IL POTERE OCCULTO 23/24 febbraio 2019, Firenze

08 Apr 2019


Il Seminario è stato curato da Sandra Bonsanti, Libertà e Giustizia, e Stefania Limiti, giornalista
(Ha contribuito all’organizzazione Rossella Guadagnini, giornalista)

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Sintesi delle relazioni

 

INTRODUZIONE  di Paul Ginsborg
(testo non ancora disponibile)

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Giuseppe Oddo. Enrico Mattei, l’Eni prima e dopo il suo assassinio. Enrico Mattei diede vita con l’ENI ad un ente che avrebbe provveduto al fabbisogno energetico italiano, sfruttando i giacimenti di metano in Val Padana già scoperti in epoca fascista dall’AGIP, ed appropriandosi di fatto del monopolio del gas prima ancora che ciò gli venisse riconosciuto con una legge su cui anche le sinistre si astennero, manifestando un appoggio. Mattei ebbe fino al 1953 una posizione filo-americana ed anti-comunista (fu lui a determinare l’uscita degli ex-partigiani cattolici dall’ANPI); in seguito divenne anti-americano e filo-comunista, dopo che l’ENI ebbe consolidato le sue posizioni in Italia e si mise a cercare sbocchi all’Estero. Assunse una posizione anti-colonialista che lo mise in urto con le “sette sorelle”, stipulando accordi più favorevoli coi paesi estrattori, compresa la stessa URSS. Grazie all’indagine della Procura di Pavia conclusa nel 2002, si può dire con certezza che la caduta dell’aereo su cui si trovava Mattei al momento della morte, il 27 ottobre 1962, fu un attentato, eseguito mediante un’esplosione che provocò l’apertura del carrello, così simulando un incidente. Il suo successore, Cefis, cambiò politica. In precedenza Mattei lo aveva licenziato perché (secondo il fratello, Italo Mattei) aveva scoperto doppi giochi e conflitti di interesse. Secondo diverse fonti Cefis (che di sicuro aveva avuto contatti coi servizi americani durante la resistenza) era un uomo della NATO e aveva avuto un’investitura parallela oltre i ruoli ufficiali. Concluse un affare con la Esso per l’importazione del petrolio libico in luogo di uno che si sarebbe potuto concludere con Francia e Algeria, a quanto pare in collusione con Cazzaniga, dirigente italiano di Esso, col quale i rapporti proseguirono in Montedison. Mentre la politica addossava ad ENI imprese estranee al settore degli idrocarburi, Cefis perfezionò il sistema di finanziamenti occulti a partiti e faccendieri che trovò in ENI, e tra l’altro coi fondi neri tenne in vita il Banco Ambrosiano. Molti uomini dell’ENI risultarono nelle liste della P2, ed un appunto dei servizi descrive Cefis come fondatore della P2 stessa.

Guido Salvini. Il neofascismo in Italia. Cosa ha rappresentato da Piazza Fontana in poi. Nel 1969, in un quadro internazionale che vede gli USA determinati a ostacolare in ogni modo l’avanzata dei comunisti anche se fosse avvenuta in forme democratiche, gruppi fascisti si infiltrano nella contestazione studentesca, come narrato di recente nel libro “Non ci sono innocenti” (ed. AR) dalle sorelle Anna (seconda moglie di Franco Freda) e Silvia Valerio, storia della cellula neofascista padovana. Il libro esce a “pericolo scampato” e comunque si ferma prima di Piazza Fontana. Molti elementi di prova sono emersi dopo sentenze definitive di assoluzione, che con quegli elementi avrebbero potuto essere di condanna. Va riconosciuto che anche gli anarchici intorno a Valpreda mettevano bombe, e sono stati condannati per dozzine di attentati; il che consentì di attribuire a loro anche quelli di matrice opposta: strategia della sovrapposizione. In questo quadro, gli USA sapevano e lasciavano fare, doveva trattarsi di attentati dimostrativi volti a mantenere il controllo. Il 12 dicembre è stato il passo in avanti dell’esecutore. In quel mese c’era stata la scissione socialista, con la nascita di un partito socialdemocratico che si poneva a destra della DC, con un programma che faceva intravedere presidenzialismo e gollismo. Il gruppo Freda deve aver pensato che era il momento per dare il colpo di grazia al sistema. Ciò danneggiò la preparazione del golpe Borghese che riprese solo un anno dopo. Anche in questo caso gli Americani sapevano, anche se erano in dubbio se il golpe potesse aver successo o dar fiato all’avversario. L’Italia non era la Grecia. Tuttavia era comunque utile “far capire che poteva esserci”.

