Furio Honsell è Consigliere regionale del FVG eletto nel 2018 con Open-Sinistra FVG. Matematico laureato alla Normale di Pisa, è professore ordinario di Teoria degli Automi all’Università di Udine, di cui è stato Rettore dal 2001 al 2008. È stato Sindaco di Udine con una coalizione di sinistra-centro dal 2008 al 2018. La sua proposta politica, improntata al contrasto alle disuguaglianze e ad un forte impegno verso i diritti umani e civili, è nutrita da una presenza intensa e partecipata alle iniziative culturali, sociali e politiche del territorio.
D.: Professor Honsell, inizierei la nostra conversazione con una nota a cui so che lei tiene molto, la presenza della parola “sinistra” nella Lista in cui è stato eletto Consigliere regionale, unica lista in cui il termine compare, tant’è che lei definisce di “sinistra-centro” la coalizione con cui è divenuto Sindaco.
R.: Fare politica “da sinistra” significa impiegare strumenti socio-economici, e più in generale storici, per interpretare e agire sulle dinamiche sociali al fine di non lasciare indietro nessuno, soprattutto gli ultimi della fila. Significa non essere dominati, ma critici delle ideologie economiche dominanti, che sono necessariamente reazionarie a qualsiasi innovazione. C’è profondo bisogno di “sinistra” oggi, a fronte delle crescenti disparità educative ed economiche; a fronte della precarizzazione del lavoro e della conseguente riduzione delle tutele previdenziali; a fronte delle migrazioni e della crisi ambientale che nasce dal saccheggio dei beni comuni. Essere “di sinistra” significa essere antifascisti non solo a parole, ma in modo militante, perché è sempre in agguato il pensiero che vuole ridurre gli esseri umani a macchine da manipolare in modo totalitario.
D.: In qualità di Sindaco, si è speso molto per il rispetto dei diritti fondamentali: ha ad esempio accompagnato la richiesta di giustizia di Beppino Englaro, ha seguito e segue le vite ed i problemi delle fasce sociali più deboli, le persone migranti, i disoccupati, ha celebrato unioni tra persone dello stesso sesso.Solidarietà, inclusione, rimozione delle disuguaglianze, democrazia reale sono parole che hanno sempre guidato la sua azione politica. Ricordo anche i suoi memorabili discorsi come primo cittadino di Udine alle manifestazioni del 25 aprile (Udine è Città Medaglia d’oro alla Resistenza) ed il senso profondo del valore dei princìpi costituzionali in essi contenuto. La Costituzione del 1948 ha subito negli anni trasformazioni anche radicali: per arrivare al tema del nostro incontro, l’autonomia differenziata, le chiedo prima un breve giudizio politico sia sulle modifiche costituzionali realizzate sia sui tentativi di modifica.
R.: La completa affermazione dei diritti umani e di quelli civili, quali la libertà di parola e l’autodeterminazione di fronte alla sessualità e alla morte, è ancora lontana. Si pensi alle vicende Regeni e Zaki e l’atteggiamento dei nostri governi nei confronti dell’Egitto o alle sorti del DDL Zan e della raccomandazione della Corte Costituzionale dopo la vicenda del DJ Fabo e Cappato. Eppure già all’Art. 3 della nostra Costituzione c’è scritto che si devono rimuovere le cause che impediscono ai cittadini la piena espressione della loro personalità. Bisogna dunque prima pensare di mettere in pratica la Costituzione e poi, forse, di cambiarla. La forza della nostra Costituzione sta però anche nella possibilità di modificarla, sancita dall’Art. 138. Non vanno quindi demonizzati a priori i percorsi che portano al dibattito costituzionale. Alcuni pensano oggi che sarebbe necessario riconoscere in modo più esplicito l’impegno alla tutela dell’”ambiente” e ai “beni comuni” irrobustendo quel solo riferimento al “paesaggio” nell’Art. 9. Anche l’Art. 41 dovrebbe essere irrobustito stabilendo che l’iniziativa economica “non possa svolgersi in danno alla salute eall’ambiente”.Certamente le ultime modifiche della Costituzione portate a termine mi sembrano pericolosamente peggiorative. La riduzione del numero dei parlamentari operata nel 2020 non potrà che soffocare ulteriormente la voce delle minoranze. La riforma approvata, senza Referendum, in fretta e furia nel 2012 dell’Art.81, che ha imposto l’equilibrio di bilancio e limitato il ricorso all’indebitamento, ha irrigidito qualsiasi intervento volto a permettere il riequilibrio strutturale e quindi di fatto limitata il principio di garantire pare opportunità. Inoltre la declinazione a livello di enti locali di quel principio operata agli Artt. 97, 117 e 119, ha penalizzato in modo ingiusto tante amministrazioni, anche nella nostra Regione ed è la colpevole dell’aggravarsi della crisi economica iniziata nel 2008. Circa la riforma del Titolo V del 2001 non riesco a non paragonare al personaggio di Goethe, l’apprendista stregone, quei parlamentari che proposero l’attuale formulazione dell’art. 117. Era certamente importante dare piena attuazione all’Art. 5, ma non si deve innescare i processi ciò che poi non si sanno completare. Si pensi alla scopa dello Zauberlehrling.
