L’Italia è ai primi posti nel mondo per corruzione. Un primato negativo che crea un forte pregiudizio per l’immagine del paese, inficia la credibilità delle nostre istituzioni, ha un costo economico non indifferente, calcolato in circa 60 miliardi di euro l’anno dalla Corte dei Conti. A quali esiti conduce l’iniquo connubio tra “corruzione” e “potere”? Quali risvolti determina sul piano della convivenza civile e il regolare svolgimento della vita democratica? Che tipo di interazioni innesca nel rapporto tra cittadini e Stato? Se n’è discusso nel seminario sul tema “Corruzione e potere: una devastante contaminazione” tenutosi giovedì 25 settembre 2014 nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza di Bari. L’incontro di studio è stato organizzato dal Circolo “Libertà e Giustizia” di Bari, in collaborazione con l’Università “A. Moro” di Bari e l’Associazione ONLUS “Cercasi un fine” e ha visto la partecipazione della prof.ssa Luisa Santelli Beccegato, Presidente del Dipartimento di Ricerche Educative e Studi Sociali, che ha coordinato i lavori; della sociologa prof.ssa Letizia Carrera del Dipartimento di Filosofia, Letteratura, Storia e Scienze Sociali; del dott. Pasquale Bonasora, Presidente Ass. “Cercasi un fine”, del prof. Giuseppe Mininni, coordinatore del dottorato di ricerca in Scienze delle relazioni umane, oltre al dott. Guglielmo Rosato, coordinatore del Circolo “Libertà e Giustizia” di Bari. Ospite d’onore la Presidente nazionale di “Libertà e Giustizia”Sandra Bonsanti,che sul perverso intreccio tra corruzione e potere politico, sulle sue conseguenze devastanti sul tessuto sociale e sulla tenuta della democrazia ha realizzato analisi di grande significato e che nella sua recente pubblicazione Il gioco grande del potere (Chiarelettere 2013) parla delle stragi, dei morti, dei misteri, degli uomini corrotti che hanno funestato la storia degli ultimi sessant’anni del nostro Paese, ma anche dell’altruismo e dell’abnegazione dei tanti servitori dello Stato che, con la loro lealtà e senso del dovere, hanno lavorato per il bene comune e hanno salvaguardato la democrazia, anche a prezzo della propria vita. Di questo libro l’attore Michele Cuonzo ha letto alcune pagine su momenti cruciali della tormentata vita democratica italiana.
La parola “corruzione” richiama l’idea di un malcostume, di un vizio, un decadimento morale, sociale e politico, una degenerazione dei costumi, un deterioramento organico, un’idea che è anche di decomposizione e di disfacimento, ha esordito la prof.ssa Santelli Beccegato. E tale perversione da tanti è vista come connaturata al potere. Come se il potere fosse intrinsecamente immoralità, inquinamento, disonestà, forza malefica e contaminante. Gli studi che ricostruiscono la storia della corruzione sin dall’antichità (vedi, ad esempio, lo studio di Luciano Perelli su La corruzione politica nell’antica Roma) in qualche modo accreditano la convinzione che si tratti di un fenomeno atavico, di una patologia endemica. Se poi si aggiunge che questo male non è solo italiano, ammorba molti paesi, e rileviamo i dati della diffusione di questa degenerazione legata alla commistione tra corruzione e potere (principalmente politico), si può essere indotti a pensare che si tratti di un male inesorabile cui conviene rassegnarsi. Un cancro invincibile e inestirpabile connessa all’idea stessa di potere.