Giovanni Tamburino. Rosa dei venti e le altre strutture sovranazionali. Il segreto deve essere regolato nei suoi confini (la norma sul segreto non può essere segreta), e le sue finalità devono essere lecite. L’occulto è invece una parte del segreto, quella che ha finalità illecite e quindi non può essere palesata nei suoi confini. Sono essenziali per la realizzazione di fini eversivi un programma ed una struttura. Si esamineranno quattro aspetti relativi al rapporto tra eversione stabilizzatrice e dimensione sovranazionale: organizzazioni eversive, servizi segreti, criminalità e politica-massoneria. Partendo dal primo, l’indagine del 1974 mostrò un insieme di organizzazioni che operavano in modo sinergico, riunite nella Rosa dei Venti (che è anche il simbolo della NATO), la cui sede era a Padova. La seconda novità dell’indagine fu l’innesto di questo reticolo nel mondo militare (come dimostra la figura di Amos Spiazzi, che fu il primo ufficiale superiore delle Forze Armate arrestato). Un terzo punto fu che alcuni esponenti di questo gruppo svolgevano funzione di informatori per strutture istituzionali. Un quarto elemento certo fu che questa struttura riceveva un fiume di denaro. Quindi la Rosa dei Venti era solo un momento di collegamento tra strutture diverse, con un obiettivo comune: l’auspicio del golpe, drastico rovesciamento del regime democratico, che la loro ideologia definiva “infezione dello spirito”; idea che poteva apparire non solo fantasia, visto che pochi anni prima era avvenuto un golpe in Grecia. Ma in realtà il golpe non era programmato, anzi era da evitare fin dove possibile: si trattava di una minaccia, un condizionamento a funzione frenante, come ritenne Nenni a proposito del piano Solo. Altro elemento unificante era l’ostilità al comunismo, considerato il male assoluto, che rendeva doverosa qualunque azione. La guerra fredda, con la rottura degli accordi di Yalta sulla spartizione del mondo, aveva reso utili i fascisti all’Occidente. Lo sviluppo postbellico modificò i termini del problema, che divenne quello di impedire l’accesso al potere per via democratica di forze ritenute infide. Ciò comportò una rielaborazione, iniziata dai Francesi, che avevano subito due sconfitte, in Algeria e in Indocina. La tesi che emerse fu che la guerra non convenzionale, non ortodossa, fosse l’unico modo per prevalere. Al noto convegno all’Hotel Parco dei Principi la parola d’ordine fu che la terza guerra mondiale era già cominciata: ciò presupponeva che il nemico fosse interno, e già attivo, e che si richiedesse una risposta globale. USA e NATO ritenevano inaffidabili i partiti comunisti occidentali, il limite invalicabile era il loro accesso al governo. Tale politica vede la “concorrenza” di due varianti: la prima (fino alla metà degli anni ’70) si avvale direttamente di fascisti, la seconda (successivamente a tale data) sfrutta indirettamente forze di estrema sinistra. Lasciando da parte gli argomenti dei servizi segreti e della criminalità organizzata, resta da esaminare il rapporto politica-massoneria. Andreotti fu indicato da alcuni esponenti della Rosa dei Venti come destinatario degli effetti dell’auspicato golpe, ma in realtà Andreotti (che nel 1974 rimosse Miceli dalla direzione del SID, e rese un’intervista in cui dichiarò che Giannettini era collaboratore dei servizi, e che era sbagliato averlo taciuto ai magistrati) è più esattamente descritto come “sfinge”, e difficilmente avrebbe voluto un golpe. La strage di Piazza Fontana rientrava perfettamente nella guerra non ortodossa, che prevedeva l’attribuzione di attentati agli avversari. Fu fatta un’operazione sofisticata scegliendo Valpreda, ma essa esplose con un controcanto, perché Lorenzon si convinse del coinvolgimento di Ventura, nome che portava ai servizi e al nazi-maoista Freda, e questo porta alle stragi sui treni dell’agosto 69 non rivendicate, e all’attentato di aprile nell’università di Padova. Freda, intercettato, parlava per telefono dell’acquisto dei timer e acquistava direttamente le borse. Anche il libro “Strage di stato”, uscito dopo poco tempo dopo la strage , è difficile pensare sia stato scritto tutto dopo. Emerge quindi una linea concorrenziale interna che trova il suo punto più alto di realizzazione nel 1978, con la vicenda difficile da attribuire unicamente alle BR. Il tema della massoneria è un tema legato alla politica perché ha caratteri di continuità che la politica non ha; la segretezza le consente di elaborare programmi non divulgabili, può farsi portatrice di interessi economici che tendono a condizionare la politica; si presta a contatti coi vertici della criminalità organizzata; è sovranazionale; è trasversale; presenta un’abitudine all’esoterico che agevole una dimensione occulta e la mentalità del doppio (si pensi alle vicende di Gelli). La conclusione è che il cambio di spalla avvenuto a metà degli anni ‘70 non può essere avvenuto senza la gestione di quel livello che già aveva pilotato le organizzazioni neofasciste, nella continuità di un obiettivo strategico rimasto invariato fino al 1989. Per conoscere meglio i fenomeni (su cui oggi si sa molto più che nel 1974) bisognerebbe approfondire gli aspetti economici, essendo essenziale l’aspetto del finanziamento, perché il terrorismo costa.

Manlio Milani. L’Italia dopo le bombe di Piazza della Loggia. Il vero “segreto di stato” è il tempo, perché quando una verità emerge solo dopo tanti anni, come è avvenuto con la pur importante sentenza sulla strage di Brescia, essa non incide più, non se ne parla. Se si vuol capire cosa è successo tra il 1969 (a partire dal quale, con Piazza Fontana, nasce un’abitudine alla violenza) ed il 1978 bisogna partire dall’idea che c’è stato un unico disegno eversivo, che nel 1974 subisce una svolta, perché quell’anno segna l’intreccio tra terrorismo di destra e primi colpi del terrorismo di sinistra. Nello stesso tempo il 1974 è uno spartiacque anche perché vengono messi in atto una serie di processi che chiudono una fase e ne aprono un’altra. Alla fine del 1974, il 30 dicembre, la Cassazione assume tre decisioni: viene trasferito il processo sulla strage di piazza Fontana da Milano a Catanzaro; viene tolta al giudice Tamburino l’indagine sulla Rosa dei Venti, trasferita a Roma; e infine viene sottratta a Violante l’indagine su Edgardo Sogno. Altro elemento: quando Andreotti elimina Miceli, questi dirà che da allora in poi non si sarebbe più sentito parlare del terrorismo di destra, ma dell’altro. Maletti dal Sudafrica dirà che, nel 1974, anche gli Americani non si fidavano più dei gruppi di destra. Si cominciarono ad arrestare alcuni terroristi di destra. Evidentemente era in atto una strategia per bloccare questo tipo di eversione, ritenuta non più funzionale. Ma c’è un elemento in più: il la strage di Brescia fu qualcosa di diverso rispetto alle precedenti, perché avveniva durante una manifestazione antifascista. La strage diventa un modo per dire, da parte della destra eversiva, che non poteva essere abbandonata in quel modo, e non a caso è l’unica che viene rivendicata. E lo slogan “sì sì abroghiamo la DC” che viene coniato dopo il referendum sul divorzio fu un segnale contro il compromesso storico, per rompere l’unità antifascista che si andava ricostruendo. Ed anche all’interno della società bresciana si spaccò il fronte antifascista; un mese dopo la strage fu fatto un processo popolare, tra i “giudici” c’era Senzani, si afferma che l’antifascismo deve diventare militante; al contempo DC e PCI formarono a Brescia una giunta aperta, in contrasto con le attese di una parte dell’opinione pubblica. Le spaccature del fronte antifascista si rifletteranno sulla prima indagine, nella quale si manifesterà il massimo della falsificazione, con un solo punto di verità che è Buzzi (che effettivamente aveva avuto un ruolo, anche se diverso da come teorizzato nella prima indagine), perché anche le operazioni di depistaggio devono contenere un nocciolo di verità per nascondere la verità. Su questa indagine la parte civile si rompe, e noi avemmo ragione 43 anni dopo. La spaccatura si accentuerà in mezzo alla città, e noi fummo indicati come oggettivamente di aiuto ai fascisti. Di fronte all’assoluzione, il comitato antifascista proclamò manifestazioni contro la magistratura. In seguito però è iniziato un altro percorso, in cui abbiamo ricostruito l’unità nella città.

