I morti sul cantiere Esselunga e la Costituzione

24 Febbraio 2024

Cinzia Niccolai

PADERNO DUGNANO: PRESIDIO DI RETE SICUREZZA PER LE VITTIME DEGLI INCIDENTI SUL LAVORO E PER L'INCIDENTE ALLA EURECO, LA DITTA DI SMALTIMENTO RIFIUTI SPECIALI. (PADERNO DUGNANO - 2010-12-04, Gianpietro Malosio / Fotogramma) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Cinzia Niccolai, autrice di questo articolo, è coordinatrice di CDC Toscana. La ringraziamo per aver voluto condividere con Libertà e Giustizia le proprie considerazioni sull’incidente mortale di Firenze.

L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Così recita l’art. 41 della nostra Costituzione che pare del tutto inattuato per il cantiere Esselunga di via Mariti a Firenze. Cinque morti e tre feriti, diversi irregolari sia tra le vittime che tra il resto degli operai impiegati nelle oltre 60 ditte operanti sul cantiere.

Senza voler ipotizzare cause e responsabilità che devono ancora essere accertate, ciò che risulta certamente evidente è la negazione del diritto a lavorare salvaguardando la propria salute fino agli epiloghi più tragici. Sappiamo anche che i morti in edilizia sono oltre 1000 l’anno e che la piaga si estende inarrestabilmente anche agli altri luoghi di lavoro, pur in vigenza di una legislazione particolarmente efficace e puntuale, riguardante sia le opere pubbliche che gli appalti privati,  quale il testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs 81/08) che, purtroppo, appare sempre più colpevolmente disatteso. E’ possibile che nel cantiere fiorentino la causa della tragedia non sia ascrivibile alla filiera della sicurezza inapplicata, come accade invece nel 90% degli incidenti sul lavoro, però già sono emerse inadempienze quali l’impiego di operai non regolarizzati, privi di permesso di soggiorno. Manodopera a basso costo, non formata sulla sicurezza in quanto non contrattualizzata e, ufficialmente, non presente sul cantiere. Fantasmi da sfruttare per poter rientrare nei costi di un’offerta a prezzi stracciati tesa ad aggiudicarsi l’ennesimo subappalto di una stessa opera. Passi indietro giganteschi rispetto al 1948, anno di promulgazione della Costituzione che all’art. 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”,  e anche rispetto alla prima normativa sulla sicurezza, il D.P.R. 547 del 1955. Un’involuzione originata da due obiettivi precipui: bassi costi/massimo profitto e minori tempi di realizzazione.

Due aspetti che contrastano la possibilità di operare in effettiva sicurezza, sia che trattasi di prestazioni intellettuali (progettazione, direzione lavori, coordinamento della sicurezza e responsabilità del servizio di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro) che di lavoro manuale nella realizzazione delle opere da parte di imprese appaltatrici/subappaltatrici.

La piaga del massimo ribasso, prevista nella maggior parte degli appalti pubblici (col nuovo codice 36/2023 voluto da Salvini) e in quelli privati, seleziona imprese e professionisti disposti ad operare a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato, riducendo il loro legittimo profitto o, più probabilmente, rinunciando ad obiettivi di legalità e qualità che dovrebbero essere insiti nella realizzazioni di un’opera. Se a questa si aggiunge tempi di progettazione e realizzazione ridotti per volontà del committente, sia privato che pubblico, il quadro che si delinea è critico e antitetico rispetto ai necessari presupposti di sicurezza, sempre più spesso vissuti come un intralcio al ciclo produttivo.

Non a caso nel cantiere Esselunga di Firenze si era avuta una sospetta accelerazione dell’avanzamento dei lavori per ritardi in precedenza accumulati.

Se a questo si aggiunge il subappalto a cascata, da sempre permesso nell’edilizia privata e ormai legalizzato anche nelle opere pubbliche grazie al nuovo codice degli appalti, si comprende come il costo del lavoro debba scendere e gli oneri/costi della sicurezza azzerarsi per rientrare nelle spese.

Si poteva invertire rotta in senso più restrittivo e tutelante della salvaguardia dei lavoratori imparando dalle tragedie del passato. Si pensi al drammatico caso della ThyssenKrupp, oppure all’incidente ferroviario di Brandizzo dove si lavorava in assenza di procedure di sicurezza per consentire una maggiore libertà di intervento manutentivo. Per non parlare del caso Luana D’Orazio dove i dispositivi di sicurezza a bordo macchina erano stati volontariamente rimossi in quanto causa di lentezza del macchinario.

Se tali esempi non fossero sufficienti per prendere i necessari provvedimenti per il rispetto del testo unico della sicurezza, in termini di maggiori e più efficaci controlli e sanzioni adeguate in corso d’opera e non a tragedia avvenuta, basti pensare a quello che da decenni viene permesso all’ex-Ilva di Taranto. Un caso eclatante di ricatto lavoro-salute nei confronti degli operai, delle loro famiglie, di due quartieri (Tamburi e Paolo VI) e di un’intera città, di un territorio e dell’ambiente, sottoposti ad uno scempio che è indegno di un paese civile.

Per questo occorre prioritariamente riaffermare i diritti costituzionali dei lavoratori e di tutti i cittadini, da declinare in diritti all’uguaglianza tra tutte le persone, diritto alla sicurezza, ad un salario equo e ad una vita dignitosa, mai messa a rischio in nome della produttività.

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