Ventitré anni fa Antonio Di Pietro e i pm del pool Mani Pulite minacciarono le dimissioni in tv contro il decreto cosiddetto “salvaladri” che escludeva il carcere per i presunti responsabili di corruzione e concussione: fu lasciato decadere senza conversione in legge. I temi cambiano, i tempi meno e ieri a rivolgersi al Parlamento, nella Giornata mondiale contro la tortura, sono stati i magistrati genovesi che si occuparono del G8 del 2001 e in particolare dei fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, “qualificati come tortura e trattamenti inumani e degradanti dalla Corte europea dei diritti dell’ uomo” che la scorsa settimana ha condannato nuovamente l’ Italia: oltre 2 milioni di euro di risarcimenti per 29 vittime della Diaz. In una lettera a Laura Boldrini, presidente della Camera che in settimana tornerà a discutere la legge sulla tortura, pm e giudici di Genova spiegano che la norma proposta, così come approvata in prima lettura al Senato, “sarebbe in concreto inapplicabile a fatti analoghi a quelli verificatisi a Genova” sedici anni fa. Sarebbe un “paradosso”, scrivono, tanto più che l’ Italia attende il nuovo reato fin dalla ratifica della relativa Convenzione internazionale nel 1988 ed è stata più volte richiamata dalla Corte e dal Consiglio d’ Europa dopo i fatti del 2001. Ora si attende la sentenza su Bolzaneto.
Le critiche dei magistrati si concentrano sulla “pluralità di condotte” richiesta dal disegno di legge in discussione: “Alcune delle più gravi condotte accertate” a Genova “sono state realizzate – ricordano – con un’ unica azione”.
C’ è poi la configurazione del reato come comune anziché proprio dei pubblici ufficiali, con la conseguenza di richiedere che la vittima sia “privata della libertà personale; oppure affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo o cura o assistenza dell’ autore del reato; ovvero in condizioni di minorata difesa”: “Esclude molte delle situazioni in cui si sono trovate le vittime dell’ irruzione alla Diaz”.
Nei casi genovesi, aggiungono, “non avremmo potuto agevolmente fare ricorso neppure a quella che pare configurarsi come una condotta alternativa: l’ agire con crudeltà (). La crudeltà è un contenuto psichico soggettivo non facilmente ravvisabile nell’ agire del pubblico ufficiale che potrebbe sempre opporre di aver operato avendo di mira fini istituzionali”. Insomma si prevedono problemi interpretativi, gli avvocati avranno ampi margini. E ancora, si reclama la “sospensione dei pubblici ufficiali rinviati a giudizio e la destituzione in caso di condanna definitiva”, come raccomandato dalla Corte. In calce le firme di dodici magistrati tra cui Salvatore Sinagra, Roberto Settembre, Enrico Zucca, Francesco Cardona Albini, Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati.
Il 16 giugno il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’ Europa, Nils Muiznieks, ha scritto ai presidenti di Camera e Senato chiedendo di rivedere il ddl. Un altro appello a cambiare il testo è stato diffuso da Enrica Bartesaghi, Arnaldo Cestaro e Lorenzo Guadagnucci del Comitato verità e giustizia per Genova con le firme di autorevoli esponenti del mondo accademico e forense.
Sulla stessa linea Amnesty international, Antigone e i radicali. Ieri, mentre papa Francesco e il presidente Sergio Mattarella celebravano la Giornata contro la tortura, gli avvocati delle Camere penali hanno manifestato da Milano a Torino e a Palermo: magliette e spille con la scritta “mi hanno torturato solo un po’”, parlando di “legge beffa”. Ma c’ è il serio rischio che il Parlamento preferisca non scontentare i settori peggiori degli apparati e dei sindacati di polizia, i cui voti, di questi tempi, valgono parecchio.
il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2017