Ma – ha osservato Santelli Beccegato – non è il potere in sé che danneggia la società. Il potere fa parte dell’organizzazione sociale. E intanto bisognerebbe distinguere tra “potere su”, imposto dall’alto, che implica un concetto di violenza, e “potere di”, che nasce dal basso e si connette meglio all’idea di servizio. Il problema assume rilevanza di una certa gravità quando osserviamo che l’anomalia rischia di diventare normalità, consuetudine tanto da indurre all’assuefazione e all’adattamento: in Italia la mentalità diffusa a tutti i livelli – dalla politica al piccolo artigiano – è che “tutti rubano” o comunque nessuno è “immacolato”, ragione per cui l’evasione e l’elusione fiscale, la corruzione, il clientelismo illegale, il malaffare, l’illegalità risultano normali o quantomeno giustificabili.
Da questo dato è partita la prof.ssa Carrera che nella sua relazione ha evidenziato come la corruzione produca l’effetto non solo di minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e nello Stato di diritto, di danneggiare l’economia e di privare lo Stato di strumenti di equanimità e di giustizia, ma di abbassare le difese immunitarie, allorquando diventa condizione di normalità e diventa abito mentale congenito. Si pensi alla nozione di “familismo amorale” introdotta da Banfield nell’analisi delle ragioni culturali dell’arretratezza del Mezzogiorno. La mancanza di un ethos comunitario induce a premettere l’interesse privato su quello comune; a strumentalizzare la gestione del bene pubblico e la vita politica per perseguire fini personali, di casta, di lobbies; a diffidare di chi si dedica alla politica in quanto non può essere spinto che da un tornaconto personale, a pensare che nella gestione della cosa pubblica prevalga la legge del vantaggio personale; a ritenere che la corruzione sia l’humus naturale che regola la pubblica amministrazione e che trasgredire la legge sia un male necessario; che nella vita politica tutto ha un costo e niente si fa con disinteresse o per rispetto della legge; che quindi la corruzione sia il meccanismo per progredire. Senza corruzione non si gestirebbero imprese, non si vincerebbero appalti, non si otterrebbero posti di lavori, non si farebbero affari. La pubblica amministrazione, con le sua ragnatela burocratica e le sue complicazioni artificiose, sarebbe una ruota che non gira senza “ungere l’asse”.
La corruzione finisce per rientrare nei costi per la realizzazione di un’opera o per il raggiungimento di un obiettivo. Di fatto la corruzione (la “tangente”) costituisce un costo economico indiretto, specie per l’erario pubblico, frena il progresso tecnologico e la crescita economica del Paese, altera le leggi della concorrenza e fa perdere competitività al nostro sistema imprenditoriale, colpisce soprattutto le piccole e medie imprese, provoca la perdita degli investimenti dall’estero, peggiora i servizi e provoca il cattivo funzionamento degli apparati pubblici. Ma soprattutto, la corruzione ha risvolti di tipo sistemico, dei costi non misurabili in termini economici, che riguardano valori fondamentali per la tenuta dell’assetto democratico quali eguaglianza, trasparenza dei meccanismi decisionali, fiducia nelle istituzioni, funzionamento delle istituzioni pubbliche.
Senonché non è sufficiente descrivere e denunciare il fenomeno, occorre andare alla radice del problema, agire sulle cause. L’approccio alla questione non si deve limitare a conoscere, ma deve conoscere per trasformare. Per adoperare categorie mutuate dal “pensiero organizzativo”, occorre andare al di là di un “modello a giro semplice”, andare oltre cioè la pura constatazione e presa di coscienza, conservando inalterata la nostra mappa cognitiva, ma adottare un “modello a giro doppio”, facendo leva sulla scoperta e la correzione degli errori per modificare la nostra mappa cognitiva, arricchire la nostra personalità e produrre una trasformazione della società. Per questo è necessario un ponderato intervento sul piano culturale a validità differita e incerta. Spetta alle componenti più consapevoli operare per ribaltare logiche consolidate e pratiche inveterate per affermare condizioni di legalità diffusa e di normalizzazione della vita civile.
