Zagrebelsky, il M5S si apra ad alleanze chiare prima delle elezioni

23 Apr 2017

Silvia Truzzi

“Ci sono parole che sono entrate nel lessico quotidiano, che ripetiamo tanto più spesso quanto meno sapremmo definirle. Ma suscitano sentimenti. Ci sono parole che obnubilano e altre che rischiarano”. Gustavo Zagrebelsky comincia così la nostra chiacchierata.

Facciamo un esempio, professore? 

“Populismo. Tante definizioni, nessuna definizione. Chiunque è autorizzato a dire che gli altri sono populisti. La parola viene dagli intellettuali russi contrari all’ autocrazia zarista. Ma la si usa a vanvera per Napoleone I e III , per i dittatori sudamericani e il ‘giustizialista’ argentino Perón.

Non si è detto che Pio XII fosse populista, eppure con i suoi rituali magici di massa, si sarebbe potuto. Lo si è detto di papa Wojtyla e ora di papa Bergoglio. Di Trump e prima di Obama. Populisti gli inglesi che hanno votato la Brexit, populisti i nostri ‘sovranisti’.

Insomma: non appena appare qualcuno o qualcosa che incontra un vasto consenso di popolo c’ è qualcuno che non è d’ accordo e allora sventola il pericolo populista. Naturalmente, non sempre la vox populi è la vox dei e quasi mai le blandizie dei politici sono innocenti. Insomma, bisogna stare in guardia e osservare le cose distintamente e analiticamente, separando le buone dalle cattive. Consiglio a chi voglia orientarsi e difendersi dalla seduzione delle vuote parole il recentissimo Populismo 2.0 di Marco Revelli, pubblicato da Einaudi”.

Ha accennato a “sovranista”?

Parola nuova, in uso da quando una vasta opinione pubblica ha messo in discussione le condizioni di partecipazione all’ Unione europea. Ha un’ accezione spregiativa: si chiamano sovranisti coloro che vogliono comunità autoctone chiuse e gli altri ‘a casa loro’, che propugnano protezionismo economico e razzismo più o meno mascherato.

Anche la Costituzione è sovranista: la parola ricorre più volte.

Ricorre ‘sovranità’. La nostra, come tutte le Costituzioni democratiche di questo mondo, nasce dall’ esercizio di un potere sovrano, il potere costituente che decide sui ‘fondamentali’ della convivenza. Partendo da questa premessa, la nostra Costituzione afferma – ripeto: sovranamente – di consentire in condizioni di parità con gli altri Stati, limitazioni di sovranità.

… ma non per favorire élite finanziarie. 

La nostra, per dir così, è una sovranità aperta. Ma le limitazioni ammesse sono solo quelle previste in vista della pace e della giustizia tra le Nazioni, non quelle al servizio della finanza internazionale o di qualunque potere burocratico o militare. L’ obiettivo, di fatto, si è rovesciato in cessione di sovranità politica a favore di sovranità senza popolo, che poco o nulla hanno più con quelle originarie. A proposito di vicende europee: un’ altra parola usata a vanvera è Ventotene.

Nel senso dell’omonimo “Manifesto” di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi?

Sì, quello che tutti citano, anche se non sempre con profitto. Risale al 1941, cioè a un tempo in cui non si poteva sapere quale sarebbe stato l’ esito del conflitto mondiale.

Ventotene racchiude l’ idea di un grande movimento federalista come fusione d’ intenti tra il mondo del lavoro e quello intellettuale. Quell’alleanza si doveva basare sulla lotta alla finanza parassitaria, al militarismo e alla burocrazia, in favore di una società europea che si riconoscesse nell’ uguaglianza, nella giustizia e nella pace. Era un programma per la libertà dei popoli, democratico ed esplicitamente socialista. Che cosa c’ entrino le recite fatue come quella della nave da guerra che incrocia nelle acque di Ventotene, non si capisce. Fanno sorridere, così come le esibizioni muscolari (a parole) del tipo: andremo a Bruxelles ‘a battere i pugni sul tavolo’. Non ci si accorge che è un modo per indicare un avversario ma, al tempo stesso, per legittimarlo.

Mentre occorrerebbe la capacità di agire politicamente alla base, mobilitare forze, intelligenze, competenze per svuotare questa Europa senza distruggerla e rinnovarla riempiendola di altri contenuti conformi alle aspirazioni originarie.

Torniamo alle cose di casa. Non si parla più di legge elettorale. Lei è contento del ritorno al proporzionale?

Ogni sistema ha i suoi pro e i suoi contro. A me un sistema elettorale studiato per ‘far vincere’ qualcuno – chiunque esso sia – contro tutti gli altri non piace, tanto più quando questo qualcuno sia una minoranza della striminzita maggioranza che va a votare. La democrazia è il regime del compromesso. La Dc nel ’48 aveva ottenuto la maggioranza assoluta alla Camera e quasi altrettanto al Senato. Ma De Gasperi, saggiamente, non volle governare da solo.


Un suggerimento ai Cinque Stelle?

Non un suggerimento, ma una riflessione. La purezza in politica non è una qualità.

Porta all’ autoesclusione, all’ insignificanza oppure, se e quando si arriva al potere, all’ integralismo e all’ intolleranza. È pericoloso quando la politica diventa la professione dei puri e duri. Non necessariamente il compromesso è l’ inciucio, come si dice oggi.

Può esserlo, e c’ è il timore che lo sia, dopo le elezioni, quando arriveranno. Lei mi chiede un suggerimento? Allora direi così: coloro che temono l’ inciucio si diano da fare per un compromesso ‘non inciucista’: punti programmatici chiari, concreti, pochi. Ne bastano cinque o sei per riempire, oltre alla routine, un’ intera legislatura. Su questi si lavori per creare convergenze politiche e potenziali maggioranze prima del voto affinché i cittadini di cui si chiedono i voti sappiano per che cosa votano. Invece succede il contrario: in vista delle elezioni ognuno va per conto proprio e poi si vedrà.

Il Fatto Quotidiano, 21 Aprile 2017

In Germania la Große Koalition si forma sulla base di un’ intesa sui programmi raggiunta precedentemente alla formazione del governo.

Infatti! Una cosa è l’ inciucio di potere nelle segrete stanze di cui il popolo sovrano non sa nulla, tipo Patto del Nazareno. Un’ altra cosa è l’ accordo programmatico presentato agli elettori. Il primo è un inganno, il secondo uno strumento della democrazia che rispetta la sovranità degli elettori.

Ma la “governabilità”, si dice, richiede proprio un vincitore: “La sera stessa delle elezioni”, ecc. ecc.

‘Governabilità’ è un’ altra parola vuota e ingannevole. Si dovrebbe dire ‘capacità di governare’. Nessuna istituzione o legge elettorale garantisce questa capacità. Possono permettere colpi di mano, prove di forza, abusi del potere. Ma il governo è un’ altra cosa ed è nella responsabilità delle forze politiche. Una lettura interessante, che qualche tempo fa mi sono permesso di raccomandare a chi di dovere prima del referendum del 4 dicembre, è il Politico di Platone, dove si trovano le immagini del pastore che usa il bastone per tenere unito il gregge, e del tessitore che separa la lana buona da quella cattiva per intrecciare la tela con la materia adatta.

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