Quattro firme per uscire dal tunnel

07 Feb 2005

In pochi giorni molto è cambiato nel panorama politico italiano: si è mossa la carovana della federazione, un cammino lungo e accidentato del quale però è ben visibile la meta: il partito unico del centrosinistra italiano. Un cambiamento decisivo ed è dunque facile intuire che tornare indietro, rispetto a questa prospettiva unitaria, sarebbe per l’opposizione tutta un trauma insostenibile.

Fassino, D’Alema e Veltroni hanno convinto il loro partito, il più grande della federazione, che l’ora è venuta, perché solo rinnovandosi, coraggiosamente, guardando al futuro è possibile vincere il presente: l’Italia che Berlusconi col suo governo ha contribuito a rendere più misera e arretrata, togliendo ai giovani qualunque certezza per il futuro e agli anziani qualunque sicurezza del presente.

Cambiare per battere l’anomalia, trasformare l’incubo in un sogno. Far pesare sul piatto della storia le idee, la tradizione, le passioni che vengono da lontano e che formano un solido patrimonio di partenza.

I Ds, delegati e dirigenti, si sono lasciati convincere e hanno affidato ai loro leader, prima di tutto Fassino, il compito di guidare la carovana. Il superamento della grande frattura interna del congresso di Pesaro fa sì che il compito sia meno ingrato di quanto avrebbe potuto esserlo. La cosa più importante infatti che i delegati portano con loro nelle terre d’origine è questa ritrovata unità, questo sentimento di esser comunque sempre compagni di uno stesso partito.

Proprio per questa sicurezza potranno ora agire, avere la forza di “contaminarsi” e aprirsi in vista dei passaggi successivi.

Il grande partito riformista che Fassino, D’Alema e Veltroni hanno fatto balenare agli occhi dei diessini è quella grande famiglia che da tanto tempo mancava, e non ci sono più barriere nei confronti di altri, quasi tutti sono benvenuti, se vogliono farne parte, dai senza casa che hanno affollato il congresso ai socialisti che furono craxiani. Un grande partito di tutti, una casa confortevole guidata con mano ferma da capifamiglia che pensano alle necessità, tengono saldo il timone, indicano ruoli e si preoccupano del futuro di tutti. Un partito rassicurante, mite, compassionevole, compatto e vincente. Riformista ma non moderato, come hanno ribadito in coro. Con un tocco di oligarchia, che di questi tempi non guasta.

Col Palalottomatica alle spalle ho cominciato a pensare che tutto questo era ed è una notevole novità. Di un nuovo partito riformista avevano parlato molto i leader dei Ds nei mesi scorsi. Ma mancava ancora la conferma di un vasto consenso della base ed era difficile prevedere quanto i timori di scioglimento avrebbero pesato sul congresso. Credo che a convincere sulla rotta da seguire sia stato soprattutto l’accordo dei leader fra loro e l’intesa con Prodi. Finalmente è apparso a chi era frastornato da anni di incertezze e tensioni un progetto unico per vincere le elezioni e tornare a governare: nelle regioni, nelle città, nel Paese.

Il progetto ha convinto perché porta la firma di quei quattro: D’Alema, Fassino, Prodi e Veltroni.

Ad essi il congresso ha dato la fiducia.

Gli ostacoli da superare non sono pochi. E’ facile rendersi conto che una cosa è lavorare a Roma, tracciare sullo schermo della grande politica le tappe del progetto e indicare il traguardo, lasciarsi portare dalle emozioni del congresso, musiche, colori, parole, storie. Altra faccenda è invece doversi inventare a livello locale i modi di aprire il partito, rinnovarlo, rinunciare a momenti di visibilità e sovranità a favore di altri. Una cosa sono il palco e gli abbracci , altra la lotta per il potere, la spartizione con gli alleati-avversari, la guerra delle candidature… una cosa è la scena nazionale, altra quella, dura e modesta, di casa propria.

E’ facile inoltre prevedere che la Margherita sarà molto meno entusiasta della prospettiva delineata al Palalottomatica. Marini e i suoi hanno più volte ribadito di non voler sentir parlare di un solo soggetto politico e soprattutto non accetterebbero mai di finire in Europa insieme ai socialisti europei. La Margherita, è possibile, vorrà stabilire confini, onde riaffermare la volontà di non essere inglobata nel partito di Fassino. Si sentirà costretta, chiederà di non affrettare tempi e decisioni. La federazione dovrà comunque tener conto dell’umore degli altri compagni di strada, la sinistra fuori dalla Fed. Dovrà impegnarsi a trovare programmi di governo su cui non rompere con Bertinotti, inventare una politica estera unitaria, risolvere una volta per tutte la spinosa questione delle primarie ecc.

ecc.

Nessuno si illude che la strada da oggi sia sempre in discesa. Ma non v’è dubbio che la carovana è partita e in tanti in questi giorni tra coloro che sperano nella vittoria contro Berlusconi si sono sentiti rincuorati. La grandezza del progetto politico testimonia che l’apprensione per la tenuta del sistema Italia è giustificata. Si cambia per vincere questa schifezza, si cambia per non morire. Dunque, guai a chi tradisce! Uniti significa non litigare per un nonnulla. Significa discutere sui grandi temi, sul programma, approfondire le soluzioni, senza distinzioni fini a se stesse, senza quelle divisioni che nascono da egoismi di parte e da vane preoccupazioni di visibilità. Guai a inseguire un titolo di giornale, un’apparizione in Tv, una citazione effimera. O dare l’impressione che invece di candidare il migliore si candida col manuale Cencelli dell’Ulivo…

Troppi elettori di centrosinistra si stanno lasciando convincere dal sogno di Fassino, troppi pensano oggi che la vittoria è possibile. Tradirli sarebbe confessare: abbiamo scherzato, mentre il Paese andava alla deriva vi abbiamo mostrato non un vero progetto su cui impegnarsi a fondo ma una chiacchiera retorica… Quattro firme per un discorso fra gli amici del bar.

Sarebbe scherzare col fuoco: questa volta pochi perdonerebbero ancora.

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