Il populismo è un termine vuoto e ambiguo. La vuotezza è la sua forza perché lo rende permeabile a tutte le strategie e le narrative, capace di adattarsi alle esigenze del momento. Il populismo è il trionfo del contingentismo. Il suo opportunismo radicale può giustificare tutto per soddisfare le esigenze di quel che dice essere il “suo” popolo. L’ambiguità è la sua forza, ha scritto con soddisfazione Ernesto Laclau, che ammirò del populismo la capacità di costruire il soggetto collettivo (il popolo) con il solo strumento della retorica. Ed è vero, poiché i leader populisti possono con narrative spregiudicate unificare tante e diverse richieste come i partiti tradizionali cercano di fare con meno successo, perché hanno ancora confini identitari (anche quando cercano di superarli). Questi caratteri sono una guida per capire sia il populismo come movimento che il populismo al potere.
Fino a quando i populisti sono movimento di opposizione, la loro retorica ” anti” ha buon gioco, perché chi è libero dal potere può con successo denunciare chi sta al potere. Le cose cambiano quando il populismo si fa governo. Il potere conquistato può infatti essere rischioso poiché può facilmente farne un nuovo establishment. Di qui viene l’ attenzione quotidiana e quasi parossistica dei governi populisti a presentarsi come esenti dal male dell’ establishment, a rassicurare di essere sempre con e come il suo popolo. Questo sforzo può avere successo a patto di generare una permanente campagna elettorale. I populisti non possono semplicemente governare. Devono in primo luogo prepararsi a giustificare quel che non potranno fare o faranno male: per questo, si sollevano dalla responsabilità dei propri fallimenti attribuendola al “nemico” che sta fuori. I pregi saranno opera solo sua; i difetti saranno solo opera degli avversari. I quali, in tutti i governi populisti, hanno per questo una voce flebile e colpevolizzata.
Essere e fare opposizione in una democrazia populista è un’ impresa difficile. Prima di tutto perché la strategia propagandistica del governo acquista una prominenza tale da rendere silenziosa l’ opposizione senza reprimerla: il populismo al potere non è fascismo. Per usare una metafora che descriva questa forma di maggioritarismo estremo, si potrebbe dire che il populismo al potere soffoca per troppo parlare, rendendo nana l’ opposizione, non solo perché resa oggetto di sospetto ma perché non ha altrettanto forti megafoni.
E c’è un pericolo aggiunto: il populismo rischia di rendere gli avversari simili nello stile, ed è comprensibile poiché il ragionamento riflessivo non è né attraente né roboante. La trappola del populismo al potere è di indurre l’opposizione ad adottare il suo stesso stile, di diventare a sua volta populismo di movimento. È il rischio maggiore per la democrazia: che il populismo permei del proprio stile tutto il discorso politico e l’ opinione generale. È una delle ragioni per cui i governi populisti rischiano di generare altri governi populisti ( un esempio che ci viene dall’ America Latina). L’ onere e il compito dell’ opposizione è doppio e doppiamente difficile: combattere punto su punto in Parlamento e nell’ opinione le politiche del governo populista; ma farlo senza cadere nella trappola populista, senza farsi a sua volta populista. Con una metafora, è come chi, non essendo astemia e anzi amando bere bene, deve riuscire a restare sobria in una cantina di ottimo vino.
la Repubblica, 2 giugno 2018