Nei giorni in cui la pandemia da Covid-19 sta costringendo i governi di tutti i continenti a uno sforzo sanitario senza precedenti, la preoccupazione generale non può che essere rivolta alla salute pubblica. Proprio nell’emergenza, le democrazie consolidate devono restare presi-dio dei princìpi sui quali hanno costruito le loro fondamenta, mentre altrove prevarrà l’uomo solo al comando. Preoccupazioni che non hanno tardato a manifestarsi in Ungheria, tanto da spingere Libertà e Giustizia a sostenere la petizione Orban deve essere fermato.
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Volgendo lo sguardo ancora più a Est, assistiamo all’ennesima prova autocratica del presidente Vladimir Putin, rallentata ma non arrestata dal Coronavirus. Il padre-padrone della Federazione russa ha un chiaro obiettivo da quando è stato “rieletto” nel 2018: modificare la Costituzione per scongiurare che l’attuale mandato possa essere l’ultimo. Per piegare ulteriormente il Paese alle proprie logiche dispotiche, si è fatto confezionare una revisione tale da permettergli di governare per altri due mandati. La presidenza Putin potrebbe continuare fino al 2036, superando in durata persino quella di Stalin.
Il progetto tirannico ha preso il via all’inizio di quest’anno. Dopo essersi avvalso di Dmitri Medvedev per la “tandemocrazia” del 2012, Putin ha silurato il suo capo di Governo nei primi giorni del 2020, preferendogli l’ancor più mansueto Michail Mišustin. In seguito, i suoi fedelissimi hanno proceduto ad avviare l’iter per la revisione costituzionale, presentando il progetto il 20 gennaio 2020. Durante la seconda lettura, attraverso l’emendamento proposto dall’ex cosmonauta Valentina Tereškova, il Parlamento ha inserito nella riforma l’azzeramento del limite dei mandati per il Presidente. Dopo un fulmineo terzo passaggio, tutte le Assemblee legislative federate hanno approvato la legge che è stata pubblicata a tempo di record il 14 marzo. Lo scontato verdetto positivo della Corte costituzionale ha aperto le porte al referendum-plebiscito del 22 aprile che è stato rinviato per gli effetti del virus.
L’esito della consultazione popolare appare comunque scontato, solo due anni fa il rapporto finale dell’OSCE giudicava le elezioni presidenziali russe prive di una reale competizione, a causa dell’esclusione del candidato Alexei Navalny, le limitazioni alle libertà di opinione in campagna elettorale, le pressioni nei confronti di coloro che si erano dimostrati più critici e la sproporzione degli spazi dei media a favore del solo Putin.
Rimasta nell’ombra fino alla sua presentazione, la riforma non è stata annunciata nemmeno nella conferenza stampa di fine 2019, pur essendo improbabile che non fosse già stata predisposta a poche settimane dal deposito presso la Duma. Ne è seguito un percorso parlamentare che, dal primo annuncio all’approvazione definitiva del testo, ha proposto un farsesco dibattito fra gli eletti. In Italia sarebbero necessari tre mesi solo per la “pausa di riflessione” tra la prima e la seconda lettura delle Camere, in taluni Stati occorre addirittura una conferma nella successiva legislatura: trattasi di garanzie costituzionali, sconosciute nella Russia putiniana. Tuttavia, come fa notare Angela Di Gregorio, tutto ciò è inaccettabile agli occhi degli osservatori occidentali ma – di contro – rappresenta l’unica soluzione in grado di rassicurare i russi, spaventati dai disordini della globalizzazione e dal degrado delle democrazie occidentali molto più che dalla propria crisi sociale, economica e culturale.
Da quando nel 2000 Putin è succeduto a Boris Elstin, una stampa sempre meno libera ha avuto il suo momento più buio nell’assassinio di Anna Politkovskaja, giornalista che sulla Novaja Gazeta e in diversi libri aveva coraggiosamente denunciato le atrocità russe in Cecenia. Impossibile dimenticare la violenta annessione della Crimea. Nei momenti di maggiore difficoltà della Presidenza, sono intervenute le leggi contro la comunità LGBT+ a compattare il popolo sotto la dominante tradizione religiosa. Coloro che hanno tentato di rappresentare un argine alla deriva putiniana ne hanno pagato il prezzo con l’emarginazione sociale, la privazione della libertà o della vita, subendo poi una orwelliana vaporizzazione. Come nelle più classiche narrazioni dei regimi, il panem et circenses dei Giochi olimpici invernali del 2014 e dei Mondiali di calcio del 2018.
Nella veste formale di una revisione costituzionale, dunque, si annida l’ennesimo sostanziale abuso contro un popolo controllato dalla paura.
*L’autore è socio del Circolo di Genova di Libertà e Giustizia.