Il re è nudo: lo dice il Quirinale

Il re è nudo: lo dice il Quirinale

Partiamo da una presunzione di buona fede: che nella sua saggezza, il presidente della Repubblica abbia agito nell’ interesse del Paese, operando scelte drammatiche ma inevitabili. Il capo dello Stato non ha formalmente argomentato, in punto di diritto, il suo rifiuto di nominare il ministro dell’ Economia indicato dal presidente del Consiglio incaricato.

Non ha spiegato quali disposizioni della Carta gli conferirebbero questo potere di veto – nonostante autorevole dottrina, a partire da Costantino Mortati, ne escluda la configurabilità – né ha indicato contro quali previsioni costituzionali sarebbe andata a urtare la nomina di Paolo Savona. Si è limitato a fare riferimento alle preoccupazioni che tale nomina avrebbe suscitato negli “operatori economici e finanziari” e alle conseguenze negative che sarebbero derivate dall’ adozione di una “linea che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’ Italia dall’ euro”.
Alcuni hanno ritenuto di rinvenire nella posizione presidenziale l’ affermazione della irreversibilità dell’ adesione dell’ Italia all’ Unione europea e alla moneta unica, in forza degli art. 11 e 117 Cost.
Alla luce del nostro ordinamento pare indiscutibile che dalla previsione di possibili limitazioni di sovranità derivi la possibilità di stipulare patti internazionali che sanciscano, nelle materie interessate dagli accordi stessi, la prevalenza degli atti dell’ ordinamento pattizio su quelli dell’ ordinamento interno. Sul punto, il “contratto” di governo siglato da Salvini e Di Maio era di una debolezza imbarazzante, là dove, con toni da social network, reclamava la “prevalenza” della Costituzione sul diritto dell’ Unione nella completa ignoranza della decennale elaborazione giuridica in argomento.

Quel che, invece, pare discutibile è che dall’ art. 11 Cost. derivi la irrevocabilità della sottoscrizione dei patti, come se la sovranità, una volta limitata, non potesse più riespandersi. Manca, in proposito, ogni nesso di implicazione logica: a ritrovarsi limitata dall’ art. 11 Cost. non è la capacità di autodeterminazione dello Stato nello scenario internazionale, ma l’ àmbito materiale di estensione dell’ ordinamento giuridico interno, fintanto che l’ Italia mantiene ferma la sua adesione al patto. E poi: perché tra tutti i vincoli che il diritto europeo impone al nostro ordinamento, il Presidente ha deciso di far riferimento esclusivamente a quelli di natura finanziaria? Il “contratto” pentaleghista conteneva clausole discriminatorie ai danni degli stranieri, anche comunitari, indiscutibilmente in contrasto con l’ ordinamento Ue: perché nessuna parola da parte del presidente su questi profili? Perché nessun dubbio – anzi, l’ esplicito consenso – sull’ esponente politico destinato a porre in essere tali clausole nella veste di ministro dell’ Interno? Evidentemente, il punto erano i vincoli finanziari in sé considerati, non i vincoli europei.

Rimane un’unica ricostruzione giuridicamente sostenibile: che il presidente della Repubblica abbia agito nella sua veste di supremo reggitore dello Stato. A fronte di una situazione eccezionale, suscettibile di porre a repentaglio la tenuta stessa della Repubblica, attenersi alla puntuale configurazione giuridica delle prerogative costituzionali avrebbe legato le mani al capo dello Stato, impedendogli di assolvere al suo dovere supremo: salvaguardare la sovranità nazionale. Anche in questo caso, tuttavia, qualcosa non torna, se proprio nel momento in cui si risolve ad assumere su di sé l’ onere di salvare la Nazione, il presidente ammette, apertis verbis, che occorre mettere la sordina alla sovranità popolare e piegarsi ai diktat provenienti dalla finanza internazionale. Vale a dire, che per salvare la sovranità occorre sacrificare la sovranità: un vero e proprio avvitamento logico.

Non si può escludere che situazioni analoghe si fossero verificate in passato. Mai prima d’ ora, però, il re aveva così platealmente ammesso – lui stesso, non il bambino innocente! – di essere nudo.
È possibile che a ciò il presidente Mattarella sia stato costretto dalla indisponibilità a tornare sui propri passi mostrata, per il tramite del presidente del Consiglio incaricato, dall’ alleanza pentaleghista. Ciò non toglie che il potere abbia bisogno del filtro delle regole giuridiche per esorcizzare la propria stessa natura profonda, fatta di relazioni di dominio se non di veri e propri rapporti di forza bruta. Squarciare il velo del diritto – ammoniva Kelsen – è pericolosissimo: dietro quel velo si cela la Gorgone del potere, capace di pietrificare col suo sguardo chi se la ritrova innanzi.

Fuor di metafora, ora che il precedente è stato palesato, chi potrà impedire ai futuri presidenti di comportarsi nel medesimo modo?

Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2018

(*) Professore associato di Diritto costituzionale a Torino, membro del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia.

3 commenti

  • “……che il presidente della Repubblica abbia agito nella sua veste di supremo reggitore dello Stato. A fronte di una situazione eccezionale, suscettibile di porre a repentaglio la tenuta stessa della Repubblica, attenersi alla puntuale configurazione giuridica delle prerogative costituzionali avrebbe legato le mani al capo dello Stato, impedendogli di assolvere al suo dovere supremo: salvaguardare la sovranità nazionale.”
    Salvaguardava l’integrita’ nazionale anche quando non ha mosso un dito per evitare che un parlamento imporcellato stravolgesse la Costituzione e potenze straniere atterrissero i cittadini italiani che col NO referendum si accingevano a difendere la propria Carta e la propria sovranita’ mentre il Presidente, eletto dal suddetto imporcellato Parlamento, rivelava al mondo e ai propri increduli concittadini che lui al referendum lui avrebbe votato si?

