Matteo Renzi

01 Set 2014

Piccoli gufi crescono, si direbbe, con l’autunno che incombe. I dubbi sulla capacità di Matteo Renzi di trasformare in provvedimenti utili e concreti gli annunci altisonanti di radicali miglioramenti della vita mostrano che è sempre più evidente il carattere demagogico della sostanza: illudere e dare speranza a chi ha perso tutte o quasi le speranze.

RenziBerlusconiPiccoli gufi crescono, si direbbe, con l’autunno che incombe. I dubbi sulla capacità di Matteo Renzi di trasformare in provvedimenti utili e concreti gli annunci altisonanti di radicali miglioramenti della vita mostrano che è sempre più evidente il carattere demagogico della sostanza: illudere e dare speranza a chi ha perso tutte o quasi le speranze.
Tutto questo non è una novità per chi dall’inizio ha criticato e denunciato chi con abilità da prestigiatore ha trovato compagni di strada impresentabili in qualunque Parlamento democratico, alleandosi con la destra di Silvio Berlusconi e convincendo nel nome del “potere” che lui soltanto è ancora in grado di assicurare e distribuire, potere e briciole di potere, a quasi tutti quelli che si dicevano “di sinistra”.
Nella natura di Renzi c’è infatti questa certezza: di essere un “predestinato”, uno caro agli dei sin dalla prima giovinezza. Un destino già scritto, in nome del quale sacrificare e spegnere ogni voce critica: operazione non difficile in un Paese ancora tanto distante dalla idea di democrazia della libertà.
Chi lo sostiene ancora senza tentennamenti recita un copione abbastanza omogeneo: le riforme che vuole questo presidente del Consiglio sono quelle che servono all’Italia: velocità nelle decisioni del governo, fine delle ostilità contro Berlusconi. Le due cose si sorreggono l’una con l’altra. E’ stato proprio Berlusconi l’inventore della linea decisionista, sollecitata da Bettino Craxi e da B. ereditata. Renzi non ha fatto altro che sposarla, in un’epoca in cui la politica aveva pochissimo se non niente da offrire tranne gli eredi dei vecchi capipartito e lo spettro di Grillo. Paese corrotto, nazione infetta. Renzi ha cominciato presto a misurare le distanze dall’uomo di Arcore e si sono piaciuti. Si sono intesi. Cosa avevano, cosa hanno in comune? E cosa invece li distingue?
Sono domande interessanti, che mi sento rivolgere più volte. Ma che non intaccano il cuore del problema. Certamente Renzi sapeva fin dall’inizio che, una volta conquistata la presidenza del Consiglio, non avrebbe potuto contare da subito su due Camere totalmente allineate, dal momento che erano state nominate in altri tempi. Dunque l’alleanza con Berlusconi gli era e gli è tuttora essenziale almeno fino a quando la sua abilità e l’assenza di altre prospettive non gli avranno consegnato il potere assoluto sull’unica Camera rimasta, comunque non eletta ma nominata attraverso una legge elettorale quale che sia.
Perché anche questa sarà concordata con Berlusconi e, come si sa, all’ex cavaliere serve di poter scegliere lui i suoi uomini in Parlamento (si fa per dire, dovremo presto abituarci a scriverlo tra virgolette). La conferma ci viene dalla Toscana, dove nonostante i dubbi espressi da un giurista come Enzo Cheli si sta per votare un pasticcio con listini facoltativi imposto da Forza Italia che metterà la regione al primo posto tra gli esempi negativi come lo è stata in questi anni.
Dunque, non si muove foglia che Berlusconi non voglia, o a cui sia veramente (e non per finta) contrario.
Ora la strategia mediatica è quella di dividere gli italiani in due categorie: chi vuole il cambiamento di tutto ciò che non va nel nostro Paese e chi invece vuole “arroccarsi” nel vecchio. Tra chi vuole che ci sia qualcuno che decide, e invece chi vuole che nulla si decida e tutto possa essere oggetto di trattativa e discussione. Messa in questi termini la questione, è facile dire da che parte uno sta. Ma si tratta di semplificazione, di espediente ottimo per dibattiti televisivi. Di un artificio.
E’ abbastanza ovvio infatti che c’è cambiamento buono e c’è cambiamento cattivo. C’è cambiamento inevitabile, non rinviabile per il bene di tutti i cittadini. E c’è cambiamento utile solo al potere di uno o di pochissimi.
Qui passa il discrimine. Si chiama: difficoltà e responsabilità del governare. Governare per tutti e non per acquisire potere personale. I vecchi democristiani sapevano benissimo di che si tratta. Renzi anche lo sa, ma ci sparge sopra il cono del gelato e le sue battute che, come le barzellette di Berlusconi, cominciano finalmente a non far ridere nessuno.
Ha scritto recentemente Walter Veltroni che “la democrazia imbelle genera bisogno di autoritarismo. Per questo si deve andare avanti, in Italia come in Europa, con riforme che rendano veloce, nitido e tracciabile il processo democratico a tutti i livelli”. Per ora la democrazia del partito unico renziano si orienta esclusivamente verso il primo dei tre aggettivi; “veloce”.
Di “nitido” e di “tracciabile” c’è molto poco. O forse nulla.

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