avere:

    1. la classe dei beni vitali ai quali tutti hanno diritto nelle quantità necessarie.
    2. la classe degli altri beni che ciascuno potrà procurarsi secondo le proprie capacità con l’unica condizione di non danneggiare il prossimo e la società.

    Individuare i beni che appartengono alle due classi è abbastanza facile. È infatti inoppugnabile che il pane, la pasta, l’acqua, il latte, ecc. ma anche l’energia per riscaldarsi, la casa per abitare, i vestiti, ecc fanno parte dei beni vitali.

    La lettura del libro del professore Nino Galloni “Il grande Mutuo” può servire a chiarire che solo apparentemente, in Italia ha corso una sola moneta, l’euro; in realtà, se ricordiamo che la moneta ha la funzione di rendere più semplice l’approvvigionamento dei beni, ha corso una moneta diversa ogni volta che un bene viene acquisito senza l’utilizzo di euro.

    Gli esempi di esistenza di monete diverse non mancano:
    Il poveretto usufruisce del suo stato per vivere seppur stentatamente, di carità.
    Chi ha molto prestigio, può facilmente godere di molti privilegi senza alcuna spesa.
    Esistono forme di scambio consuete come i libretti tenuti dai piccoli commercianti in cui i debiti possono scontarsi nei modi più diversi ad esempio con una prestazione di lavoro.
    Le cambiali sono previste dall’ordinamento e non sempre si scontano con il versamento dell’importo dovuto.
    Nino Galloni mette in grande evidenza di come le banche, ogni volta che forniscono credito da restituire a distanza di tempo, creino molto più flusso di denaro di quanto è quello circolante e che compiono queste operazioni con grande guadagno.

    Quanto ai problemi della povertà l’autore propone la distribuzione dei beni vitali utilizzando monete diverse che abbiano valore in ambito più circoscritto rispetto all’ambito nazionale e di fornire a ciascun cittadino la quantità di moneta necessaria per approvvigionarsi di tali beni. Questo però richiederebbe una complessa riorganizzazione del sistema monetario.

    La proposta di organizzare un sistema con due monete, quella destinata ai beni vitali e quella destinata a tutte le altre necessità non dovrebbe essere limitata alle sole persone in stato di necessità.
    Solo così i poveri non subirebbero l’ulteriore umiliazione di essere considerati capaci solo di ricevere carità, ma piuttosto verrebbe reso esplicito il loro diritto a vivere decentemente.

    In considerazione delle tante difficoltà di impostare un sistema monetario con due monete, ho pensato ad un altro criterio: dopo avere diviso i beni nelle due categorie come già detto, mi propongo di raggiungere il risultato di distribuire a tutti le giuste quantità di beni vitali.

    Questo è oggi possibile fornendo ai negozianti strumenti informatici simili a quelli utilizzati dalle farmacie in Lombardia, in modo che la merce, acquistata e venduta, venga esposta su apposita nota della spesa con le sue caratteristiche di classe di appartenenza.

    L’acquirente dovrebbe utilizzare un sistema tipo bancomat che permetterebbe la gestione automatica delle note di spesa in un centro di elaborazione di raccolta. Le elaborazioni possono raggiungere diversi obiettivi relativamente alle merci, ai venditori e agli acquirenti:

    Si può tenere sotto controllo il giusto prezzo delle merci.
    Si può analizzare la funzionalità del venditore relativamente al suo compito di distribuire la merce.
    Si può controllare il consumo dell’acquirente che non superi il giusto consumo, sottomettendolo eventualmente a tassazione per sprechi.

    Naturalmente lo Stato dovrebbe provvedere a portare ad un livello consono i conti ‘bancomat’dei cittadini in stato di carenza economica.
    Avremmo finalmente l’organizzazione complessiva per provvedere a tante situazioni oggi dolorose dovute a mancanza improvvisa di reddito.
    L’obbiezione che solleverebbero i fautori del mercato libero è che il sistema sarebbe destinato al fallimento perché non rispetterebbe le regole della concorrenza. Credo che invece le regole della concorrenza si sposterebbero dal prezzo alla qualità.

    Analizziamo infatti con attenzione il mercato dei beni vitali nel nuovo sistema: lo stesso è un mercato che dovrebbe non essere libero sul prezzo, nel senso che ad un kg. di pane corrisponderebbe la stessa moneta su tutto il territorio, ma che invece rimarrebbe libero per quanto riguarda la scelta che il cliente può fare nei riguardi del fornitore che vende roba di migliore qualità e che gli fornisce il miglior servizio. Credo che i piccoli negozi potrebbero diventare concorrenti agguerriti dei grandi supermercati anche perché più facili da raggiungere.
    Anche il mercato delle materie prime dei beni vitali, dovrebbe subire una riorganizzazione per acquisire le caratteristiche di una produzione sottomessa ad una economia di qualità. La produzione di qualità significa rendere vantaggiosi i prodotti vicini all’acquirente, cioè del territorio, naturalmente di buona qualità, che non sono sottoposti ai lunghi viaggi da terre lontane e non devono essere mantenuti commestibili con artifici costosi (celle frigorifere e additivi chimici) che difficilmente raggiungono pienamente il risultato.

    Giuseppe Ambrosi

  • Battere il malaffare facendo puzzare il danaro malguadagnato e mal posseduto e così impedendone l’uso.
    Questa cosa è possibile chiaramente solo rendendo tutto il denaro controllabile ed inutilizzabile quando è sporco.
    Il primo passo è quindi che ciascun cittadino abbia il proprio conto corrente collegato al proprio codice Fiscale.
    Il secondo passo è la logica veloce del controllo di verifica dei crismi di pulizia. Si potrebbe cominciare impedendo le transazioni di importi rilevanti e quelle relative a qualità di beni più incidenti cioè di maggior impatto sulla società e sull’ambiente.
    L’ultimo passo è che possa eseguire transazioni lecite per legge solo chi ha il conto corrente pulito.
    Le altre transazioni sono illecite e perseguibili.
    Naturalmente il criterio che oggi la tecnologia rende possibile deve essere progettato, implementato e reso gestibile.

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