Antonella Beccaria. La strage di Bologna e la normalizzazione del movimento sindacale. Nell’ottobre 1980 si registra una prima sconfitta del movimento sindacale, con la marcia dei 40.000; si tende a dire che quell’anno era diverso dal 1969, cosicché la strage di piazza Fontana andava letta in modo diverso da quella di Bologna, in quanto nel 1980 le istanze di rinnovamento sociale non esistevano più; ma non è vero. Il 1980 fu un anno di profonde tensioni e contrapposizioni sociali anche se sarebbero giunte a risultati diversi da quelli del 1969. Gli anni ’70 erano stati anni importanti, c’erano stati lo statuto dei lavoratori, il divorzio, con il successivo referendum, le leggi sugli asili-nido pubblici, la tutela delle madri lavoratrici, la scuola a tempo pieno, il lavoro a domicilio, il nuovo diritto di famiglia, tutte volte ad una maggiore inclusione sociale. Si parla di recupero dei tossicodipendenti, interviene la riforma sanitaria, la legge Basaglia, l’aborto, anch’esso sottoposto a referendum, l’equo canone, e alla fine di questo periodo in parlamento viene proposta la legge d’iniziativa popolare sulla violenza sessuale che sarà approvata solo nel 1996; mentre furono abrogati il “delitto d’onore” ed il “matrimonio riparatore”. Queste leggi erano state preparate da casi clamorosi come quello di Franca Viola, che nel 1965 rifiutò di sposare il suo violentatore (che era anche nipote di un boss mafioso) ed il massacro del Circeo del 1975, ad opera di un gruppo di fascisti, in cui morì Rosaria Lopez. In quegli anni era stata sempre presente un’ossessione anticomunista che aveva portato il SIFAR (i servizi segreti dell’epoca), già nel 1959, a schedare 157.000 persone, e gli apparati di sicurezza privati delle aziende (come ad esempio la FIAT) a schedare 200.000 operai tra il 1949 ed il 1966; a ciò si accompagnava la crescita dell’occupazione nell’industria e l’inasprirsi delle lotte sociali, con un forte aumento delle ore di sciopero tra il 1968 ed il 1969; ciò accadeva mentre la destra politica era in difficoltà, con il MSI che nel 1968 raggiungeva il minimo storico dei voti; si manifesta al contempo l’attività dei gruppi neo-fascisti, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Fronte nazionale, Terza Posizione. Il 19 novembre 1969, in una manifestazione indetta dall’Unione di Comunisti Italiani e dal Movimento Studentesco, perde la vita l’agente Annarumma. Il Presidente Saragat reagì parlando di “delinquenti” da porre in condizione di non nuocere, ed il suo partito parlò espressamente di responsabilità del PCI, del PSIUP e dei sindacati. Il PCI, tramite una dichiarazione di Enrico Berlinguer, si rende conto sia della aggressività neofascista, che di come i gangli sensibili dello stato siano ancora popolati da persone che avevano iniziato la loro carriera nel ventennio fascista. Tra il 1969 ed il 1974 il sindacato si fa presidio della difesa della democrazia, non vuole che sia affidata al solo Stato perché vede che l’attacco ai lavoratori non viene sufficientemente ostacolato dallo Stato. Nel 1976 il PCI fonda la sezione “problemi dello Stato”; è l’anno in cui Pio La Torre e Cesare Terranova depositano la relazione di minoranza della Commissione Antimafia, in cui si parla di connivenze tra mafia ed organizzazioni eversive, che si erano viste ai tempi del golpe Borghese e della rivolta dei “boia chi molla”, e che si vedranno ancor più nel caso della fuga di Freda dal soggiorno obbligato a Catanzaro, avvenuta con la protezione di ‘ndrangheta e massoneria. Ma in questo quadro vanno rivalutate figure come quelle di Concutelli, che si pone al centro di convergenti interessi, tra sequestri di persona, P2 e riciclaggio dei proventi dei sequestri di persona. Donatella Della Porta e Maurizio Rossi hanno riassunto nel libro del 1986 “Cifre crudeli” che nel 1969 il 95% degli episodi di violenza fosse ad opera di gruppi di destra. Anche l’ANPI costituirà i comitati giovanili di difesa dopo aver subito numerosi attacchi. A Brescia, dove era presente Kim Borromeo, la tensione era notevole prima ancora che scoppiasse la bomba in piazza della Loggia. La reazione fu massiccia, con manifestazioni che ebbero larghissime adesioni. Ma questo fu un po’ il canto del cigno. Il rincaro del greggio porta a mutamenti delle strategie imprenditoriali e ad un ripiegamento dei sindacati su una linea più difensiva; lo fanno in un’ottica di solidarietà nazionale, con gli esiti che si vedranno il 17 febbraio 77, con la cacciata di Lama dall’università di Roma, in un contesto in cui l’unico pericolo sembra a sinistra. Anche la morte dello studente Lorusso a Bologna porta non ad un ricompattamento della sinistra ma ad un’ulteriore ghettizzazione. Si consolida una linea legalista fino all’omicidio di Guido Rossa, alla gambizzazione di Gino Giugni e all’omicidio di Ezio Tarantelli. Se ci fermiamo ad una ricostruzione accademica ed ufficiale dei fatti non si vede più il terrorismo di destra, che invece dopo lo scioglimento di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, tra il 1973 ed il 1976, ha iniziato a riorganizzarsi. Dopo l’omicidio Occorsio, un massone, l’ing. Siniscalchi, fa arrivare all’autorità giudiziaria memoriali che descrivono intrecci tra criminalità organizzata, eversione di destra massoneria deviata. Tutto questo porta a fiaccare le istanze sociali che subiscono un nuovo colpo nel 1979 con l’introduzione del sistema monetario europeo, che comporta aumento del tasso di sconto e compressione dei salari. Cresce la disoccupazione e si frammenta il mondo operaio, si ridimensiona il lavoro dipendente, con l’espulsione del 30% della forza lavoro nell’industria e nell’agricoltura. Il 2 agosto 1980 scoppia la bomba che fece la più grave strage dell’epoca repubblicana, in un contesto caratterizzato da numerosi omicidi politici e di mafia, e dalla strage di Ustica. Appena dopo la strage di Bologna, nel settembre, con la riapertura delle fabbriche del Nord, la situazione è incandescente perché 61 operai vengono falsamente accusati di connivenza col terrorismo, da cui nasce uno scontro violentissimo; nell’ottobre si arriva alla definitiva sconfitta del movimento sindacale che aveva cercato di evitare 23-24 mila esuberi, e si interrompe la lunga marcia verso i diritti iniziata nel 1968-69. Lo studio comparato dei diversi fenomeni (movimento sindacale, terrorismo, mafia) e dei loro reciproche interferenze può portare ad una visione più completa di un periodo che ha contato molto nel passato recente.