La lotta alla corruzione – ha detto il dott. Rosato – passa attraverso la bonifica di alcuni gangli del sistema politico ed economico-finanziario ed una decisa azione di contrasto, di smascheramento e di censura degli intrecci perversi tra politica e affari illeciti, di quei meccanismi che snaturano la funzione degli istituti bancari e dell’amministrazione pubblica. Una costante azione di vigilanza tesa al rigoroso rispetto dei principi della trasparenza, concorrenza ed economicità ed una efficace attuazione di misure di prevenzione per disciplinare la contrattazione pubblica specie nei settori della sanità, degli approvvigionamenti di lavori, servizi e forniture e del governo del territorio possono contrastare la diffusione del fenomeno corruttivo.
Sulla prevenzione ha incentrato il suo intervento il dott. Bonasora che ha illustrato l’attività dell’Associazione onlus “Cercasi un fine” che promuove la cittadinanza attiva e l’impegno civile. Per combattere la corruzione, bisogna minare il sistema che ne è alla base e l’alimenta: il cumulo degli incarichi, la concentrazione del potere, la compresenza nelle stesse mani di ruoli istituzionali e quelli di partito, la difesa di alti compensi e privilegi, il consociativismo, i conflitti di interesse, la delegittimazione politica e sociale delle istituzioni. Il deficit etico e professionale dell’attuale classe dirigente, la carenza formativa dei politici trasforma oggi un po’ tutti i partiti in feudi di potere, sedi in cui si ingaggia la loro per il potere, per l’occupazione e la conservazione delle poltrone. Per questo si sorvola su programmi e principi etici, si fomenta il trasformismo e il camaleontismo, si ricorre cinicamente a tutti i mezzi e i metodi per conseguire profitti e interessi personali o di clan. Dalla soluzione della “questione morale” dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, l’effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.
Tutto ciò non deve spingere al qualunquismo o a disertare la vita dei partiti. La corruzione si sconfigge ritornando ad interessarsi della cosa pubblica, ad impegnarsi nei partiti per rinnovarli dall’interno, con idee e principi chiari e strategie efficaci. Per sollecitare questo impegno, l’Associazione “Cercasi un fine” punta sulla formazione, sulla partecipazione e sulla responsabilità soprattutto dei giovani. La loro militanza nei partiti, la gratuità dell’impegno, la distinzione tra impegno di partito e istituzioni, il rispetto di queste, il primato dell’interesse pubblico sono le condizioni per una nuova classe dirigente onesta e capace.
Per il prof. Mininni la corruzione (dal lat.corruptio, etim. cum-ruptiorichiama l’immagine di una crepa, di una rottura rispetto all’integrità richiesta da un ruolo, di un cedimento all’avidità, di un tradimento egoista che infrange un patto di fiducia con chi ti ha accordato il potere. Si tratta di un’infrazione della norma, di un’alterazione della legalità, di un illecito congiunto che è frutto di una complicità, il risultato di una relazione malata. L’esistenza di un corrotto implica quella di un corruttore, ed entrambi traggono benefici illegali. La corruzione è uno scambio di offerte, prestazioni e vantaggi non dovuti, al fine di ottenere o mantenere un affare illecito. Essa normalmente attacca, come un cancro, i meccanismi giuridici ed economici, gli stessi legami, il senso di appartenenza di una società, modificandone il codice genetico. La qual cosa complica la situazione, rende più difficile delimitare con precisione i confini di questa proteiforme adesione a pratiche degenerate e a capire quanti e come sono coinvolti in essa. Se il raggiro della norma, la trasgressione per l’interesse privato, la ricerca del favore a discapito del diritto e del merito, l’amicalità libera dalle leggi, coinvolge non solo politici e pubblici dirigenti, ma irretisce professionisti, docenti, imprenditori, magistrati, forze dell’ordine, operatori culturali, gente comune allettata dal guadagno facile; se tutto ciò assume dimensioni estese (ed è capitato almeno a un italiano su tre non richiedere la fattura, evadere qualche tributo o avere a che fare, in maniera lieve o grave, con pratiche di corruzione), può venire da pensare che si viva in un’atmosfera corrotta, si respiri un’aria viziata, più letale in quanto inodore e incolore, come alcuni gas venefici. Parafrasando la nota espressione dell’autore del Piccolo principe, si potrebbe dire che «l’esiziale è invisibile agli occhi».
