Nel suo articolo “Il vuoto del potere”, sul Corriere della Sera del 1° febbraio 1975, Pier Paolo Pasolini definì con l’immagine della “scomparsa delle lucciole” l’improvviso abbandono dei valori di un’Italia agricola e paleoindustriale, sia pure assunti a “valori nazionali”, divenuti “stupido e repressivo conformismo di Stato” ad opera della Democrazia Cristiana e del Vaticano e dunque “falsificati”. Pasolini vedeva con chiarezza la “mutazione” che il consumismo ancora in incubazione stava determinando.
“Ho visto coi miei sensi il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino ad una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo (…)Vanamente il potere totalitario iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata (…) i modelli fascisti non erano che maschere da mettere e levare. Quando il fascismo è caduto, tutto è tornato come prima” (…)“Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire di casa per capirlo”.
Pasolini comprendeva che tutto ciò creava un assoluto vuoto di potere in attesa che qualcuno assumesse un “potere reale” in rappresentanza della nuova “cultura” determinata dalla mutazione consumistica degli italiani e dal conseguente “disastro antropologico”.
Berlusconi nel 1994 ha colmato il vuoto politico seguito alla dissoluzione dei partiti storici che si opponevano alla sinistra. Ma Il vuoto politico si aggiungeva alla mutazione denunciata da Pasolini con quasi vent’anni di anticipo: il potere reale del consumismo (“il potere dei consumi”) avrebbe portato all’affermarsi di un potere formale in sintonia con esso.
Pasolini non poteva prevedere Berlusconi ma intuì che l’assestamento del nuovo potere sarebbe stato “sconvolgente”, perché radicato in profondità nelle coscienze corrose dal consumismo.
E capì che la sua pericolosità non sarebbe stata compresa. Né i politici di sinistra, né gli intellettuali anche più avanzati e critici, scrive, si accorsero che le lucciole stavano scomparendo.”Di tale potere (…) non sappiamo raffigurarci quali forme assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l’hanno preso per una semplice modernizzazione di tecniche”.
È esattamente quello che è successo. Montanelli ad esempio finì per detestare il berlusconismo (“è la feccia che risale il pozzo”) ma si illuse che gli italiani, messo alla prova Berlusconi, lo avrebbero presto bocciato. L’opposizione, vittima dei propri schematismi, scambiò Berlusconi per un normale avversario politico, per l’interprete di una destra normale o quasi. Tanto tempo così è stato perso e nel frattempo i guasti prodotti nel tessuto civile del paese si sono fatti drammatici. Nonostante i tanti e autorevoli allarmi non si è compresa fino in fondo la capacità del berlusconismo di plasmare le coscienze, non si è compreso che occorreva correre ai ripari. Negli anni dei governi di centrosinistra non è stata nemmeno tentata l’introduzione di una legge sul conflitto di interessi per arginare la devastante influenza delle televisioni di Berlusconi, e lo si è accreditato come interlocutore per riforme costituzionali.
Ancora oggi, di fronte all’evidenza e al disastro, l’opposizione è timida nel denunciare pubblicamente la natura potenzialmente eversiva del berlusconismo. Si critica il governo per quello che non fa o fa male, ma ci si ferma qui.
La paura di una accusa di “antiberlusconismo” paralizza.
Come se essere “anti” non potesse definire, per contrapposizione, una serie di valori in positivo su cui fondare una politica. Come se antifascismo non significasse un richiamo complessivo ai principi della democrazia costituzionale.
Veltroni non ha mai pronunciato nella campagna elettorale del 2008 il nome del “principale esponente della coalizione a me avversa” (così lo chiamava). E neanche Vendola riesce a scrollarsi di dosso il timore di essere bollato come “antiberlusconiano”.
In un paese “normale” l’opposizione non si limiterebbe ad illustrare il proprio progetto di governo ma prima di tutto denuncerebbe i pericoli per la democrazia e l’inganno del populismo berlusconiano. È questa la chiave per spiegare le promesse mai mantenute che il premier non si sogna di mantenere (nemmeno dei rifiuti di Napoli l’opposizione parla più) i rapporti di Berlusconi con persone ed ambienti criminali, la sua capacità di corruzione, l’asservimento del Parlamento per ottenere leggi ad uso personale, la disponibilità di società off-shore che consentono di frodare il fisco (e cioè i cittadini) per somme enormi, il forte arricchimento personale e delle sue aziende da quando è in politica a fronte del progressivo impoverimento di tanti che, vittime di politiche che aggravano le ingiustizie sociali, continuano a votarlo.
Certo, gran parte di queste denunce non può che fondarsi su quello che emerge nei processi a carico di Berlusconi o di suoi sodali.
Ma in un paese normale quei processi sarebbero al centro del dibattito pubblico: la loro origine, le prove raccolte, ciò che raccontano nel loro complesso, per rispondere alla domanda fondante ogni scelta elettorale: ci si può fidare di quest’uomo o ci sta imbrogliando?
Il “giustizialismo”, altra arma letale inventata dai berlusconiani e adottata anche a sinistra, non c’entra niente. Si chiede solo che determinati fatti non siano estromessi dal dibattito politico solo perché emersi in sede giudiziaria. Tutto qui.
Molti consensi mancano al centrosinistra proprio perché gli elettori chiedono maggiore nettezza su tutto questo. Il ”popolo del PD” ha idee molto chiare su Berlusconi. Prima ancora che sulla azione di governo, è sull’uomo che il giudizio è netto e definitivo.