Giuliano Turone. La perversione del potere: come la P2 ha deviato l’Italia. La P2 si presenta come una doppia piramide, quella inferiore contiene tutto quello che è stato scoperto: liste degli iscritti, buste sigillate con i dossiers su affari riservatissimi, il tutto gestito dal grande segretario, Licio Gelli, circondato dai servizi segreti. Resta da scoprire che fosse nella piramide superiore, dove, come ha detto Tina Anselmi, si elaboravano i progetti. Nei tre anni che ho trascorso lavorando sul mio libro, ho scoperto delle cose che non erano mai emerse e si potevano scoprire solo collegando cose disparate. Ad esempio, dalla vicenda Sindona-Ambrosoli emergeva l’attacco di Andreotti a Baffi e Sarcinelli, con la vicenda giudiziaria che ne determinerà l’allontanamento. Ma solo dalle carte relative all’omicidio Pecorelli è emerso che, in due precisi momenti della crisi di Bankitalia prodotta dall’inchiesta, ci furono due incontri clandestini (anche perché uno di domenica e l’altro alla vigilia di Natale) tra il giudice istruttore Alibrandi ed Andreotti. All’udienza preliminare per il delitto Pecorelli, Andreotti rese delle dichiarazioni spontanee, dopo di che il GIP Sergio Materia gli fa delle domande su queste circostanze, ed Andreotti dà delle risposte incredibili, e cioè che tali incontri gli erano stati richiesti da Baffi, cosa impossibile perché il primo incontro avviene il giorno prima che la polizia sequestrasse il passaporto a Baffi, e l’altro incontro avviene quando ormai la sezione istruttoria aveva stabilito che la libertà provvisoria a Sarcinelli doveva trasformarsi in una scarcerazione per mancanza d’indizi. Per quanto riguarda la perquisizione a Castiglion Fibocchi, la segretaria di Gelli potrebbe aver fatto filtrare le notizie all’esterno facendo delle telefonate. Ma la nostra fortuna fu di esserci potuti avvalere di una valida squadra di finanzieri, che conoscevo per aver lavorato con loro ai tempi dell’arresto di Luciano Liggio. Da una precedente indagine relativa ad un sequestro di persona, erano invece emersi elementi che portavano a Cosa Nostra, indagini affidate ai CC e solo per la parte “cartolare” alla GdF, in un’intercettazione di altro processo emerse che uno dei marescialli del Nucleo Investigativo dei CC aveva dei contatti telefonici che rivelavano suoi contatti con ambienti del crimine organizzato, e che su nostra richiesta fu allontanato ma che scoprii dopo poco essere stato reintegrato nelle precedenti funzioni, e per rispondere alle mie rimostranze il capitano venne accompagnato da un colonnello che difendeva il maresciallo, il che accrebbe le mie perplessità. Da lì cominciai a non fidarmi più del nucleo investigativo dei CC, e ad avvalermi di più dei finanzieri, fino ad arrivare all’arresto di Liggio, che era il capo dell’Anonima Sequestri di Cosa Nostra. In seguito, scoprimmo che la Divisione Pastrengo, da cui dipendevano i CC milanesi, era diretta dalla Loggia P2 fin dal 1971, ed il colonnello che si era presentato da me era agli ordini del generale Palumbo, piduista. Aggiungo che in base ad un’intervista rilasciata da Gelli negli ultimi tempi, si possono individuare Andreotti e Cossiga come personaggi della piramide superiore.

Davide Vecchi. Pecorelli e gli andreottiani. Parlare solo del delitto Pecorelli sarebbe limitativo, le carte processuali sono sterminate, lì c’è un po’ tutta la storia d’Italia. OP, nata come agenzia di stampa e poi trasformata in settimanale, era finanziata dagli andreottiani. Tutto il processo contro Andreotti si basa sulle dichiarazioni di Buscetta, il quale disse nel 1993 di aver saputo da Bontade e Badalamenti che Pecorelli era stato ucciso su richiesta di Andreotti. Inizialmente erano stati indagati i NAR di Fioravanti, poi l’inchiesta fu archiviata nel 1981. Poi si scoprì il deposito di armi della banda della Magliana, e Vitalone dispose una perizia sulle armi; tra il materiale sequestrato si trovarono due proiettili di marca francese Gevelot, non commercializzati in Italia; e i proiettili che avevano ucciso Pecorelli erano di quella marca; al PM venne in mente di cercare se le pistole che furono ritrovate potessero essere quelle che avevano ucciso Pecorelli. Il perito rispose negativamente; dalle carte in archivio di Stato, su un fascicolo trasmesso da un’altra Procura, abbiamo scoperto che questo perito era dei servizi segreti, e che c’è un interrogatorio in cui egli, vent’anni dopo, dice che una vera perizia non era stata fatta ed anzi le pistole erano state modificate in modo da impedire che una vera perizia potesse essere fatta. Questo per fare un esempio. Quindi intorno alla morte di questo giornalista ci sono tantissimi filoni di altre indagini, dato che Pecorelli utilizzava il giornale un po’ per minacciare i potenti, un po’ per lanciare frecciatine, un po’ per ricattare o comunque battere cassa per far sopravvivere il giornale. fatti. Si disse che era impossibile trovare un movente perché di moventi ce n’erano troppi, in quanto Pecorelli si occupava di tutte le vicende di quegli anni. Ma un dato è fondamentale: Pecorelli aveva le lettere private di Moro, quelle indirizzate alla famiglia, non pubblicate prima, e le aveva perché aveva un rapporto stretto con il generale Dalla Chiesa. Varisco, capo della Polizia Penitenziaria di Roma, collaboratore fidato di Dalla Chiesa, riconobbe Pecorelli nella persona che accompagnava lui e Dalla Chiesa al carcere di Cuneo per nascondere le lettere di Moro. Ci sono resoconti di incontri tra Varisco, Pecorelli e Giorgio Ambrosoli a Roma. Pecorelli era iscritto alla P2 e amico di Gelli; l’amicizia s’interrompe quando egli rimproverò Gelli per non aver ottenuto i finanziamenti che cercava, nonostante appunto l’iscrizione alla Loggia. Dalle carte è emersa anche un’agenda di Andreotti che attesta i suoi stretti rapporti con Gelli e Sindona. Da tutto questo materiale è difficole isolare quello che riguarda specificamente Pecorelli; finora abbiamo letto 600.000 pagine su 800.000. Chichiarelli, il falsario del “lago della Duchessa”, ucciso nel 1984 poco tempo dopo aver compiuto la “rapina del secolo”, è stato visto pedinare Pecorelli nei giorni precedenti il suo omicidio.

