Roma. «Questa riforma non ci piace nei contenuti. E il nostro intervento ha lo scopo di evitare che il confronto referendario si riduca a uno scontro pro o contro il governo, dopo la scelta di Renzi di legare le proprie sorti a questo test. Così si pone agli elettori una questione di fiducia: un fatto che svilisce la Costituzione stessa». Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale e docente all’ Università di Milano, è a capo del gruppo dei 56 costituzionalisti che dicono no alla legge di revisione costituzionale appena approvata dal Parlamento, su cui in autunno ci sarà il referendum confermativo.
Ma se buttiamo a mare questa riforma, professor Onida, non c’ è il rischio di deludere le aspettative di tanti cittadini che vogliono istituzioni più efficienti?
«La Costituzione non è una legge qualsiasi e la sua riforma non si può portare avanti come se fosse solo il risultato di una maggioranza ristretta e, peraltro, ondivaga. Questo finisce con il nuocere alla credibilità della Carta, che nel 1947 è nata da un largo consenso tra forze politiche contrapposte. E da un’ elaborazione di altissimo livello culturale».
Così però si tornerebbe al punto zero.
«Non si torna a zero, ma al punto della Costituzione vigente, che vive da 70 anni. La Carta non è intoccabile, ma si può migliorare a patto che le modifiche siano puntuali e corrette. Riformare la Costituzione non è comunque una priorità per il nostro Paese ».
Qual è il difetto più grande del ddl Boschi?
«Non raggiunge l’ obiettivo di superare il bicameralismo perfetto. Se si era deciso di togliere al Senato la funzione di Camera politica che vota la fiducia al governo, bisognava trasformarlo in un’ assemblea davvero rappresentativa delle autonomie territoriali, come avviene ad esempio in Germania. Così com’ è, il Senato appare invece solo come una camera debolissima, priva di poteri significativi ».
Che cosa salva di questa legge?
«Sono favorevole alla possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali: così non si rischia di andare a votare (come nel 2008 e nel 2013) sulla base di una norma incostituzionale. E trovo positivo il tentativo di limitare l’ uso dei decreti legge. Ma questi sono solo aspetti particolari ».
Come andava fatta allora la riforma?
«Bisognava rendere il Senato un vero luogo di confronto fra centro e periferia. E invece “ricentralizzazione” è la parola d’ ordine di questa legge, che taglia le ali alle Regioni, capovolgendo l’ assetto autonomistico della riforma del Titolo V nel 2001. Lo statalismo ha già fatto danni nel Paese».
L’ obiettivo è anche tagliare i costi della politica.
Neppure questo la convince?
«Mi pare un argomento da bar, non solo sbagliato ma anche pericoloso. Purtroppo il governo ci punta molto. Tanto vale dire che per ridurre i costi della politica si sopprimono le istituzioni, all’ insegna del “tagliamo un po’ di poltrone”. Va bene risparmiare ma non certo per impoverire la rappresentanza».
La Repubblica, 24 aprile 2016