MILANO – Un ragazzino e quattro perché. I riccioli neri e il piglio dell’oratore indignato, condivide il palco con Gustavo Zagrebelsky e Umberto Eco, Roberto Saviano e Susanna Camusso e Gad Lerner e le sorelle Biagi. Dice a chi lo ascolta che “comincio a interessarmi di politica e mi faccio un sacco di domande. Spero che con un nuovo governo ci siano più risposte”. Conquista l’applauso del pubblico e in fondo dà il senso della giornata. Perché è anche per i ragazzini di oggi, che saranno adulti domani, che in diecimila si sono ritrovati al PalaSharp di Milano. Per partecipare alla manifestazione “Dimettiti”, organizzata da Libertà & Giustizia contro “l’imbarbarimento prodotto dalla politica e dalla cultura di Berlusconi e per gridare basta allo smantellamento dello Stato”. Niente bandiere di partito né inni né simboli. Qualche tricolore, cartelli self-made, la faccia del premier ritagliata da un giornale e le scritte col pennarello. Senso d’appartenenza, sì, ma a quella parte d’Italia che non ne può più. E vuole chiudere una pagina nera salvando la dignità del Paese. L’appuntamento era per le 15. Alle 13.30 l’apertura dei cancelli del PalaSharp: tutto esaurito. Centinaia di persone rimaste fuori. All’esterno, una giornata di primavera. Dentro, un clima di festa. Arrabbiati ma positivi. L’obiettivo è chiaro: sottrarre il Paese alla deriva berlusconiana. La linea la dà Zagrebelsy, che prende il microfono dopo il saluto di Sandra Bonsanti. Lo slogan è “Niente per noi, tutto per tutti”. Lo lancia il costituzionalista – e presidente onorario di L&G (“che quindi vuol dire che non conto niente”, scherzerà più tardi) – e poi (come anticipato da un articolo di Repubblica) mette i paletti: “Non siamo sul mercato, non abbiamo da chiedere né posti né denaro”. Il quadro è noto: “Corruzione delle persone, elargizione di denaro in cambio di sottomissione e servizi”. Dunque, “che cessi questo sistema di avvilimento della democrazia”. E se è vero che “il pettegolezzo non deve mescolarsi con gli affari pubblici”, non è questo il caso: “Se si trattasse solo della forza compulsiva e irresistibile del richiamo sessuale nell’età del tramonto della vita – osserva Zagrebelsky – non avremmo nulla da dire. La domanda non è se piace o no lo stile di vita di questa persona. La domanda è: ci piace o no essere governati da lui? E questa è una domanda politica”. Che la mobilitazione non vada interpretata come “un accanimento verso una persona” viene ripetuto spesso. Il problema, sottolinea il costituzionalista, è che “quel sistema di potere è incarnato da Berlusconi, ed è da lui che occorre cominciare, per poi guardare oltre”. Che poi Berlusconi abbia il dovere di rispondere ai magistrati, altrimenti si arriva a commettere “follie incostituzionali”, lo ricorda Oscar Luigi Scalfaro. Una videointervista in cui può più la vena battagliera che l’affanno dell’età. Il presidente emerito parla delle donne, “che hanno il diritto e il dovere di protestare” mentre in quelle che vanno in tv a difendere il premier vede “una tristezza abissale”. E conclude con un monito a credere “fino in fondo nella libertà, nella dignità e nei diritti e i doveri della persona umana” e a “non arrendersi mai”. Parole che animano la vastissima platea, come quel “salviamo l’Italia” pronunciato da Paul Ginsborg che, in collegamento telefonico, invita ad andare oltre il “rigetto del regime”. “E’ arrivato Roberto Saviano”, dice la Bonsanti. L’accoglienza è da rockstar. Ovazione, applausi. Al grido di “la democrazia è in ostaggio”, lo scrittore ritrova i temi anticipati con un articolo su Repubblica. Le questioni sono quelle a lui care. Il voto di scambio, la macchina del fango che si innesca contro chiunque contesti l’operato del governo. E il sogno rivoluzionario di Piero Gobetti, che per realizzarlo bisogna però imparare a parlare all’altra parte del Paese. Perché fino a oggi “abbiamo parlato fra noi”. E quindi “basta con la logica della divisione. E’ il tempo di trovare affinità più che divergenze e smetterla con la corsa a chi è più puro o chi è più traditore”. Smetterla “di sentirci una minoranza