Elisabetta Rubini. Le ombre sulla discesa in campo di Berlusconi. Apparentemente non c’è stato nulla di occulto nella discesa in campo di Berlusconi, che anzi è stata l’emersione di un potere indiretto preesistente. Nel messaggio del 26 gennaio 1994, Berlusconi si presenta contrapposto a forze politiche illiberali ed economicamente disastrose, cerca di distinguersi dalla precedente classe politica, cavalca il risentimento dell’opinione pubblica ed il desiderio di rinnovamento. In realtà non si tratta realmente di un uomo nuovo, esistono molti lati oscuri che consentono di inquadrarlo nel tema di questo convegno. Si tratta effettivamente di un imprenditore di successo, ma la sua ascesa è avvenuta all’ombra di quel potere che Berlusconi mostra di disprezzare nel discorso della “discesa in campo”. Il consolidamento di una posizione dominante in campo televisivo è avvenuto attraverso una serie di tappe legislative, contrarie al dettato della Corte costituzionale che raccomandava la pluralità delle fonti, favorite dal CAF: dal decreto del 1984 di Craxi (che consentiva alle TV locali di trasmettere in maniera coordinata) alla legge Mammì, che consacrava la situazione esistente; e per ottenere tali risultati fu fondamentale l’amicizia con Craxi, che in compenso riceverà 22 miliardi. Nel 1978 Berlusconi si iscrive alla P2 (cosa accertata nonostante le smentite dell’interessato) che gli consentirà di ottenere finanziamenti da banchieri iscritti alla stessa loggia. Le consonanze tra Berlusconi e la P2 sono il presidenzialismo, l’autoritarismo, il controllo dell’informazione e l’anticomunismo. Fra i lati oscuri di Berlusconi vi è anche il suo rapporto con la giustizia, costellato da una martellante campagna di delegittimazione e da strumenti legislativi ad hoc, e segnato da una condanna definitiva per frode fiscale e da una civile al risarcimento dei danni per corruzione di un giudice. In molti casi ha beneficiato della prescrizione grazie anche a leggi sopravvenute più favorevoli (come la Cirielli e la depenalizzazione del falso in bilancio), e si trova tuttora imputato nel processo “Ruby-ter”. La narrazione della persecuzione giudiziaria ha preso piede grazie al controllo delle TV pubbliche e private: emblematico il caso del messaggio a reti unificate del gennaio 2003 contro la Cassazione che aveva rifiutato il trasferimento di un processo a Brescia. Un’altra figura fondamentale per la vicenda berlusconiana è Dell’Utri, di cui sono stati accertati i rapporti con Cosa Nostra in diverse sentenze, tra cui una definitiva per associazione mafiosa. Cosa Nostra era in cerca di sponde politiche e pensò di rivolgersi a Forza Italia per ottenere alleggerimento del regime carcerario, fine dei sequestri di beni, e fine della protezione ai pentiti. Nel 1994 dopo la vittoria di Berlusconi si svolsero due incontri tra Mangano e dell’Utri; il decreto Biondi, che tra l’altro avrebbe reinserito i reati di mafia tra quelli per cui si poteva dare notizia delle indagini, fu sventato per l’opposizione del “pool Mani Pulite” e le riserve della Lega. Dalla sentenza della Corte d’Assise di Palermo del 2018 sulla “trattativa” emergono inquietanti risultanze sui rapporti mafia-politica, che porranno gravi problemi se la sentenza sarà confermata.

Fabio Repici. Perché Cosa Nostra si fa stragista. La trattativa Stato-Mafia. La mafia ha la violenza come dato congenito. Lo stragismo mafioso non nasce solo alla fine della Prima Repubblica: si pensi a Portella della Ginestra, che (ancorché eseguita – forse – dal solo Giuliano) avvenne almeno con la supervisione di Cosa Nostra. Ma insieme alle stragi, Cosa Nostra ha portato avanti uno “stragismo di bassa intensità” (decine di assassini di sindacalisti fino al 1965, otto giornalisti uccisi tra il 1960 ed il 1993, decapitazione del potere statale a Palermo tra il 1979 ed il 1985). La fine della prima repubblica ha anche una connotazione geo-politica, s’inserisce nei mutamenti avvenuti nel 1989: e proprio nel 1989 vengono compiuti alcuni importanti delitti che rappresentano l’antefatto dello stragismo successivo (attentato all’Addaura, omicidi Agostino, Saetta e Scopelliti). Falcone e Turone in una relazione del 1982 definirono i delitti mafiosi del terzo livello come quelli che mirano a conservare il perpetuarsi del sistema mafioso in genere (ad esempio omicidio di un politico che minacci il sistema di potere mafioso). Nella sentenza del 1987 relativa al maxi-processo di Palermo, la Corte parlò di deliberata convergenza d’interessi tra politica e mafia, e prese ad esempio Liggio che dice di essere stato contattato per appoggiare il golpe Borghese. Questo per dire che non è una fregola da complottisti indagare sui rapporti tra mafia e politica. Solo chi è privo di buon senso può ascrivere alla sola Cosa Nostra i fatti avvenuti tra il 1992 ed il 1994. A partire dal 1989 si apre una nuova fase dell’atlantismo, che non è più anti-sovietico, che porta alla caduta dei vecchi referenti, che diviene “democratico”, determinando nuovi equilibri anche nella Polizia di Stato e dei Servizi, con l’ascesa della Polizia “democratica” (nel senso americano del termine). La politica stragista si dipana negli anni 1992-94. Il primo delitto della fase stragista è la strage di Capaci. E’ significativo che fosse stato designato come esecutore della strage di capaci Pietro Rampulla, già condannato per episodi di squadrismo insieme ad esponenti neo-fascisti. Falcone non doveva soltanto essere ucciso: le modalità del suo omicidio hanno anche scopo dimostrativo. E’ singolare che poi Rampulla, dopo aver curato tutti i preparativi, non partecipi direttamente all’esecuzione, per motivi che Brusca , manifestandosi palesemente reticente (parlò di “motivi di famiglia”…), non volle chiarire. Sulla strage di Via D’Amelio il depistaggio, iniziato con l’agenda rossa e finito con Scarantino, è finalizzato ad occultare la partecipazione di uomini dello Stato alla strage anche in fase esecutiva (lo dice la Corte di Caltanissetta nella sentenza del 2017), come emerge dalle dichiarazioni di Spatuzza che affermò di aver visto un uomo non appartenente a Cosa Nostra partecipare al riempimento di esplosivo dell’auto usata in via D’Amelio. Questo rappresenta un ulteriore elemento che consente di dire che Cosa Nostra non ha operato da sola. Come è singolare la vicenda del vice questore Calogero Germanà, trasferito, e poi vittima di un attentato mancato ma posto in opera da un’inedita squadra (Bagarella, Graviano, e Messina Denaro: i vertici di Cosa Nostra), dopo essere stato chiamato dal Viminale a rendere conto di una informativa sui legami tra il massone mafioso Mariano Agate, il senatore Vincenzo Inzerillo ed il notaio Pietro Ferraro. Lo stragismo si sposta in continente, con l’attacco al patrimonio storico-artistico: chi lo suggerisce a Cosa Nostra è un uomo con legami con Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini da Reggio Emilia, in incontri del 1992 con Nino Gioè sotto il controllo di Brusca, un uomo con legami tali da consentirgli (caso unico) di essere detenuto sotto falso nome. Sul tema della “trattativa” si è sottovalutato il dato del rivendicazionismo: Cosa Nostra non aveva mai rivendicato, se non nel caso di Dalla Chiesa (in cui poteva aver agito per conto di altri), che anzi era stato preannunciato. Riina ordinò di rivendicare col nome di “Falange Armata” gli attentati del 1991-92, e così avvenne; il dato decisivo però è che tale sigla non fu né inventata da Cosa Nostra, né usata per la prima volta dalla stessa: in precedenza questa sigla era stata usata nel 1990 nell’uccisione di un educatore penitenziario di Milano-Opera (Umberto Mormile) per coprire un incontro in carcere tra lo ‘ndranghetista Domenico Papalia ed uomini dei servizi, omicidio che poi si accerterà processualmente commesso da ‘ndranghetisti su richiesta dei servizi segreti. Quindi il progetto stragista non è solo di Cosa Nostra. La vicenda di Mormile, legata al carcere, riporta alla richiesta (soddisfatta) di Cosa Nostra del 1993 di avere un regime carcerario meno duro, quando al DAP viene di fatto nominato capo (essendone formalmente il vice-capo) il magistrato di Barcellona Pozzo di Gotto Di Maggio che non aveva i titoli per tale nomina, e per volontà del Presidente della Repubblica Scalfaro, facendo saltare tutte le regole. Ci sono stati molti tentati golpe, le cosiddette “intentone”, ossia minacce di golpe con funzione stabilizzatrice. Quando vi partecipa Cosa Nostra lo fa col sangue. Questo è ciò che è avvenuto, e che riduttivamente è stato chiamato “trattativa”: si è trattato della torsione del nostro paese, che non a caso coincide con la fine della prima repubblica e l’avvento della seconda. Quando la politica è debole, sono gli apparati che assumono il controllo. Del resto oggi a dirigere la lotta alla mafia per delega del sottosegretario agli Interni c’è un uomo del SISDE di Messina del biennio stragista, un uomo di Contrada.

