Libertà e giustizia: incostituzionale non sottoporre al parlamento il protocollo Italia-Albania sui migranti

Fotografia di Bianca Senatore

di Libertà e Giustizia

Lo scorso 15 novembre, la Corte Suprema del Regno Unito ha rilevato l’illegittimità della deportazione di richiedenti asilo in paesi dell’Africa o in paesi extra Ue che non possano garantire le tutele previste dal diritto internazionale e giudicato illegale all’unanimità il Memorandum of understanding concluso tra il Governo inglese di Rishi Sunak e lo Stato del Ruanda, in quanto contrario a norme imperative e inderogabili del diritto internazionale e nazionale. 

In particolare, la Corte ha rilevato la contrarietà di tale accordo al divieto di respingimento, norma internazionale codificata all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e all’art. 4 del Quarto Protocollo annesso alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (ECHR), nonché ai principi del diritto internazionale tra cui la Convenzione sui Rifugiati del 1951. 

Negli stessi giorni, l’Italia ha proposto di delegare all’Albania la gestione dei migranti salvati in mare da navi italiane. Il Presidente della Commissione Parlamentare Libertà e diritti civili del Parlamento Europeo, Lopez Aguilar, ha espresso serie perplessità circa la compatibilità di tale accordo con il diritto europeo. 

Ulteriori e fondati dubbi sorgono tra gli esperti di diritto internazionale e costituzionale sul piano della legislazione interna italiana, per il fatto che il Protocollo non preveda la ratifica parlamentare, sancita dall’art. 80 della Costituzione nei casi in cui un accordo internazionale abbia natura politica o disponga “modificazioni del territorio”, “oneri per le finanze”, o abbia ad oggetto materie coperte da riserva di legge, come nel caso della disciplina della condizione giuridica degli stranieri (art. 10.2 della Costituzione). 

Il Protocollo in esame prevede che l’Albania metta a disposizione dello Stato italiano una porzione di territorio destinato ad accogliere i migranti salvati da navi italiane, in cui procedere a una prima identificazione e a una valutazione circa “i requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza nel territorio italiano”, “al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio, previste dalla normativa italiana ed europea e per il tempo strettamente necessario alle stesse”. 

Si tratterebbe dunque di un’esternalizzazione delle frontiere e alcune domande si impongono con urgenza.

Perché l’Italia, dopo aver salvato naufraghi o accolto migranti sul proprio territorio in conformità del diritto internazionale, dovrebbe poi, in forza di tale protocollo, trasferirli sul territorio di un Paese terzo, non ancora membro dell’Unione Europea – disponendo, peraltro, ingenti pagamenti per la costruzione e la gestione di centri collocati in uno Stato estero? 

Non sarebbe invece il caso, in termini di conformità alla normativa internazionale, europea e italiana, oltre che “dignitoso” ed “eticamente accettabile”, impegnarsi a gestire in maniera civile ed efficace i centri che già esistono nel nostro Paese e gli altri che sorgeranno – a seguito, peraltro, di lauti finanziamenti europei? 

Come è noto, l’Italia è già stata ripetutamente condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per il trattenimento illegittimo (oltre il termine previsto dalla legge) dei richiedenti asilo, e per trattamenti disumani e degradanti riservati ai migranti nei cosiddetti hotspot. Che garanzie legali si possono immaginare perché le violazioni commesse nei centri presenti in Italia non si ripetano in Albania? 

Alla luce della probabile contrarietà alla normativa vigente, a vari livelli, e di fronte all’evidente volontà di nascondere le inefficienze nazionali senza risolverle, emerge la natura eminentemente retorica e propagandistica del Protocollo firmato da Italia e Albania. Il Governo Meloni, anziché affrontare il difficile problema della gestione e dell’eventuale accoglienza dei migranti, trova vantaggioso scaricarlo su altri e sbandierare come soluzione, in vista delle prossime elezioni europee, quello che non è che un indegno escamotage.

Ci sembra dunque doveroso che il Parlamento si pronunci, sollevando un conflitto di attribuzione.

(Si ringrazia Bianca Senatore, giornalista freelance, per la fotografia di un campo profughi ai confini orientali dell’Europa)

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