Sandra Bonsanti ha ricordato che il primo caso di corruzione teorizzata (e attuata) si riscontra nel cosiddetto “Piano di rinascita democratica”, ritrovato nel 1982 (ma scritto nel 1976) e sequestrato – assieme al memorandum sulla situazione politica in Italia – nel doppiofondo della valigia della figlia di Licio Gelli, faccendiere e maestro venerabile della Loggia massonica segreta P2. Lì si raccomanda di selezionare uomini e forze politiche e di fornirli di «strumenti finanziari sufficienti» per acquisire il predominio nei rispettivi partiti o per creare due movimenti, l’uno a sinistra e l’altro a destra, disponibili ad attuare le finalità del “piano”. L’impiego di strumenti finanziari è prevista anche per “acquisire” giornalisti simpatizzanti e compiacenti. E che i partiti (supportati da certa stampa) siano ancora oggi renitenti a intraprendere provvedimenti efficaci per contrastare la corruzione è dimostrato da quanto sia difficile far calendarizzare in parlamento il pacchetto di norme contro la corruzione e per la reintroduzione del reato di falso in bilancio. La disponibilità di danaro assume così funzione strategica non solo per acquisire posizioni sociali, ma anche per subordinare istituzioni. Diventa arma e scopo di guerre finanziarie in cui gli interessi particolari della finanza speculativa si scontrano con gli interessi generali dello Stato. “Senso dello Stato” contro “senso degli affari”, dice Gustavo Zagrebelsky nella postfazione a Il gioco grande del potere che ripercorre le tappe principali della storia criminale del rapporto potere-denaro nascosto sotto il manto della democrazia negli ultimi decenni: dalla stagione delle stragi all’assassinio di falcone e Borsellino, dalle trame losche di mafie di varia natura e poteri occulti, corpi deviati, servizi segreti, massoneria magistrati corrotti, faccendieri e mestatori. «L’Italia, dietro l’apparenza della vita bella o della bella vita, è un Paese tragico – osserva Zagrebelsky –. Chi ha fatto il conto di tutti i morti? E in quale altro Paese vicino al nostro il saldo sarebbe così tragicamente elevato? La causa è comune. Tutti i grandi scandali economico-finanziari (Calvi, Ior, Banco Ambrosiano, Banca provata, Italcasse, ecc.), tutte le tragedie e gli assassini politici (su tutti, l’assassini di Aldo Moro, ma anche di Piersanti Mattarella e di tanti uomini delle istituzioni: amministratori non compromessi, magistrati, giornalisti, uomini delle forze dell’ordine e servitori dello Stato impegnati a far luce in quella trana) stragi di semplici cittadini la cui morte innocente fu messa su un piatto della bilancia per ottenere posizioni di potere sull’altro piatto: tutto questo si spiega alla luce di una lotta che, alla fin fine, ha per posta flussi illeciti di denaro, equilibri politico-finanziari, appropriazioni indebite di risorse pubbliche».
La posta diviene sempre più alta allorquando i grandi gruppi finanziari e il sistema di potere su cui fanno leva avanzano la pretesa di cambiare la forma dello Stato e le sue leggi fondamentali, di condizionare l’articolazione democratica, di “riformare” le costituzioni. Significativo il documento della primavera del 2013 in cui Jp Morgan, il gigante della finanza globale, chiede ai governi degli stati dell’Eurozona non solo di varare riforme strutturali improntate all’austerity, ma anche di liberarsi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste che sarebbero inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea. Secondo la società finanziaria statunitense, protagonista dei progetti della finanza creativa e della crisi dei subprime, i sistemi politici della periferia meridionale instaurati in seguito alla caduta di dittature riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo e non riescono ad applicare le necessarie misure di austerity, per le loro caratteristiche costituzionali: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo.