Claudio Fava. Massoneria e poteri illegali. Quando si cerca di indagare sui rapporti tra mafia e massoneria, scatta una reazione di ostilità. Nella scorsa legislatura abbiamo dovuto usare i poteri dell’autorità giudiziaria, come commissione antimafia nazionale, per ottenere gli elenchi dei massoni calabresi e siciliani. A Castelvetrano, dove il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose, in consiglio e giunta erano ampiamente presenti esponenti della Massoneria, lì dove si è costruita la latitanza di Messina Denaro, e lì dove 30 anni prima era stata scoperta la loggia “Iside 2” in cui si trovavano imprenditori, rappresentanti istituzionali, e mafiosi. Le logge massoniche sono un luogo di riservatezza,in cui si mescolano interessi legali ed illegali, in cui ci si possano scambiare segni di protezione ed impunità, di cui la mafia ha bisogno. Analogamente, i Cavalieri del Santo Sepolcro a Palermo, il cui Gran Balì, conte Cassina, aveva beneficiato degli appalti per la manutenzione di strade e fogne a Palermo senza gara per 28 anni (con un costo pari a sei volte quello di Milano) diventano l’emblema della Palermo degli affari, e vi aderiscono capo della Squadra Mobile, Carabinieri, Prefetto, magistrati. Dall’acquisizione delle liste dei massoni, è emerso che ben 183 di loro (su 1700) erano indagati per mafia; e questo nelle logge ordinarie, senza contare quelle “coperte”, di cui non è traccia nei censimenti ufficiali. Anticamente, i mafiosi non si potevano iscrivere alla massoneria, ma il divieto è stato superato. Riservatezza e obbedienza sono due condizioni ideali per le organizzazioni criminali, e nelle logge massoniche si trovano. Sarebbe interesse delle autorità massoniche ufficiali collaborare per scoprire eventuali infiltrazioni, ma ciò non accade perché esse manifestano una notevole chiusura. Forse non è un caso che il Procuratore di Caltanissetta Tinebra (da molte fonti indicato come massone) non riceva Borsellino per oltre 50 giorni dopo Capaci, ma 4 ore dopo Via D’Amelio decida (illegittimamente) di affidare le indagini al SISDE di Contrada (anch’egli indicato come massone da Siino), il quale, sapendo di non poterlo fare, chiede di coinvolgere nella decisione tutta la filiera di comando. In seguito avverrà il depistaggio con Scarantino, la cui prima “legittimazione” arriva dal SISDE.

Isaia Sales. Le mafie e l’economia italiana, nella I e nella II Repubblica. Le forme criminali di carattere predatorio nel corso della storia non riescono a stabilizzarsi e vengono sconfitte dallo Stato. Le mafie, invece, hanno avuto successo perché non si contrappongono allo Stato e alle classi dirigenti, ma si relazionano con essi. I mafiosi vogliono distinguersi dai criminali comuni, devono dimostrare che agiscono per nobili principi. Inoltre sono ordina mentali, condividono con lo stato la tassazione, l’organizzazione, la punizione. Anche la criminalità esistente nelle grandi città europee nell’800 aveva carattere associativo, ma era predatoria. La mafia vieta di rubare, la sua forma tipica è l’estorsione, che è affine alla tassazione, e viene riscossa in base alla fama di uomo violento che il mafioso ha. Le mafie si organizzano in sette segrete perché debbono nobilitare la violenza, e lo fanno imitando Carboneria e Massoneria. Ritualizzazione, ideologizzazione, ordina mentalità, connubio con le classi dirigenti, mescolamento di attività legali ed illegali. Da questo punto di vista le mafie portano una novità nell’economia. Si sa che l’accumulazione del capitale può avvenire in modo violento, ma poi in genere questo viene abbandonato una volta che si entra nell’economia legale. Le mafie sono le uniche organizzazioni che iniziano nel mercato illegale, e poi si trasferiscono in quello legale senza però mai abbandonare il primo, sono l’unica vera “economia mista”, se dovessero abbandonare il mercato illegale non sarebbero competitive su quello legale. All’inizio le mafie svolgono una funzione di ordine pubblico, si relazionano con le classi dirigenti perché tengono a bada i delinquenti più riottosi. Si osservano diverse fasi: dapprima le mafie accumulano il capitale nell’economia del vizio, come ad esempio il contrabbando di sigarette che è tollerato dallo Stato perché serve a far sopravvivere molte persone ed evita che esse si diano ad attività criminose peggiori. Poi ci sono interventi in eventi importanti, come quello di Cutolo nel rapimento Cirillo, che fanno ottenere alle mafie tangenti perfino superiori a quelle spettanti alla politica nei lavori pubblici, settore economico a ridosso della politica. Infine i proventi vengono reinvestiti al Nord, dove le mafie trovano una rete di connivenze in un’imprenditoria abituata ad eludere la legge. Gli economisti hanno difficoltà a spiegare le mafie: gli economisti classici sostenevano che le attività criminali distruggevano ricchezza (Adam Smith) o, nella migliore delle ipotesi, la spostavano da un soggetto all’altro. Marx, invece, fece un “elogio del crimine”, sostenendo che esso incentiva talune attività (fabbricanti di serrature, avvocati, etc.). Oggi ci troviamo di fronte ad indicazioni della UE che impongono di tener conto nel PIL di attività illecite come lo spaccio di stupefacenti, la prostituzione, o il contrabbando di sigarette, poiché si tratterebbe di attività “a domanda libera”. Inoltre è da notare che le mafie hanno trovato nei paradisi fiscali lo strumenti per riciclare i loro proventi, e che si sostenuto che il sistema bancario mondiale ha potuto restare in piedi proprio grazie alla liquidità derivante dalle attività criminali, in particolare dal traffico di stupefacenti. Conclusivamente, le cause di successo delle mafie derivano dal duopolio della violenza (in Italia non c’è mai stato monopolio statale), dalla polistatualità (compresenza di più poteri), e oggi anche dal fatto che le mafie sono divenute protagoniste dell’economia legale. Ciò poteva essere evitato, ma non lo si è fatto per un pregiudizio morale contro il consumo di stupefacenti. Il risultato è che al confine sud degli USA è presente un narco-stato come il Messico, in cui i proventi della droga superano quelli del turismo e del petrolio. Le mafie, da fenomeno locale, si sono inserite dapprima nel processo di nazionalizzazione, e poi in quello di globalizzazione.

