Referendum, Gustavo Zagrebelsky Vs Matteo Renzi: guerra dei mondi sulla tirannia della maggioranza

01 Ott 2016

Lo scontro tra due mondi opposti. Divisi su tutto, persino sull’idea stessa di democrazia. E’ questo il leitmotiv dello confronto tv tra il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e il presidente del Consiglio Matteo Renzi in onda su La7.

A 64 giorni dal referendum il premier e il giurista, moderati da Enrico Mentana, si confrontano sul “merito” della riforma costituzionale che sarà sottoposta alla consultazione del 4 dicembre. Da una parte chi l’ha promossa per uscire dalla “palude”, dall’altro il “professorone” in prima fila per arginare la “deriva autoritaria” in caso di vittoria del Sì. Ma si capisce, osservando il duello, che a dividere i due interlocutori non sono tanto gli articoli, i commi e le modifiche apportate al testo costituzionale, quanto una differenza ontologica nella concezione dell’impianto democratico del Paese. “Le elezioni in democrazia non si vincono – dice a un certo punto Zagrebelsky – Chi prevale nelle elezioni non ha ‘vinto’ ma è colui che gli elettori hanno incaricato di un grave compito. Mentre il ‘vincere’ comporta che ci siano degli ‘sconfitti’, che non conteranno nulla”, chiosa il giurista.

“Il cittadino ha il dovere di decidere chi vince alle elezioni e l’Italicum è già una legge proporzionale”, ribatte Renzi. “Il Senato conta meno, perché non si può continuare con un sistema che scambia l’arzigogolo con la democrazia”, aggiunge il premier. Semplificazione contro complessità.

Renzi ha il dente avvelenato nei confronti del costituzionalista, reo di aver firmato l’appello di Libertà e Giustizia contro la “deriva autoritaria”: “Questo appello a mio giudizio è offensivo verso l’Italia. La svolta anti democratica c’è, ed è dove si incarcerano giornalisti, insegnanti, magistrati, non in un Paese in cui si tagliano il Cnel e qualche centinaia di poltrone”, ha attaccato il premier. E poi ha aggiunto: “Con la riforma si semplifica la vita delle persone e si riducono costi della politica”.

Ma il professore Zagrebelsky, col piglio del docente, ribatte: “L’instabilità del nostro paese deriva dal fatto che è un sistema politico molto complesso. Con questa riforma ci sono due rischi: quello di una concentrazione dei poteri al vertice e quello di passare dalla democrazia all’oligarchia”, spiega ancora Zagrebelsky osservando come degli stessi sistemi costituzionali applicati a diverse realtà possano portare ad esiti diversi. “La Costituzione di Bokassa è molto simile a quella degli Usa. Ma la resa è completamente diversa”, afferma citando il noto dittatore della Repubblica Centrafricana. E rimarca la svolta autoritaria: “Il significato di queste riforme è conservativo, servono a blindare un sistema sempre più oligarchico. I fautori del No pensano che le vere riforme si fanno sul corpo, ovvero sulla classe politica, perché riformi se stessa”.

Poi si passa alle nuove modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica: “Oggi è richiesta maggioranza assoluta dei due terzi, calcolata sul numero dei componenti delle Camere. Quando si abolisce il requisito dei componenti vuol dire che un numero anche minimo di presenti con una parte del Parlamento eventualmente assente può eleggersi il suo Capo dello Stato. E questo in un parlamento nel quale ci sono deputati che passano da uno schieramento all’altro per valutazioni non sempre limpidissime”.

Il presidente del Consiglio difende invece il sistema introdotto dalla sua riforma: “Sono radicalmente in dissenso da lei. Con l’Italicum la maggioranza avrebbe il 55% dei seggi: con il sistema di voto previsto oggi, dal quarto scrutinio la maggioranza semplice può eleggersi il presidente della Repubblica. Il Parlamento invece ha previsto di alzare il quorum fino al settimo scrutinio quando i 3/5 dei votanti previsti sono una norma di chiusura. Ma nessuno può pensare che c’è una minoranza così assurda da andar via per far eleggere il presidente”.

Zagrebelsky resta convinto della svolta autoritaria, derivante dal combinato disposto riforme – Italicum. Con questa legge elettorale, la riforma “raggiunge un risultato di premierato assoluto, più forte del presidenzialismo”, ha affermato il giurista aggiungendo che il ddl Boschi è più forte della riforma costituzionale voluta da Silvio Berlusconi. “Ma che sta dicendo? Lei sta dicendo una cosa che non è vera”, replica Renzi che attacca: “La sua parte culturale si è sempre preoccupata di andare contro Berlusconi. Noi abbiamo smosso la palude, perché non volete parlare di futuro?”.

Tuttavia Renzi riconosce che l’Italicum ha un elemento da correggere: “Il meccanismo dei capolista non piace nemmeno a me ed è una delle cose che vorrei cambiare”, ha annunciato il premier.

Il dibattito al calor bianco – seppur condito dal “profondo rispetto” espresso numerose volte dal premier nei confronti del “professorone” – è la rappresentazione plastica dell’incomunicabilità tra due mondi contrapposti, ma al tempo stesso orbitanti nell’area della “sinistra”. Dove nemmeno il metodo per riformare il sistema istituzionale è condiviso: “Il problema – dice Zagrebelsky – è la complessità politica, non è legato alle regole scritte nella Costituzione. Quello del presidente mi sembra il ragionamento del debole che vuole delle regole per diventare forte. Ma le regole non rendono forte nessuno se di suo è debole”.

 Huffington post, 30 settembre 2016

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