Angius: ma quale Pd? Ridiamo centralità alla politica

20 Apr 2007

Redazione

“Andare avanti anche se si perdono pezzi? Come se i compagni e le compagne fossero pezzi. E’ un errore”. Gavino Angius attacca, polemico, la strada scelta da molti leader dei Ds verso il Partito democratico. Dal palco del PalaMandela di Firenze spiega il suo dissenso. “Si scioglie – dice – la più grande forza della sinistra italiana. Ho sentito tante parole: andiamo avanti, facciamo in fretta. E mi ha ferito soprattutto un’espressione: andiamo avanti anche se si perdono pezzi… Come se i compagni e le compagne che se ne vanno siano pezzi”. Angius dalla relazione del segretario Ds, Fassino, si aspettava “più apertura politica”.
“Non condivido il progetto, così come è stato presentato. Una questione mi sembra ancora irrisolta: quello delle nostre difficoltà che non sono date solo dai numeri ristretti al Senato, ma anche dal rapporto tra le nostre forze. Non capisco: cosa cambierebbe con il partito democratico. Si dice che con la nascita del Pd si rafforzerà il Governo. Ma già oggi il vice premier non sono D’Alema e Rutelli, favorevoli al Pd? Non ci sono già i gruppi dell’Ulivo? E in più non mi convince il ruolo d’ordine che la sinistra riformista dovrebbe avere di fronte alla sinistra radicale. Pensiamo davvero che con il Pd non avremmo più Rossi e Turigliatto, metteremmo fine alle incontinenze di Mastella e alle ossessioni dei teodem?”.
Il leader della terza mozione attacca: “Dove sta scritto che non si può ripartire su basi nuove, con una nuova spinta che chieda a tutti i compagni di riprendere il cammino con un carattere inclusivo? Il Pd sembra un partito vecchio, dove si discute di regole, di leader e tessere.

Non mi interessa per niente”.
Troppa confusione, dice. ”
Nell’affannosa ricerca si costruisce un Pantheon e 24 ore dopo lo si demolisce. E non è accettabile che il Governo vara la legge sui Dico, e subito dopo si scopre la famiglia e si organizza una manifestazione contro il Governo”. Qui Angius strappa gli applausi della platea, così come quando ribadisce che “bisogna cercare di unire le forze riformiste italiane in un progetto nuovo e condiviso di società, perché il neoliberismo e il neoconservatorismo hanno prodotto i guasti più profondi della società contemporanea”.
Ed ecco la ricetta: “credo si debbano unire le forze”. E soprattutto bisogna: “Recuperare il centro della politica, ridotta ad essere subalterna un giorno all’economia, l’altro alla religione”.
“Il manifesto per il Partito Democratico non mi convince per niente: va rifatto tutto, di sana pianta. Propongo che il nostro congresso e quello dei Dl – dice Angius – decidano di redigere un nuovo manifesto chiamando a concorrere tutte le forze del riformismo italiano alle quali Fassino ha fatto riferimento. Questo permetterebbe a tutte le forze riformiste di essere protagoniste”. Secondo Angius, “si tratterebbe di un passo in avanti e non di un passo indietro”.

Un lungo e sentito applauso conclude l’intervento del senatore della Quercia Gavino Angius al Pala Mandela di Firenze che ospita l’ultimo congresso del partito. Il primo ad alzarsi per andare a congratularsi con il collega tornato ai banchi della presidenza è Cesare Salvi.

Gli stringe la mano, gli sorride e gli dà un affettuoso buffetto sulla spalla. Dopo di lui, anche Piero Fassino lo raggiunge. E anche da lui arriva un sorriso. Poco prima però, mentre Angius parlava, Fassino non sorrideva. Lo ascoltava in silenzio. Solo verso la fine quando Angius ha criticato lo slogan “Una testa un voto” osservando che lo faceva ridere perché si sarebbe dovuto pensare “anche al cuore”, il segretario dei Ds aveva allargato le braccia guardandolo fisso con aria interrogativa. Come a chiedere cosa ci fosse di male in quella frase. I delegati e i militanti applaudono molti passaggi della relazione di Angius soprattutto quelli in difesa della laicità e a sostegno degli omosessuali e delle lesbiche “che per noi non sono esseri innaturali”, come spesso sono stati descritti in questi mesi di dibattito sui Dico. Ma molto apprezzati dalla platea del Pala Mandela sono le parti del discorso in cui si parla di sinistra, una sinistra che, per anni, non può e non deve sparire.
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