Giorgio Galli. Le colpe della politica: dalla DC alle lobby. Si è parlato di miracolo italiano fino agli anni ’60. Con l’avvento del centro-sinistra inizia la stagnazione. L’economia italiana ha continuato a crescere ma lentamente ed in maniera distorta. Il titolo della relazione parla di colpe della DC, ma le colpe non furono solo di quel partito. Claudio Napoleoni, economista del PCI, aveva pensato ad un “patto dei produttori” e ne fu espressione l’accordo sulla scala mobile; poi però il PCI non volle proseguire su quella strada. La DC vi era del tutto contraria. Si passò allora all’economia della corruzione. Questa si combinava col familismo amorale, cioè con la tendenza al prevalere degli interessi del clan su quelli civici. Struttura e sovrastruttura si saldavano, ed il risultato fu la stagnazione, dovuta al rifiuto di un “patto dei produttori” da parte dei partiti storici la cui dialettica aveva determinato la ricostruzione e lo sviluppo. Si è così trasformato il capitalismo italiano in un capitalismo parassitario nel quadro di trasformazione del capitalismo globalizzato delle multinazionali. Fanfani disse che la morte di Mattei fu forse l’inizio del terrorismo. Questa trasformazione strutturale dell’economia italiana è costellata di morti.

Leo Sisti. I favori dell’Unione europea alle multinazionali. Articolerò la relazione in due parti, una prima dedicata agli aspetti economico-fiscali, ed una secondo più specificamente ai poteri occulti. In tema di unione fiscale, in ambito UE occorre l’unanimità, per questo si fanno pochi passi avanti. Abbiamo lavorato per due anni sulla UE, leggendo migliaia di documenti; quando il lavoro si è concluso, nel 2014, pochi giorni dopo Juncker è divenuto presidente della Commissione UE. Con una copertina sull’Espresso lo abbiamo definito “inadatto”. Il Lussemburgo, con un sistema inventato da Juncker, negoziava con le multinazionali imposte bassissime, Amazon ad esempio pagava l’1%, in tal modo miliardi volavano ai paradisi fiscali, facendo mancare risorse per 1000 miliardi all’anno nella UE; e cose analoghe accadevano in Belgio, Olanda e Irlanda. La commissione d’inchiesta fatta a Bruxelles sull’onda dello scandalo non ha prodotto risultati se non modesti. Basterebbe che le multinazionali pagassero le tasse per risolvere molte delle ristrettezze di bilancio con cui gli stati dell’UE devono fare i conti ogni anno. Un altro fenomeno notevole all’interno della UE è la funzione delle lobbies, sulla cui attività non si sa nulla di ufficiale. Veniamo alla seconda parte della relazione. Nel 2007 Juncker viene intercettato dai servizi lussemburghesi, che gli riferivano di aver schedato 300.000 persone, tra cui il Granduca per i suoi rapporti coi servizi britannici. Solo nel 2012 nasce un’inchiesta parlamentare, in cui Juncker dice che i servizi segreti non erano una priorità. L’inchiesta si fa perché a metà degli anni ‘80 una ventina di attentati terroristici, anche se senza morti, avevano interessato il Lusssemburgo. Era il periodo di Gladio, al cui proposito Juncker fa lo gnorri. Oltre alla commissione parlamentare, ci fu anche un processo contro dei poliziotti che avrebbero partecipato agli attentati, in cui fu sentito come teste un tedesco che riferisce che suo padre,deceduto, appartenuto ai servizi, gli avrebbe detto di aver partecipato a due stragi, a Bologna e Monaco (1980): il processo viene sospeso e non ha più avuto alcun seguito. Un altro testimone, appartenente ai servizi lussemburghesi, parla di un coinvolgimento negli attentati di Licio Gelli e di Gladio. Per il Lussemburgo è anche transitato nel 1981 denaro da una società gelliana al Banco Ambrosiano. Il denaro era poco ma poteva essere la spia di qualcosa che riguardava il “tesoro” di Gelli.

Davide Conti. La storia condivisa? La memoria condivisa non esiste, perché la memoria è un fattore soggettivo. In Italia la proposta di ricordare, accanto al 27 gennaio (giornata della memoria in cui si ricorda l’ingresso dell’Armata Rossa ad Auschwitz) anche il 16 ottobre, data del rastrellamento del Ghetto di Roma, non è stata accolta, diversamente che in Francia, dove si ricorda anche il 16 ottobre, rastrellamento degli Ebrei di Parigi. Il 10 febbraio ricordiamo invece le Foibe, una scelta controfattuale anzitutto per la data, visto che le vicende che si ricordano si dipanano tra il settembre 1943 ed il maggio 1945, mentre la data di febbraio ricorda il Trattato di Pace. Il 17 marzo celebriamo l’Unità d’Italia ricordando un passaggio formale, il dcreto di annessione. Il 20 settembre sarebbe stato più consono ma avrebbe urtato il Vaticano. Così il 9 maggio ricordiamo le vittime del terrorismo, perché quello è il giorno della morte di Moro: in questo modo si vuol significare che un gruppo esterno attaccò il cuore dello Stato, senza dire che era dal cuore dello Stato che nasceva l’eversione.