Le ultime vicissitudini della vita politica del nostro Paese vanno lette alla luce di questi fatti. Per fortuna, ha concluso Sandra Bonsanti, la Repubblica regge. Grazie a uomini e gruppi che con il senso del dovere e la consapevolezza politica resistono alla disgregazione prodotta dal perverso connubio denaro-potere.
È necessario un nuovo inizio che parta dalla riforma della politica e, per la necessaria riscossa, riparta dai principi e dai valori della nostra Costituzione democratica e antifascista.
Che bellissimo artcolo! Ho una recentissima storia da raccontare MOLTO calzante.
Si sintetizza nella denominazione Peep di badia a Settimo.
Scrivetemi alla mia mail, ne sentirete delle belle.
Di Mattia germano
Sig. Di Mattia,
ma cos’ha trovato di bello in questo articolo? Io nulla! Ho trovato un’altra, l’ennesima narrazione “Sulla Corruzione”!
Il titolo prometteva “proposte risolutive” e per questo mi sono lanciato avidamente nella lettura! Ma ancora una volta vanamente! Di proposte risolutive non se ne vede l’ombra! La Presidente Bonsanti conclude asserendo la necessità di un: “nuovo Inizio che parta dalla riforma della politica e, per la necessaria riscossa, riparta dai principi e dai valori della nostra Costituzione democratica e antifascista.”
Piuttosto sconcertante se solo si ha avuto l’opportunità di leggere quanto la stessa Bonsanti pubblicava il 16 giugno 2011 sulla home di L&G “Costruire la Rivoluzione” (si può trovare con google)!
Un pezzo davvero bellissimo ed esaltante! Purtroppo dimenticato dalla stessa autrice, ma non da me, che concludeva:
“Cambiamola questa nostra Italia. Facciamola nuova. Non ricostruiamo macerie su macerie.
Si chiama, in gergo tecnico politico, “rivoluzione”. Non saremmo i primi e nemmeno gli ultimi a invocarla, profonda, convinta, serena, esigente, libera e giusta.”
Mancavano solo 2 aggettivi:
Costituzionale: perchè possibile nell’ambito della Carta
e Gloriosa: come la 2a riv. inglese del 1688 così chiamata perchè nonviolenta e incruente, ma perfettamente risolutiva col cambio di regime!
Un “Nuovo Inizio” non possiamo lasciarlo alla kasta, ma deve partire col cacciare dal Parlamento quella mediocrità indegna che lo occupa e collocarvi quel ceto colto e riflessivo portatore di quel rigore morale e culturale del Padri Costitutenti (i proff. Rodotà, Settis, Zagrebelsky e simili). p.e.
E c’è una via perfettamente percorribile: si chiama “Rivoluzione Costituzionale e Gloriosa” con la Realizzata Sovranità Popolare, art. UNO della Carta, non un intercalare, e la Democrazia Diretta Propositiva, artt. 50 e 71, per ottenere riforme, per riaffermare la Sovranità Popolare, per ritrovare la Dignità di Cittadinanza, per abbattere l’arroganza della casta e di ogni altra lobby, che siano farmacisti ed avvocati, burocrati e tassisti, generali ed ammiragli, curie e mafie, perchè contro la Sovranità Popolare, non ci sono ricatti o pressioni che tengano, ma conviene solo l’ossequio!
E per blindare la Carta da ogni attacco lesivo del suo spirito originario e autentico, ma non dagli opportuni aggiornamenti!
E per prevenire ed evitare che il prossimo Presidente della Repubblica sia designato al Nazzareno con la determinante partecipazione di un pregiudicato!
Presidente Bonsanti! rilegga quanto scrisse allora! è ancora emozionante e la Cittadinanza è più che mai in Grande Attesa!
Sig. Barbieri,
sarà forse che anche la mia riflessione, partiva da un analisi ironica?
