E, allora, questa volta, sembra proprio che Berlusconi voglia fare il passo indietro. E’ il “reality” che le cronache politiche sono destinate in questi giorni a proporci. Ma con una trama che si ripete, aspettando fino all’ultimo la “vera sorpresa”.
A ben vedere, questa ultima mossa, annunciata dal fedele Angelino Alfano e confermata poi dal Cavaliere in persona (“sono disponibile a non candidarmi per unire i moderati”), era già, in buona parte, prevedibile. Rappresenta una mossa obbligata con un partito allo sbando, senza identità, programmi, alleanze. La sola carta da tirare fuori dal mazzo, a meno di non volere rovesciare il tavolo, tentando di dare il minacciato scossone, con l’azzeramento del Pdl, il rigetto del nome, la fioritura di liste civiche. Berlusconi ci ha pensato, ma senza crederci sino in fondo. A differenza dei suoi pasdaran, il realismo infatti non gli manca. Sa che la sua leadership ormai si è logorata. Che non può più contare su se stesso. Che, mettendosi in primo piano, è destinato a una sicura sconfitta.
Cerca, dunque, di ritagliarsi un ruolo di padre nobile. Non gli si adatta, ma ci prova. Per stato di necessità. La situazione del partito è quella che è: a un passo dalla scissione tra ex An ed ex forzisti. Quella personale non va meglio: alle prese con il processo Ruby, nella tenaglia degli scandali Tarantino e Lavitola. Anche la sua figura di imprenditore si è appannata, visto che il suo gruppo ha perso pezzi significativi di mercato. Annunciando di essere pronto al “sacrificio”, per favorire l’edificazione della grande casa dei moderati, il Cavaliere cerca di scaricare all’esterno la crisi. Getta la palla nel campo degli altri. In quello dei centristi. Prova a stanare soprattutto Casini. Apre addirittura al vituperato Fini. Lungo questo percorso, è dichiarata l’opzione del Monti-bis. Piacerebbe a Berlusconi una riaggregazione del centro destra, che parta dal suo gruppo e che il Professore sia disposto a raccogliere e utilizzare. Ma questa ipotesi si scontra con il rifiuto del premier. E Casini non si fida e resiste. E’ vero che oggi i rapporti tra Casini e Bersani si sono fatti difficili, che il Pd marcia in alleanza con Vendola e che, quindi, si è scolorito il progetto di un’intesa tra centristi e partito democratico. Ed è altrettanto vero che il leader dell’Udc sembra stia incontrando non pochi ostacoli alla sua idea di realizzare una grande alleanza elettorale fondata sull’agenda Monti. Tutto ciò, però, non può bastare a far cadere la sua diffidenza verso le giravolte del Cavaliere. Il quale, oltre tutto, avrebbe un conto salato da presentare all’incasso. Un “salvacondotto” per le questioni più spinose che lo riguardano. Come mostrano i nuovi ostacoli frapposti al varo delle norme anticorruzione, il nuovo tentativo di far passare l’emendamento salva-Ruby.
E’ ben difficile, dunque, la ricomposizione della crisi del centrodestra. Della cosiddetta casa dei moderati non sono state poste nemmeno le prime pietre e già si sa che Berlusconi ha adocchiato la stanza buona da occupare, anche se non porrà la sua candidatura alla premiership e potrebbe rinunciare perfino al seggio in Parlamento. La situazione non potrebbe essere più favorevole al Pd che tutti i sondaggi vedono come primo partito alle prossime elezioni. Finora i democratici si sono mossi sostanzialmente senza avversari. Ma non hanno messo a profitto questa grande occasione. Ora, la decomposizione del centrodestra pone problemi nuovi anche a loro. Impone che siano sciolte ambiguità fin qui accantonate. Che si esca dalle secche di una rassicurazione moderata e intimidita. Da come saranno affrontate le nuove incognite dipende non solo il futuro di una sinistra riformista, ma anche il destino del nostro sistema politico.
Il PDL è nato da Forza Italia che non è mai stato un partito e il successivo PDL ha erditato questa condizione. Tra un pò verrà a sentenza il processo Ruby e poichè tutti i tentativi di nuove norme “salvaqualcuno” sembra non vadano a buon fine, le previsioni sono fosche. Anche i sondaggi lo sono e prevedono un dimezzamento di eletti nel PDL. diventa perciò conveniente che le due componenti AN e Forza Italia si dividano, così i “colonnelli” uomini e donne più attrezzati salveranno posti e denari. La chimera PDL del centro destra italiano è finita.
Mario De Cesare
Che sia giunto il momento per Casini di ricevere L’eredità tanto agognata?
La prudenza non è mai troppa, ricordiamoci la lezione di vent’anni, anche se tante cose adesso sono davvero cambiate nel Paese e fuori. E’ bene, dunque, restare estremamente guardinghi verso B. ed è opportuno che il centrosinistra si concentri, in occasione delle primarie, più che sulle regole, sulla sostanza della proposta politica, magari recuperando qualche alleanza frettolosamente accantonata (come quella con l’Idv), per responsabilità, certo, di entrambe le parti.
Sì certo, il tempo del monarca sta esaurendosi, com’era naturale dopo vent’anni di becero dominio della cultura della rapina, del privilegio, dell’interesse privato, della privatizzazione dello Stato, grazie anche e soprattutto ai servi della nostra invereconda, soi-disante sinistra, quella che risponde ai nomi di d’alema, violante, finocchiaro, letta, etc. etc. (senza dimenticare il drammatico “nuovo che avanza” Renzi).
Il che lascia ben intendere quale futuro attende questo sciagurato Paese, in balia di bande, di associazioni per delinquere, di dilettanti profittatori di regime senza un’idea, un progetto, quelli che non conoscono neppure il senso e il significato di politica industriale. Ci dicono ch’è arrivata l’ora del rilancio, dello sviluppo. Ma di quale sviluppo parlano tutti questi autonominatisi soloni, tutti costoro che hanno portato alla distruzione del tessuto industriale del Paese? Non abbiamo più l’industria di base, quella chimica, quella cantieristica, quella siderurgica, quella informatica, quella automobilistica. Ma chi deve fare ricerca, innovazione e sviluppo? Le fabbrichette del “polo calzaturiero” delle Marche? Quelle dei rubinetti della Valbrembana? Quelle dei fischietti di Caltagirone?
Duole dirlo, ma dai tempi di Sofindit (ma che è??) e di IRI non c’è più stato uno straccio di politica industriale in Italia.
Io voterò solo chi proporrà un vecchio, sano, credibile piano quinquennale.