Ilaria Moroni. Come non perdere il filo della memoria. Partirei da una domanda: si potrebbe fare lo stesso convegno tra 100 anni? Il tentativo di tenere memoria di quello di cui stiamo parlando è legato a quello che ci permette di farlo. Bisognerebbe vedere tra 100 cosa resterebbe dei documenti; già non è chiaro in partenza cosa ci serve. Noi abbiamo una costituzione antifascista che si è inserita in uno stato fascista, con una burocrazia fascista, e questo potere si inserisce in tale dicotomia. Affrontare gli argomenti trattati oggi sarebbe stato molto più difficile dieci anni fa. Curo l’archivio Flamigni che, oltre a raccogliere le carte di Sergio Flamigni, ha ricevuto anche altre carte di archivi privati. Ad un certo punto ci siamo chiesti dove cercare le altre carte, quelle che mancavano a noi. Intuitivamente ci si rivolge alle istituzioni che producono i documenti: in primo luogo uffici giudiziari e commissioni parlamentari. Quando abbiamo iniziato questo lavoro, accedere agli atti delle commissioni parlamentari era impossibile; del resto tuttora la Commissione Sindona ha segretato tutti gli atti, comprese le rassegne stampa. Inoltre Camera e Senato hanno archivi separati che non comunicano tra loro, e la Commissione Antimafia ha formato un terzo, ulteriore archivio. E questo rende difficile il lavoro di chi fa ricerca, che in genere ha poco tempo e pochi soldi. Per quanto riguarda gli archivi giudiziari gli affari devono essere conclusi. Il progetto della rete degli archivi per non dimenticare comincia con un censimento avviato in tutta Italia su “archivi supplenti”, cioè di associazioni della società civile, che per vari motivi hanno raccolto documenti d’interesse storico, e che davano il maggiore accesso possibile. All’inizio ci volevamo solo contare, vedere quanti eravamo, ed in Italia sono circa 60 gli archivi privati di questo tipo. Abbiamo fatto un censimento, e le associazioni dei familiari delle vittime sono quelle che maggiormente ci hanno aiutato. Il portale, nato nel 2011, da un lato raccoglie la memoria che c’è; abbiamo inserito tutta la documentazione giudiziaria disponibile; il sistema è “intelligente”, ossia riconosce le parole più frequenti; e quello che leggo oggi della documentazione giudiziaria non è quello che leggevo allora. Se col processo per piazza della Loggia non si fosse digitalizzato tutto il processo, non avremmo avuto le condanne che ci sono state, né ci sarebbero stati gli altri processi copmpreso quello di Bologna, perché si tratta di milioni di pagine. E tutto questo è stato fatto grazie all’associazione dei familiari delle vittime del terrorismo. Se l’associazione di Manlio Milani di Brescia non avesse digitalizzato in corso d’opera il processo, questo si sarebbe interrotto, perché ad un certo punto parte delle carte sparì. Ovviamente la documentazione che abbiamo è lacunosa, ma dai buchi che abbiamo si può ricostruire ciò che manca. A volte ci sono riunioni che neanche vengono verbalizzate; i verbali dei comitati di crisi del rapimento Moro non li abbiamo, pensavamo non esistessero finché non ne è emerso uno, ma gli altri ci mancano. Oppure, altro esempio, mancano i brogliacci della Centrale Operativa del 16 marzo da un’ora x ad un’ora y. Una parte degli atti della Commissione P2 fu segretata, e giustamente perché c’era un processo in corso, ma poi non è stata desegretata neanche dopo, e la questione è stata recentemente posta al Presidente Fico durante un incontro con l’associazione dei familiari delle vittime. Concludo affermando che una delle operazioni più “depistanti” che è stata fatta in questa materia è la direttiva Renzi. Sono nel comitato che verifica i documenti declassificati. Le associazioni dei familiari si erano limitate a chiedere di declassificare la documentazione parlamentare, e di avere semplicemente l’elenco della documentazione prodotta dai servizi. La direttiva in questione prevede che le amministrazioni dello stato, servizi compresi, avrebbero dovuto versare all’archivio centrale la documentazione relativa alle stragi, non tutta la documentazione relativa a quegli anni. I servizi affermano di aver versato tutto, ma da un esame di quanto versato ci si rende conto che non c’è nulla di quanto ci si attendeva. La vigilanza democratica affinché i documenti non scompaiano deve essere alta, e anche convegni come questo ci aiutano.

Antonio Padellaro. Come ritrovare l’autonomia della politica. Ci sono stati casi in cui si conoscevano gli effetti del potere occulto, ma non le cause. Ad esempio, al Corriere della Sera si avvertiva che con Di Bella direttore il giornale fosse etero-diretto, ma le cause si scoprirono solo dopo lo svelamento della loggia P2. Oggi invece si hanno poteri noti, ma non si conoscono bene le loro conseguenze, o comunque i loro processi decisionali. Esempi: l’agenzia di rating Fitch che prevede le elezioni anticipate; la decisione del Ministero dell’Interno di non sgomberare l’edificio occupato da Casa Pound; il ruolo di Casaleggio & Associati. Più che chiedersi quale debba essere il ruolo della politica, occorre chiedersi quale debba essere il ruolo del giornalismo, la politica svolgerà sempre meglio il suo ruolo quanto più ci sarà giornalismo investigativo. Sulla rete il problema non sono tanto le fake news quanto gli odiatori mirati. Non c’è una cura diretta: l’informazione è l’unica strada per fare in modo che il sonno della ragione trovi un antidoto.

Nadia Urbinati. Ce la faremo? L’arcano è sempre stato associato al potere, che aspira ad essere perenne e a non essere visto. Si è perciò lavorato per svelare l’arcano, sia per controllare il potere che per poter fare scelte oculate. Ci sono due modi: rendere la funzione del potere temporanea, e separare la funzione da chi la svolge. Entrambe sono strategie per rendere la politica una funzione pubblica. A ciò si aggiunge il ruolo della pubblica opinione. Non è che si debba conoscere tutto, ma almeno ciò che i politici fanno nella dimensione pubblica e qualcosa del loro privato che interferisce col pubblico. La democrazia rappresentativa non è una contraddizione, non necessariamente genera oligarchia. Tuttavia esiste il rischio che le élites si attirino tra loro e formino un monopolio di potere, contro il potere diffuso. Se si consolida il “cartello” gli arcani aumenteranno. Il potere occulto va visto come conseguenza del monopolio del potere.

(*) L’autore del testo, ex magistrato e funzionario parlamentare, è socio di LeG.

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