di persone perbene in un Paese di criminali. Il Paese è perbene, con una minoranza di criminali”. Una minoranza di criminali e un presidente del Consiglio schizofrenico. “Per questo, non per il suo eccesso di satiriasi, bisogna chiedergli di dimettersi”, dice Umberto Eco. Che cita il caso di Cesare Battisti. L’Italia ha chiesto l’estradizione “perché difende la legittimità della nostra magistratura”. “Ebbene, il presidente del Consiglio, quando accusano un altro difende la legittimità della magistratura, quando accusano lui, no. Questa è schizofrenia, è dimenticare venerdì cosa si è detto giovedì”. Tutto questo, dopo aver aperto il proprio intervento con una battuta che rimanda alla telefonata con la quale Berlusconi avrebbe chiesto alla questura di Milano di affidare Karima el Mahroug, cioè Ruby, a Nicole Minetti. “Credevamo che il nostro presidente del Consiglio avesse in comune con Mubarak la nipote – ha detto Eco – invece ha anche un altro vizietto, quello di non voler dimissionare”. Gli interventi sul palco del PalaSharp sono tanti. C’è Susanna Camusso che sottolinea come “da due anni e oltre il tratto costante è stato dividere persone, lavoratori, cittadini italiani dagli stranieri, uomini e donne, studenti e istituzioni, guardare il povero come un perdente, pensare che la disoccupazione sia solo un numero. Mentre ci sono parole antiche da far rivivere – sottolinea il segretario della Cgil – diritti, responsabilità, doveri e rispetto, persone e non oggetti in vendita”. Appassionato l’intervento del maestro Maurizio Pollini, per il quale “esistono cose ben più gravi dei festini, ad esempio il fatto che il presidente del Consiglio ha creato attorno a sé una rete di corruzione che ha acquistato un vero potere nella vita del Paese. Sono praticamente tutti indagati”. C’è il messaggio di Nando Dalla Chiesa, che invita a una “pubblica rivolta davanti al mondo intero per restituire onore all’Italia”. C’è il direttore dell’Unità, Concita De Gregorio, che al termine del suo intervento ricorda l’appuntamento del 13 febbraio con la manifestazione delle donne. Poi tocca al ragazzino e ai suoi “perché”: “Perché Berlusconi si fa i comodi suoi mentre c’è gente povera e giovani che non trovano lavoro? Perché si parla della scuola solo per tagliarne i costi? Perché c’è tanta mancanza di lavoro?”. C’è Gad Lerner che lancia l’allarme sull'”eccessiva concentrazione di potere, politico, economico, mediatico, nelle mani di un solo uomo” e riporta all’attenzione il “bisogno di ripristinare decenza e dignità pubblica”. C’è un tonante Moni Ovadia, che fa risalire “l’inizio della devastazione” alla legge Mammì e sollecita a “vigilare affinché da questo momento non si torni più indietro” e si crei “una mobilitazione permanente finché Berlusconi non uscirà dalla politica”. E poi Carla e Bice Biagi, che leggone le parole pronunciate da papà Enzo dopo l'”editto Bulgaro” ed emozionano la platea. Ci sono Giuliano Pisapia – candidato del centrosinistra a sindaco di Milano – e Giovanni Bachelet. E poi di nuovo Bonsanti e Zagrebelsky per il saluto finale. Nel frattempo, dalla maggioranza, sono arrivati i commenti. Quello di Silvio Berlusconi, che a pochi minuti dalla fine della manoifestazione dirà che “non vanno presi sul serio”. Il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, dice che “a Milano c’è l’ultima manifestazione del fascismo di sinistra”. Allarmato il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone: “Personaggi posseduti da odio e livore, da una pulsione ad abbattere il nemico, a umiliare chi è diverso da loro. Viene il dubbio che possano sognare una nuova Piazzale Loreto”. Mentre Sandro Bondi dice che “gli interventi al grido di ‘dimettiti’ mi fanno paura”. A lui replica Zagrebelsky nell’intervento che, con una citazione evangelica, conclude la giornata: “Semmai è lui che ci fa paura – dice – ma in ogni caso ciò a cui noi miriamo non è far paura. Il nostro compito di cittadini consapevoli è di alimentare un’opinione pubblica che si basa sulla verità. Perché la verità vi farà liberi”.
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