Saluti
Sig. Di Mattia,
troppo leggera la sua vena ironica per la mia rozza sensibilità. Sono cmq contento di condividerla a posteriori.
Saluti e auguri per un Paese migliore!
Speriamo, per i nostri figli ma la vedo dura….
Saluti anche a Lei…
DI Mattia
Commento del 18.10.2014
Ritengo che chi non sia addentro nelle segrete cose di Cosa Nostra (l’oligarchia) abbia avuto l’impressione che sia impossibile liberare la Repubblica dal privilegio e dal malaffare. Si è detto in sintesi:
a) la corruzione inficia l’immagine delle nostre istituzioni, con risvolti sulla convivenza civile e la vita democratica.
Non esiste vita democratica in Italia. La situazione in cui il capo del Governo è capo di partito e capo della maggioranza parlamentare e, quindi, in grado di condizionare ogni ambito della vita pubblica, fa impallidire il principio della divisione dei poteri ed è incompatibile con la democrazia. O forse dobbiamo ritenere che la recente assoluzione di Berlusconi significa che il capo del Governo e il funzionario di polizia nella vicenda Ruby si comportarono con “disciplina e onore”?
b) tanti servitori dello Stato con la loro lealtà e senso del dovere hanno salvaguardato la democrazia, anche a prezzo della propria vita.
Primo, non potevano salvare una democrazia che non esiste; secondo, quegli eroi in una democrazia non sarebbero stati ammazzati.
c) sono da criticare coloro che ritengono che il potere sia “immoralità, inquinamento, disonestà, forza malefica e contaminante… un male inesorabile cui conviene rassegnarsi… nella gestione della cosa pubblica prevalga la legge del vantaggio personale…la corruzione sia l’humus naturale che regola la pubblica amministrazione… trasgredire la legge sia un male necessario… senza corruzione non si gestirebbero imprese, non si vincerebbero appalti, non si otterrebbero posti di lavoro, non si farebbero affari… tutti rubano … ragione per cui l’evasione e l’elusione fiscale, la corruzione, il clientelismo illegale, il malaffare, l’illegalità risultano normali o quantomeno giustificabili”.
L’atteggiamento criticato è comprensibile. Non si può criticare l’imprenditore costretto a chiudere la fabbrica o il lavoratore licenziato che sono indotti al suicidio dalla politica criminale del Governo; oppure la vedova con un reddito di € 10.000 costretta a pagare la stessa imposta, per identico appartamento, richiesta al barbiere del Senato che gode di una profumata retribuzione; eccetera;
d) non è sufficiente descrivere e denunciare il fenomeno, occorre andare alla radice del problema, agire sulle cause… Spetta alle componenti più consapevoli operare per ribaltare logiche consolidate e pratiche inveterate per affermare condizioni di legalità diffusa e di normalizzazione della vita civile… Dalla soluzione della “questione morale” dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, l’effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico… la Repubblica regge … È necessario un nuovo inizio che… riparta dai principi e dai valori della nostra Costituzione.
Giusto andare alla radice del problema e affermare condizioni di legalità diffusa, ma non dipende dalla soluzione della questione morale la ripresa di fiducia nelle istituzioni. Il criminale se ne infischia della morale, è la legalità il potere dei deboli. La Repubblica democratica fondata sul lavoro esiste solo sulla carta. Il Sovrano dovrà dimettere l’alta autorità che tollera l’illegalità. Riporto parzialmente la lettera inviata al direttore del Corriere della Sera in replica alla lettera del ministro Madia, pubblicata il 12 ottobre.
“Il legislatore. L’oligarchia repubblicana ha mantenuto innumerevoli norme incostituzionali dell’ordinamento monarchico, dimostrando di non avere alcuna intenzione di trasformare gli ex sudditi del Re in cittadini della Repubblica. Le norme sull’abuso d’ufficio, sulla prescrizione del reato e sul processo mirano manifestamente a proteggere interessi della classe dirigente. Il Parlamento ha costruito un mostruoso ordinamento la cui unica cosa certa, constatabile da chiunque, è l’incertezza del diritto.