D.: Lei ha espresso in diverse iniziative pubbliche la sua contrarietà al progetto di “Autonomia differenziata”. In che senso ritiene le ricadute del progetto pericolose rispetto ai principi costituzionali e quindi per la vita concreta dei cittadini e delle cittadine della Repubblica, in qualsiasi regione si trovino a vivere?
R.: Il desiderio di autonomia è legittimo se si riesce a fare meglio da soli qualcosa, piuttosto che attraverso lo Stato. Ma meglio deve voler dire meglioper tutti i cittadini dello Stato non solamente per alcuni, a discapito di altri, come invece si tradurrebbe l’”Autonomia differenziata”. Trovo inaccettabile versare meno risorse allo Stato per goderne nei territori attualmente più avvantaggiati. Queste posizioni non sono solamente immorali perché non tengono conto del principio solidaristico e mutualistico che sono alla base del sindacalismo e patrimonio della sinistra; non sono solo una riformulazione moderna della sfida del sofista Trasimaco a Socrate nel I libro della Repubblica, che definisce “la giustizia è l’utile del più forte; ma le recenti analisi sulla salute pubblico e il benessere collettivo hanno dimostrato che i paesi nei quali c’è maggiore equità, misurata ad esempio con il coefficiente di Gini, sono anche quelli più in salute, a incominciare dall’aspettativa di vita per concludere con l’uso di psicofarmaci. E ciò è vero anche se si considera il percentile più ricco. Insomma, si è verificato che anche i privilegiati stanno peggio in quei paesi nei quali ci sono maggiori squilibri!
D.: In sede di Consiglio Regionale si è recentemente votata (11 novembre 2021) la mozione n. 288 intitolata “Regionalizzazione scuola del Friuli Venezia Giulia”. Questa mozione impegna la Giunta regionale a “promuovere con il Governo ogni azione possibile al fine di consentire che l’iter di regionalizzazione della scuola del FVG avvenga in tempi rapidi in quanto risulta di rilievo strategico per lo sviluppo della nostra Regione”. Il suo è stato l’unico voto contrario, con due astensioni e 32 voti favorevoli.
R.: Io sono stato “paracadutato” a Udine come professore nel 1989, perché all’epoca vigevano i concorsi universitari nazionali, e veniva assicurato il principio che lo standard accademico doveva essere omogeneo in tutto il territorio nazionale. Non vi è dubbio che la Regione debba contribuire alla Scuola con risorse proprie, è il principio delle comunità educanti, comunità nelle quali giustamente la Regione, se può, deve intervenire. Ma da questo pretendere di comandare sul reclutamento dei docenti e sul dimensionamento delle scuole mi sembra pericolosissimo. Immaginare che così si possa ridurre la mobilità dei docenti, vuol dire pensare che rinchiudersi in una bolla rispetto ciò che avviene nel mondo, sia una soluzione migliore di rendere più accogliente la regione a chi viene da fuori. Vuol dire bloccare il meccanismo che ha condotto tante persone come me a restituire in Friuli ciò che hanno appreso altrove. La regionalizzazione non potrà che abbassare il livello in modo autoreferenziale. Il dimensionamento delle scuole poi, non deve rispondere a esigenze locali, soprattutto in un’epoca di globalizzazione. I criteri di pianificazione devono rispondere a logiche di più ampio respiro.
