I rave e l’anticamera dell’autoritarismo 

06 Nov 2022

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il diavolo si nasconde nei particolari. Nell’Art.434-bis si nasconde nel verbo “può”. L’articolo 17 della Costituzione prevede che “delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Il testo dell’Art. 434-bis reprime l’“invasione per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica… commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.

In quel “può” c’è il segno distintivo del governo. Un salto logico e giuridico – quello tra prove comprovate e prove possibili – che è sfuggita al liberale Carlo Calenda, il quale si è detto d’accordo con il governo: “un’iniziativa condivisibile. Lo Stato non può rimanere spettatore di eventi illegali e pericolosi”. Ma, onorevole Calenda, se lo Stato punisce quel che “può” essere, è evidente che non può essere spettatore di quel che ancora non c’è! La logica accomodante dei liberali nostrani rivela quanto poco ci si possa fidare di loro.

Perché non comprendono che il rave non è l’unica vittima di questa norma liberticida. Infatti, Giorgia Meloni ha commentato con parole di grande soddisfazione questo decreto, che il Presidente Mattarella ha già controfirmato: “Stamattina abbiamo proceduto ad approvare un primo decreto che secondo me è molto importante. Personalmente, per me, è a tratti simbolico”.

Perché “è a tratti simbolico”? Perché esprime il carattere repressivo di questo governo, che assegna agli organi di polizia una larga latitudine interpretativa con quel “può”.  Perché è evidente che si colpiscono i rave per poter colpire tutti coloro che, in numero superiore a cinquanta persone, dora in poi si riuniranno in uno luogo pubblico e da cui l’autorità di polizia ritiene che possa derivare un pericolo.

Le leggi non sono fatte per questo o quello, ma per tutti coloro che possono trovarsi nelle circostanze da esse previste: quel che superficialmente viene chiamato provvedimento contro i rave, è contro tutti. E comunque, anche qualora non piacessero i rave, la loro colpevolizzazione ‘a prescindere’ non è giustificabile in uno stato fondato sui diritti, che non consente di reprimere qualcuno per quel che è.

Questa mentalità discriminatoria è la migliore sintesi dei tratti simbolici di questo governo.  Indica un’attitudine securitaria e preventivamente repressiva che, almeno dal secolo diciannovesimo, appartiene a governi che sono liberali per alcuni ma non per tutti, e che usano a discrezione la forza pubblica quando l’identità dei cittadini indica la possibilità di un reato. Oggi i rave, e domani? Questo è il “tratto simbolico” dei governi polizieschi, l’anticamera dell’autoritarismo.

Domani,  4 novembre 2022, www.editorialedomani.it

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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