  • L’articolo trascura una circostanza: per molti giorni, i quotidiani nazionali hanno titolato che c’era un veto su Savona e che la Lega poneva il veto sul veto. Se Mattarella non fosse uscito allo scoperto, un precedente si sarebbe comunque, ma nella direzione sbagliata.

    Già nel discorso del 12 maggio su Einaudi http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=831 aveva citato un discorso del 1954 «Dovere del Presidente della Repubblica evitare si pongano precedenti grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore, immuni da ogni incrinatura, le facoltà che la Costituzione gli attribuisce».

  • Io credo – caro Francesco – che Mattarella abbia agito nell’ interesse del Paese e rappresentato – in modo esemplare – l’ unità nazionale in un delicatissimo passaggio storico-politico-istituzionale in cui era (ed è ) tutt’altro che facile individuare l’ interesse del Paese e rappresentare una unità nazionale sempre più esposta ad attacchi e lacerazioni. Davanti al rifiuto, delle due forze che hanno stipulato il ‘ privatissimo ‘ contratto di governo ‘ , di dare vita a una vera e popria coalizione, il rischio che la tanto decantata ‘ sovranità popolare ‘ si identificasse con un devastante mix di sovranismo leghista e populismo pentastellato era (ed è ) assai forte. Eppure, Mattarella ha saputo rispettare i risultati del voto e attendere pazientemente che i due avversari trovassero un accordo, senza sacrificare la sovranità popolare ma, anzi, esaltandone il carattere profondamente democratico, cioè, pubblico ed ammonendo severamente chi se ne stava strumentalmente appropriando. Condivido, pertanto, la riflessione di Ugo De Siervo che considera la soluzione della crisi un ‘ grande successo del Presidente della Repubblica ‘ ( vedi l’ intervista a Giovanni Mari pubblicata sul Secolo XIX.it di oggi 3 giugno ). Commentando un’ intervista a Lorenza Carlassare – assai critica nei confronti del Capo dello Stato – mi sono permesso di parlare di una ‘ lezione di democrazia costituzionale ‘ impartita, da Mattarella, all’ improvvisata lobby di ‘ avvocati del popolo ‘. Mi avrebbe fatto piacere che Francesco Pallante avesse speso due parole sul clima di intollerabile arroganza che si respirava, nel Paese, fino a quel ‘ veto ‘ – rivelatosi , poi, così politicamente saggio – di Mattarella. Nota in proposito De Siervo : “ Mattarella ha tentato fino in fondo di convincerli a fare il governo senza Savona al MEF, ma loro hanno cercato di imporlo ugualmente. Allora il Colle ha detto che avrebbe formato un altro governo, neutro. E ha subito attivato il procedimento. A quel punto gli altri hanno cominciato a cedere (…). Hanno revocato le accuse di impeachment, spostato il professor Savona, hanno tirato fuori qualche tecnico di area più accettabile. E la cosa è partita praticamente subito “. Cosa ne sarebbe stato dell’ istituto della Presidenza della Repubblica se Mattarella avesse ceduto al diktat degli ‘ avvocati del popolo ‘ ? “ Rimane un’unica ricostruzione giuridicamente sostenibile, scrive Pallante : che il Presidente della Repubblica abbia agito nella sua veste di supremo reggitore dello Stato “. Condivido, naturalmente , e aggiungo che non mi pare una cosa di poco conto se si considera che l’obiettivo dei due movimenti – Lega e M5S – è da sempre quello di mutare geneticamente lo Stato privilegiandone una sola delle componenti : il popolo sovrano, appunto. Trascurando però le condizioni ( vedi il 2° comma dell’ art.3,Cost ) alle quali i Costituenti hanno subordinato l’ effettivo esercizio della sovranità. In altre parole: per i due movimenti oggi al governo l’ordinamento giuridico, formato da istituzioni e leggi, va gradualmente smantellato a beneficio di un modello di democrazia diretta che illuderà cittadini sempre più apparentemente partecipi ( su piattaforme tanto ricche di like e faccine quanto allergiche ad ogni forma di dissenso critico ) ma , in effetti, sempre più votati ad una inconsapevole sudditanza. Lungi , quindi, dall’ aver ‘ messo la sordina’ alla sovranità popolare, il Presidente della Repubblica ha solo respinto – nell’ interesse di un Paese uscito dalle urne ancor più lacerato, smarrito e certamente meno unito di prima – l’ inconsulto progetto di privatizzare ciò che – per la nostra Costituzione – deve avere un carattere pubblico, effettivamente democratico : quella sovranità popolare, appunto, che – come ricorda il 2° comma dell’art.1 – va esercitata non come una clava ma ‘ nelle forme e nei limiti della Costituzione ‘. Forme e limiti che dovrebbero impedirci, appunto, di imbarbarire ulteriormente il confronto politico. E’ della nudità della politica , quindi, del suo sconcertante vuoto che è urgente prendersi cura, più che delle motivazioni addotte da Mattarella per la sacrosanta ’ accelerazione da lui impressa- dopo tre mesi di giobbesca pazienza – alla soluzione della crisi .
    Giovanni De Stefanis, LeG Napoli

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