NOAM CHOMSKY, “BIDEN ASCOLTI ANCHE LA SINISTRA”

24 Novembre 2020

WILMINGTON (DELAWARE) – «Non m’ interessa chi è Joe Biden: ma cosa farà. Oggi è schiacciato fra due forze: l’establishment del partito, i clintoniani, come li chiamo io, che poco differiscono dai repubblicani moderati. E gli attivisti che hanno galvanizzato la base spingendola a votare per lui. Qui li definiscono sinistra radicale, siamo fra i pochi paesi dove la parola “socialista” è maledetta. Ma in realtà sono dei meri socialdemocratici: altrimenti dovremmo chiamare socialista pure una figura come Dwight Eisenhower».

Il fondatore della linguistica moderna, filosofo e saggista Noam Chomsky, 92 anni a dicembre, collegato via Skype dalla sua casa di Tucson, Arizona, la barba lunga e una magnifica libreria alle spalle, è affilato e pragmatico come sempre. Ha dedicato il suo ultimo libro, Minuti contati , (Ponte alle Grazie, in libreria il 12 novembre) alla crisi climatica e all’idea di un nuovo “green deal” globale.

Lei è l’intellettuale di riferimento della sinistra americana e mondiale, celebre per le sue posizioni forti. Perché ha sostenuto Biden? 

«La differenza tra i due candidati era abissale. Ovvio per chiunque non viva in una caverna. E poi il suo programma ambientalista è migliore di quello di qualsiasi altro portato avanti in passato. Ma questo non è avvenuto a causa di una conversione di Biden né di uno spostamento politico del suo partito. Semmai, perché milioni di attivisti, in parte legati al movimento di Bernie Sanders, lo hanno martellato in tal senso. Per far mettere in pratica il suo programma, però, ora c’è molto lavoro da fare. La politica reale è questa. Votare e poi tornare a fare pressione affinché si vada nella direzione giusta».

Dalle urne emerge un Paese profondamente spaccato. 

«Che Trump abbia potuto correre ancora per la Casa Bianca sebbene sia il responsabile della morte di 230 mila persone per Covid, la dice lunga sullo stato della democrazia americana. Ma è vero. Il voto mostra una situazione cupa. Sapevamo che il trumpismo non sarebbe scomparso. Se Trump ha perso, i repubblicani migliorano la propria posizione alla Camera. Tengono in Senato. E vincono a livello statale: importante, perché i loro legislatori decideranno le regole del prossimo voto e disegneranno i distretti elettorali a loro vantaggio. Ci sono Stati dove i democratici non hanno nemmeno provato ad essere competitivi».


Perché? 

«Un misto di incompetenza e disegno. Le posizioni care alla base degli elettori, in certe aree, erano sgradite ai finanziatori del partito. I dem oggi sono più divisi che mai. Da una parte l’establishment neoliberista, dall’altra la base a chiedere riforme profonde».


Biden si pone come mediatore… 


«È sbagliato dar fiducia a un leader: ti vende e tradisce. Ma come diceva il mio filosofo preferito, David Hume, il potere è sempre nelle mani dei governati: qualunque sia il governo, assoluto o democratico. Il potere è fragile e si mantiene solo col consenso. Può essere revocato. Per questo ora è importante la mobilitazione degli attivisti. Per cambiare bisogna continuare a fare pressione: come non accadde ai tempi di Bill Clinton e Obama». 


La retorica populista di Trump ha ancora appeal sugli elettori. 


«È un politico molto abile. Ha saputo estrarre i veleni radicati nella cultura e nella storia americana. Razzismo, suprematismo bianco, xenofobia, misoginia. E li ha amplificati dando al rancore motivazioni razionali. Ha denunciato le élite, pur lavorando per loro, partendo da una storia vera: la classe media è da 40 anni sotto assedio. Fu Reagan il primo a teorizzare, insieme a Milton Friedman, che le decisioni andavano affidate al settore privato e il dovere delle grandi corporation era arricchirsi. Poi è arrivato Bill Clinton, architetto della globalizzazione neoliberista. Barack Obama, ai tempi della crisi finanziaria del 2008, voltò le spalle ai lavoratori salvando i criminali che avevano provocato la crisi. Ora, la gente non sa i dettagli: ma percepisce il cambiamento nella propria vita quotidiana. Trump ha cavalcato tutto questo. Pur pugnalando il suo popolo alle spalle, costantemente».

 

La Repubblica, 9 novembre 2020

 

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