D.: La scuola non è l’unica materia su cui la Regione FVG intende assumere ulteriori competenze. Pare che la corsa che sta mettendo in competizione tra loro le diverse Regioni stia accelerando.
R.: L’autonomia del FVG si articola soprattutto su tre grandi temi: la Sanità, gli Enti Locali, il Trasporto Pubblico Locale. Insistere sulla Sanità regionale vuol dire alla fine interpretare la Sanità non in modo olistico, ma come “prestazione”, che inevitabilmente condurrà ad una progressiva entrata di fornitori privati. È sotto gli occhi di tutti il tragico bilancio della pandemia che è stato tanto più devastante quanto più era fragile il sistema della sanità territoriale. Anche ieri abbiamo sentito il nostro Assessore Regionale disprezzare le “case della salute” e essere piuttosto confuso sul concetto di distretto sanitario che invece dovrebbero essere proprio gli strumenti con i quali irrobustire la sanità di vicinato, decisiva nel mitigare i disastri della pandemia. Circa gli Enti Locali, questa regione è incapace, dopo lo smantellamento delle Unioni Territoriali Intercomunali, di avviare ragionamenti di area vasta. Ci sono oltre 200 Comuni per una regione di poco più di 1 milione di abitanti. Qualsiasi ragionamento multilivello è talmente frammentato che muore sul nascere. Ma le vere sfide, si pensi alla qualità dell’aria, sono di area vasta. Non ho quindi tanti esempi di autonomismo di travolgente successo. Recentemente in FVG si parla di regionalizzazione dei Vigili del Fuoco. Questa scelta mi sembrerebbe disastrosa. Soprattutto un territorio come quello del Friuli, che è stato soggetto a importanti emergenze, dovrebbe sapere per esperienza diretta quanto importante sia il coordinamento di tutte le forze quando avvengono i disastri. L’utilizzo estraordinario di mezzi e personale non può che essere gestito in modo statale. Immaginare che una Protezione Civile locale sia sufficiente è un peccato di hybris.
D.: Professor Honsell, lei interviene spesso anche sul tema “Matematica e democrazia”. Con questo titolo si è tenuto ad esempio nel 2014 ad Orvieto il convegno PRISTEM , cui lei ha partecipato con una relazione. Tra le sue conclusioni, e per chiudere anche il nostro incontro, ritengo particolarmente significativa quella in cui dice che “forse la politica non può non essere narrazione… e forse nemmeno scienza. Dobbiamo però fare in modo che, se narrazione sia, sia la storia migliore che in quel momento storico ci è dato di raccontare”. Per tutti. Credo che la pensi ancora così.
R.: Stiamo assistendo ad una progressiva perdita di fiducia e legittimazione della politica che ha addirittura intaccato quella nella Scienza quando la politica ha imposto le profilassi contro la pandemia suggerite dalla ricerca. La democrazia e la scienza sembrano perdere autorità i questo nuovo millennio. Tutti vorrebbero verità assolute, ma né il metodo scientifico né quello democratico, che gli è omologo, offrono verità, tutt’al più permettono di falsificare e scartare delle ipotesi. Sì le teorie sono delle narrazioni ed è nostro dovere cercare di raccontarle nel modo più rigoroso senza scivolare in post-verità, come spesso fa una certa politica. Poi queste narrazioni vanno messe in discussione, messe in conflitto tra loro. Ma per trovare le sintesi per elaborare la storia migliore, si devono rifiutare le contrapposizioni, e ritrovare la capacità di dialogo. Per questo ci vuole un’assemblea più ampia possibile. Wittgenstein argomenta in modo inconfutabile l’impossibilità del linguaggio privato nelle sue Ricerche Filosofiche. Sono certo che, l’avesse saputo, avrebbe utilizzato lo stesso argomento contro il linguaggio “autonomo e differenziato”.
*L’autrice dell’intervista coordina il Circolo di Udine di Libertà e Giustizia