La riforma elettorale? Prima della crisi

26 Nov 2010

La prospettiva, che sembra sempre più prossima, della crisi di governo riapre la questione se si debba andare subito al voto con l’attuale legge elettorale, o si debba formare, se possibile, un nuovo governo, magari con l’unico compito di fare approvare una nuova legge elettorale che corregga almeno i più vistosi difetti di quella in vigore (il premio di maggioranza a favore della lista o della coalizione più votata, indipendentemente dal livello di consenso ottenuto, e l’assenza di possibilità di scelta degli elettori sulle persone degli eletti).
In realtà c’è un’altra alternativa: quella di approvare sin da ora in Parlamento, sulla base di un’iniziativa parlamentare e non governativa, la riforma elettorale, senza o comunque indipendentemente dall’apertura della crisi di governo. La legge elettorale attiene a materia di per sé diversa ed estranea agli indirizzi politici di governo: attiene alle regole fondamentali del sistema, riguarda sia la maggioranza che l’opposizione, ed è dunque bene che sia deliberata in Parlamento al di fuori del condizionamento del rapporto fiduciario con il governo.
Nel nostro sistema parlamentare non è affatto detto che tutta l’attività legislativa venga orientata dal governo, che è bensì «comitato direttivo della maggioranza», in quanto espressione del rapporto fiduciario con essa, ma non è l’unica fonte dell’iniziativa legislativa. Vi sono «aree» della legislazione estranee all’indirizzo della maggioranza che sostiene il governo, perché estranee ai programmi di questo e ai patti di maggioranza: in cui cioè il Parlamento è chiamato, ed è bene che sia chiamato, a determinarsi senza essere condizionato dall’indirizzo governativo (si ricordi il caso clamoroso della legge sul divorzio nel 1970, varata in costanza di un governo guidato da un partito, la Dc, che non condivideva il provvedimento).
Certo, è sempre possibile che il governo «attragga» un tema nell’ambito del proprio indirizzo e cerchi di condizionare il voto del Parlamento ponendo la questione di fiducia (nel caso, in ipotesi, sul rigetto da parte delle Camere della proposta di riforma elettorale). Ma su ciò, intanto, dovrebbe essere d’accordo la coalizione al governo (ai sensi dell’articolo 2 della legge del 1988 sull’attività del governo spetta infatti al Consiglio dei ministri assentire all’iniziativa di porre la questione di fiducia). Inoltre, se si manifestasse in Parlamento una maggioranza intenzionata comunque a varare la legge, il governo potrebbe venire sconfitto, e dovrebbe dimettersi. Ma anche in questa ipotesi, e cioè anche se si aprisse la crisi di governo a seguito del voto negativo sulla questione di fiducia, le Camere potrebbero egualmente votare la legge senza bisogno che si formi prima un nuovo governo.
È vero, infatti, che per prassi dopo l’apertura ufficiale della crisi le Camere sospendono normalmente l’attività legislativa ordinaria in attesa della sua risoluzione. Ma la nuova legge elettorale potrebbe egualmente essere discussa e approvata, al di fuori dell’ordinario programma legislativo, in nome dell’urgenza oggettiva, così come vengono sempre esaminate, anche in pendenza delle crisi, e perfino dopo lo scioglimento delle Camere, fino all’elezione delle nuove, le leggi di conversione dei decreti legge in scadenza.
Naturalmente tutto ciò richiederebbe che in Parlamento si verificasse una convinta convergenza maggioritaria su una concreta ipotesi di legge elettorale che sostituisca quella attuale: mentre si sa che, soprattutto nel Partito democratico, vi sono idee diverse in proposito. Tuttavia, se è vero, come è vero, che il cambiamento della legge elettorale è una vera emergenza di oggi, non dovrebbe essere troppo difficile concretizzare le prospettive di un incontro e di una larga convergenza in Parlamento su uno dei pur diversi sistemi elettorali che consentano al Paese di esprimersi elettoralmente, subito ovvero dopo la fine naturale della legislatura, se questa durasse, senza le costrizioni e i lacci che discendono dalla legge frettolosamente varata nel 2005. C’è un sistema politico, pur ancora in parte fluido, che palesemente non rientra (o non rientra più) nei rigidi schemi da essa presupposti. I partiti — e dovrebbero essere ormai molti — che condividono questa esigenza dovrebbero rapidamente verificare i contenuti dell’accordo possibile, e assumere l’iniziativa. È solo questione di volontà politica.

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