Se i leader dell’opposizione sembrano così prudenti, la ragione, oltre all’equivoco storico sul “primato della politica”, è sempre la stessa: la ricerca di consensi tra gli elettori moderati.
Ma non è detto che chi è politicamente moderato, cioè non orientato a sinistra, sia anche eticamente moderato e disposto a transigere sui temi dell’etica privata, politica e costituzionale. Non è detto che si perdano consensi al centro dimostrandosi intransigenti.
La proposta di una “ribellione dal basso” di cui ha scritto Sandra Bonsanti deriva dalla consapevolezza della pericolosità del potere berlusconiano in sé, che la società civile ha capito da subito. E’ tempo che la politica faccia per intero la sua parte, prima che sia davvero troppo tardi. La partita non è ancora persa, ma bisogna giocarla sul serio.
* Sergio Materia, socio di LeG, una vita nella magistratura, è stato giudice per le indagini preliminari a Perugia e poi consigliere di corte d’appello a Firenze.
Condivido e sottoscrivo in toto l’articolo perchè coglie in pieno, a partire da Pasolini, i guasti del berlusconismo e denuncia ancora una volta la pavidità del PD e dell’opposizione (salvo Di Pietro…) nel denunciare l’anomalia, prima ancora di limitarsi a connotare negativamente quanto fatto (o non fatto) dal governo.
Manca la capacità di indignarsi e talvolta le parole di Bersani, o meglio, il tono di quelle parole (ma non solo le sue) manca di risonanza interiore che è quella cosa, seondo me, che per prima potrebbe arrivare al cuore di noi che non ne possiamo davvero più di questa amara farsa che è diventata la politica italiana. E, per favore, non si parli più di giustizialismo, moralismo ecc., ecc.. Sono etichette che non hanno nulla a che fare con l’estenuazione a cui sono giunte le persone per bene di questo Paese.
Il problema più grave è che la cosidetta gente si è ormai assuefatta, vuoi per stanchezza, vuoi per totale disillusione sulle capacità della politica, vuoi per lento convincimento che in fondo il berlusconismo è nemmeno poi tanto male ( questo da parte dei molti che ci campano con…)Passerà berlusconi, ma il berlusconismo rischia di essere ormai nel dna di troppi e che dopo berlusconi emergano dei cloni magari peggio di lui ( difficile, ma non poi cosi’ improbabile )
Il berlusconismo è stato ed è principalmente un disastro culturale, antropologico. L’ultimo Pasolini, quello di “Salò”, vedeva lucidamente, con la sua appuntita lucidità cartesiana, il degrado di una società violentata dalla falsa libertà del consumismo. Il berlusconismo non è altro che un prodotto di tutto ciò. Berlusconi in sé è la causa del fenomeno che porta il proprio nome ma non ne è l’origine. Il berlusconismo è, purtroppo una condizione mentale, uno stato dello spirito, alberga pulsionalmente a livello primitivo in molti, proprio come il fascismo, che passato Mussolini continua a sussistere.
L’Italia era pronta al suo arrivo. C’è sempre tutta una serie di condizioni, sociali, culturali che prepara l’avvento di un certo tipo umano sul palcoscenico della Storia con la maiuscola, o più modestamente su quello della storia di un paese. La cosa che va detta è che tra queste condizioni, sicuramente ha avuto un ruolo preponderante la mancanza degli anticorpi necessari affinchè il morbo berlusconiano attecchisse. La sinistra è stata totalmente fallimentare. Sarebbe bastato l’argine serio e invalicabile di una legge sul conflitto di interessi, che è, di fatto il punto di forza di Berlusconi, la stessa condizione di possibilità del suo potere, per rendergli impraticabile l’accesso all’ambito politico. Sylos Labini lo ha detto al vento fino a poco prima di morire. Niente è stato fatto. Per convenienze, debolezze, tatticismi. Ricordiamo tutti la magnifica ammissione di Violante in parlamento. Se oggi Berlusconi è logorato lo dobbiamo unicamente a fattori del tutto estrinseci all’opposizione, strutturalmente interni al PDL. Chi è più atiberlusconiano oggi, Fini o Bersani?
Il sistema di valori a cui pensava Pasolini, era quello di una cultura popolare, diffusa, con radici profonde, “antiche”, di stabilità, di appartenenza, di innocenza, radici su cui Gramsci aveva riflettuto prima di lui, cogliendone tutta la valenza politica, ma insieme domandandosi quali fossero i compiti che bisognava porsi per intervenire sulle trasformazioni in atto, per elaborare una nuova conformazione sociale, una nuova forma di partecipazione attiva, civile alla polis, unico percorso per immaginare l’autentica emancipazione delle classi subalterne e in fondo dell’umanità intera.
Il problema credo sia ancora questo: domandarsi quali sono i compiti che bisogna porsi.
Di fronte alla strutturata, pragmatica, ideologia berlusconiana, troppo spesso si è contrapposta la rivendicazione dei principi o meglio una specie di demonizzazione dell’ideologico a favore di una presunta visione oggettiva super-partes.
La nostra indignazione profonda per quanto sta avvenendo tuttavia non è stata in grado di contrapporre credibilmente, concretamente un’altra visione del mondo.
Credo si debba partire da qui. Cominciare a raccontare che cosa immaginiamo per il futuro: che cosa significa modernità (che non va temuta), dignità, responsabilità, perché non rinunciare alla memoria, attraverso quale percorso possiamo e dobbiamo esercitare il nostro diritto ad essere felici.
Difficilmente ci potrà ricapitare occasione come questa dove in una persona abbiamo manifestamente condensato i concetti e i disvalori che degradano una Società.