In una “Lettera aperta ai coordinatori dei circoli del Pd” del 13 ottobre scorso, i Democratici per il No argomentavano il loro dissenso con la dirigenza del loro partito affidandosi al “Manifesto dei valori del partito democratico” approvato il 16 febbraio 2008 (firmato tra gli altri, da Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo, Pierluigi Castagnetti, Piero Terracina, Paola Gaiotti de Biase).
Questa l’idea centrale del Manifesto: “la sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difendere la stabilità, a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.
Parole che non hanno bisogno di commento e che ci convincono senza troppi giri di parole a votare No (anche se alcuni dei firmatari oggi sono schierati con il Sì). Ma più interessanti, e inquietanti, sono le parole con le quali la “Lettera aperta” si chiude: “Queste parole basterebbero per dare un giudizio sul metodo scelto per arrivare a una modifica così importante della Costituzione. Ma queste parole dovrebbero soprattutto servire a convincere della bontà, nelle settimane che ci separano dal voto, di favorire nei circoli che voi coordinate confronti tra le ragioni del Sì e le ragioni del No: del confronto tra le diverse posizioni e delle idee, in particolar modo sui temi costituzionali, non si deve e non si può avere paura.”
Sono molte le riflessioni che questa “Lettera aperta” suscita, anche in chi come la sottoscritta ha per anni sentito di appartenere idealmente a una formazione politica di sinistra, di condividere le ragioni del riformismo e della giustizia civile e sociale, di pensare che la cittadinanza democratica abbia nel voto un momento importantissimo benché non il solo. Quella che vorrei qui proporre è una riflessione centrata sulla lealtà al Partito – ovvero sul problema della scelta morale: fino a che punto il dovere di lealtà può imporsi al dovere di seguire con onestà la propria coscienza.
Ovviamente se un partito chiede di perseguire o sostenere atti illeciti il problema non si pone perché in questo caso la lealtà sarebbe omertà, propria dei gruppi criminali. Il problema si pone quando si tratta di opinioni, e di divergenze relative alle opinioni su questioni importanti. Quali?
Ora, se la divergenza riguarda l’interpretazione della dottrina politica che il partito abbraccia, allora il dissenso incontra un legittimo dubbio: se infatti una persona decide di iscriversi a un partito è perché ne accetta l’ideologia, per questo essere in dissenso significa far cadere la ragione stessa della propria adesione. In questo caso l’opposto della lealtà sarebbe l’uscita dal partito.
Altrettanto può dirsi della violazione dello statuto del partito – un atto che dà alla dirigenza del partito l’autorevole legittimità di intervenire. È vero che partiti dottrinari non ce ne sono più, e che gli stessi statuti sono (quello del PD in particolare) improntati al pluralismo: questo li rende molto meno severi nella richiesta di disciplina di partito.
Anche per questa ragione, la “Lettera aperta” sopra riportata è inquietante, perché dimostra che la richiesta di fedeltà agli iscritti del Pd sia più forte ora di quando c’era un partito fortemente ideologico come il PCI. Più forte, e soprattutto, con un’ombra di paura di emarginazione che traspare dalla chiusa della lettera laddove si invita a “non aver paura” a disobbedire al partito trattandosi di Costituzione.
Il dissenso sulla revisione della Costituzione è non solo legittimo ma sacrosanto, poiché la fedeltà alla Costituzione viene prima nella gerarchia delle fedeltà politiche di un cittadino democratico. E se un partito chiede la fedeltà al di sopra della Costituzione o lascia credere che la fedeltà al partito sia più importante, allora c’è da essere davvero preoccupati perché sembrerebbe che il bene perseguito con questa revisione non sia prima di tutto quello del paese e della sua democrazia, ma quello del partito che la vuole a ogni costo. La vittoria del partito viene prima e sopra tutto.
L’appello ai Democratici del No a “non aver paura” è un argomento fortissimo per stare dalla loro parte e votare NO. Il NO salva loro dalla “paura” di disobbedire e salva tutti gli Italiani da una riforma imposta non solo a colpi di maggioranze variabili in Parlamento, ma poi con il ricatto, anzi con vari ricatti a tutti noi: da quello ormai classico per cui se vincesse il NO l’Italia piomberebbe in una crisi al buio dagli esiti incerti (e perché mai, visto che le costituzioni contengono le procedure per risolvere crisi di governo?), a quello più recente per cui se vincesse il NO l’Italia si troverebbe ad affrontare una crisi peggiore della Gran Bretagna con Brexit.
La propaganda fa il proprio lavoro, e per vincere fa leva sulle passioni negative come la paura. Chi non vuole questa riforma fa leva sulle passioni positive e respinge al mittente il peso della paura.
(*) Presidente di Libertà e Giustizia
L’Huffington Post, 3 novembre 2016