L’età della globalizzazione potrebbe diventare quella delle pandemie? Certo che sì. Come un collasso finanziario in un nodo del sistema contagia l’ intero in tempi infinitamente più rapidi che nel passato, come una guerra, una carestia, una crisi mettono in movimento interi popoli che premono su frontiere sempre più virtuali, lo stesso è inevitabile avvenga per le malattie infettive. Natura matrigna perciò?
No, cecità culturale e politica. Non eravamo stati forse “avvisati” del trauma finanziario che blocca lo sviluppo economico e sociale dell’ Occidente dal 2007-2008? Occorreva grande fantasia per comprendere che il modo in cui siamo intervenuti in Iraq, in Siria, in Libia avrebbe se non generato, certo moltiplicato i disperati flussi migratori di questi anni? È diverso ora per il corona-virus? Fino a un certo punto.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Who – appunto, chi è? Chi la conosce nei palazzi del potere?) da molti anni ha lanciato l’allarme. Le modifiche radicali dell’ambiente, la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l’uso massiccio di antibiotici per gli animali (con conseguente resistenza all’ antibiotico nell’uomo), il commercio illegale di fauna viva cosi come di carni o parti di animale, costituiscono una serie di cause precisamente documentabili per l’emergenza di gravissime pandemie.
In un incontro della Who del 2018 l’esplodere di un’Epidemia X esattamente con le caratteristiche (e sembra anche la genesi) del corona-virus era stata prevista. Evola, Sars, Mers non avevano insegnato nulla. Lo staffilococco aureo aveva fatto 7000 morti in Europa nel 2015; nello stesso anno 33000 persone avevano perso la vita per infezioni resistenti alle cure. Quando in Cina o in Corea trovano un’ infezione in un allevamento, altro non sanno fare che prendere in massa gli animali, cacciarli in una fossa e bruciarli vivi.
Si vedano in rete le agghiaccianti immagini di stragi di maiali, in violazione tra l’altro di leggi internazionali sottoscritte dai vari Stati. Di tutto questo pochi o nessuno stanno a parlare; solo l’ emergenza la fa da padrona, come per le crisi finanziarie e sociali, e per l’immigrazione. (Emergenza perenne, che alla fine “sospenderà” parlamenti e elezioni, o ne dimostrerà l’inefficacia è questa la tendenza generale? Fondamentale discorso che non possiamo qui svolgere).
Nessuna analisi di lungo periodo, nessuna coscienza dei pericoli (così come delle grandi opportunità) che fisiologicamente appartengono all’ epoca in cui ci tocca di vivere. Strategie totalmente inadeguate. Si attende che il male arrivi, e poi a caccia di cure e vaccini. Gli scienziati prevedono e ammoniscono invano. Voci che chiamano nel deserto. Se ne invoca l’ aiuto nell’emergenza, e poi via a tagliare di nuovo per formazione, ricerca, posti letto, ecc. Tanto nessuno sa e quel che si sa si dimentica
Di una politica incapace di essere all’altezza del mondo globale, di sapere e di prevedere, l’Europa ha fatto sfoggio in questa crisi più ancora che nelle precedenti. Ed è cosa incredibile a pensarci, poiché questa volta non si trattava di egoismi locali, psicologicamente anche spiegabili se non giustificabili, come nel caso di difendere il proprio bilancio a scapito dell'”amico” o i sacri confini della patria dalla presunta invasione dell’ alieno – no, questa volta si trattava di un’epidemia in corso e necessariamente destinata a coinvolgerci più o meno, prima o poi, tutti.
E invece per settimane e settimane ognuno “padrone a casa propria”, come se anche il corona-virus potesse essere bloccato nei lager libici o in quelli di Erdogan o alle frontiere del Brennero o tra Ventimiglia e Nizza. Abbiamo forse toccato il fondo? Una Unione europea che non riesce a disporre tempestivamente un piano comune di fronte a un nemico di questo genere come potrà mai superare gli abissi che la dividono dalla attuazione di una qualche convergenza nelle politiche finanziarie e sociali, da una presenza politica decente sulla scena internazionale?
La pandemia finirà – non le sue numerose, dichiarate concause, se non ci si mette tutti mano. E finirà con un’immagine della politica europea ancora più frammentata, occasionale, incapace di previsione e prevenzione, di prima. Senza un grande sforzo in queste prossime settimane per interventi su scala continentale davvero coordinati, simbolo di questa crisi resteranno il cieco e sordo tecnicismo finanziario della Lagarde, della Bce orfana di Draghi, o le follie di Johnson e del suo staff (degne di uno Swift le loro battute sulla “terapia del gregge”).
Anzitutto a coloro che la crisi potrebbe colpire ben più gravemente dello stesso virus la politica europea è chiamata a prestare la massima cura, e cioè proprio a quei ceti e a quelle classi le cui sofferenze essa ha ignorato, ad esempio, quando dovette affrontare la catastrofe della Grecia. A chi non può “stare a casa” perché non ce l’ha, o ce l’ha, per così dire, troppo stretta per viverci a lungo comodamente, o a chi perdendo lavoro e reddito magari rischia di perdere anche quella. Non possiamo più permetterci una politica all’inseguimento degli eventi, fatta di semplici raccomandazioni, molta retorica, poco sapere e niente progetto. Se questa crisi segnerà la svolta, la ricorderemo tra vent’anni quasi con gioia. Ciò che è certo è che nulla deve essere più come prima.
Espresso, 22 marzo 2020