La pubblica amministrazione. Consiglio di Stato, A.P., 2/1975: “In base ai principi, l’atto amministrativo deve reputarsi esistente (ancorché eventualmente viziato) quando provenga da un’autorità investita di potestà amministrativa nella materia ed abbia un oggetto astrattamente idoneo a subire gli effetti dell’atto”.
In base a quei principi costituisce reato l’appropriazione di un salame esposto nel banco di un supermercato, ma non l’erogazione all’A.D. di una società pubblica della somma di € 4.564.139,00 “in palese disprezzo a ogni elementare criterio di buona amministrazione e di economicità, un rilevantissimo importo ‘a gratifica’ in nessun modo dovuto, non previsto da obblighi negoziali e del tutto sfornito di qualsiasi presupposto logico-economico” (Corte dei Conti, Lazio, 1399/2010). L’illegalità è nella legge, ne dava conferma il PNA Pietro Grasso, oggi presidente del Senato: “Oggi sembra di assistere alla presenza di una rete criminale in cui c’è uno scambio di favori talmente complicato che non rientra nei nostri modelli giuridici, in particolare nel nostro modello di reato di corruzione”.
La magistratura. La giustizia è il più importante bene comune, perché la legalità è l’unico potere dei deboli contro il privilegio e il malaffare. La violazione della legge da parte del giudice è il crimine più odioso. La Costituzione afferma che il giudice è soggetto soltanto alla legge. “… la posizione del giudice di fronte alla legge non è diversa dalla posizione in cui può trovarsi di fronte alla legge qualsiasi funzionario di Stato investito di un pubblico ufficio che pur non abbia natura giudiziaria, o anche, per dirla più genericamente, qualunque privato cittadino che si trovi ad essere destinatario di una concreta volontà di legge sostanziale” (P. Calamandrei). Ma questo non vale nella Repubblica del privilegio e del malaffare, in cui i pubblici poteri si proteggono vicendevolmente, in barba al principio di divisione dei poteri. Ed infatti il Capo dello Stato e il ministro della Giustizia volsero il capo dall’altra parte dinanzi alle seguenti vicende: il Tribunale di Milano che respinge la domanda di un lavoratore (10366/1998) ed accoglie identica domanda di altro lavoratore (6634/1999); la Corte di Cassazione che “abroga” la legge 1108/1955 e applica una norma inesistente (15293/2001); dichiara che l’applicazione di una norma inesistente non costituisce errore di fatto, ma di diritto (6840/2004); accoglie la domanda di un lavoratore (6733/2001) e respinge identica domanda di altro lavoratore (13937/2002); vìola il giudicato, dichiarando “sorretta da una motivazione puntuale, completa e convincente” la sentenza del giudice di rinvio che aveva ritenuto “di condividere pienamente gli argomenti svolti dal tribunale ” nella sentenza cassata “perché non sorretta da alcuna motivazione” (4499/2007).
Il ministro Madia mostra di definire democratico il Paese in cui: a) alla maggior parte dei cittadini è negato il diritto alla tutela giurisdizionale; b) alla magistratura è affidato il compito di stabilire, dopo anni o lustri e con decisioni contrastanti, il giudice competente a conoscere la causa promossa dal privato contro la PA o dal procuratore pubblico; c) non sono previste sanzioni penali per la condotta illecita di amministratori di società pubblica, definita da un giurista “una strana vacca, che mangia nella greppia del pubblico e fa il latte nel secchio del privato”; c) il Parlamento si appresta a condannare tremila lavoratori al licenziamento ingiusto, gettando nella disperazione altrettante famiglie, mentre mantiene in servizio decine di migliaia di dipendenti pubblici infedeli; i nemici della Repubblica più pericolosi sono le alte cariche dello Stato. Ecc., ecc., ecc.”