La convenienza dei diritti

La convenienza dei diritti
La città democratica antica era come una cipolla: con strati di libertà, di subordinazione e di servitù.  Sopra stavano i cittadini maschi autoctoni e sovrani. Poi venivano le donne autoctone assoggettate al governo patriarcale degli uomini. Sotto erano i semi-visibili (gli immigrati liberi, lavoratori e commercianti). Sotto ancora, gli invisibili, gli schiavi (catturati nelle guerre o comprati). La libertà era dei liberi e implicava una pletora di dominio di chi libero non era. Riposava su un dualismo radicale per cui il libero era nominato in negativo, come non-servo. Il servo marcava i confini di quell’antica libertà, che non si applicava all’universalità degli esseri umani semplicemente, senza aggettivi e appartenenze etniche.
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La civiltà democratica che noi celebriamo, spesso con fastidioso orgoglio, e nella quale ci identifichiamo per varie ragioni, laiche o religiose, riposa su una concezione universale del diritto primario che fa dell’eguaglianza di una semplice relazione giuridica e politica. Le nostre democrazie, innestate sulla sovranità e i confini degli stati, galleggiano su questo mare universalista, che è ad un tempo il loro alimento e il loro limite. Non si dà una definizione legittima del diritto umano come diritto che appartiene ad un gruppo di uguali per ragioni di cultura e appartenenza nazionale. Questa è la premessa della nostra civiltà del diritto che nei secoli ha reinterpretato la politica, la vita privata e pubblica, la cultura e l’etica.
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Questa civiltà del diritto è messa a repentaglio ogni volta che una società vive e accetta di vivere del servizio di invisibili. Lo si vede nell’Italia del Covid19: i cittadini (soprattutto quelli che possono) stanno protetti in casa: #iorestoacasa. Ma per farlo hanno bisogno di molti servizi. Oggi, hanno quindi la possibilità di capire quanto sia perniciosa la politica dell’immigrazione clandestina sulla quale i governi, soprattutto quello precedente, hanno mietuto consensi.
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Lo ha spiegato ieri Tito Boeri su questo giornale (La Repubblica, 17 aprile ndr): senza far emergere gli illegali e i clandestini, senza dare loro la regolarizzazione che gli consente di lavorare in sicurezza in agricoltura, chi sta in casa non sta sicuro; il virus “si è diffuso nelle case occupate e poi nei centri di accoglienza. Accorpati dal decreto Salvini, facilitano il contagio”.
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Scopriamo con questa pandemia, che la cultura dei diritti non è solo un bel fiore all’occhiello di un Occidente, presuntuoso e spesso imperiale.  La cultura dei diritti, l’inclusione universale che implica, è anche “utile”.  L’utilità dell’inclusione dei lavoratori clandestini nella rete dei diritti di trattamento e di sicurezza sociale; l’utilità di avviare una sanatoria che equipari tutti i residenti ai cittadini, e renda i clandestini legali: questa è la condizione affinchè chi sta in casa per ripararsi dal virus possa approvigionarsi di prodotti agricoli e sentirsi sicuro.
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Il paradosso delle ideologie nazional-populiste che dicono di escludere dal godimento dei diritti gli “altri” per meglio garantire “noi” è di gettare le condizioni per rendere vana la sicurezza del diritto a tutti. La rivolta contro la cultura dei diritti è indicativa di una visione etnocentrica illiberale che si dimostra controproducente proprio per coloro che sono dichiarati privilegiati. I diritti sono convenienti, non solo giusti.
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Una comunità a buccia di cipolla che sovrappone i visibili nel diritto ai semivisibili residenti regolari senza cittadinanza, e agli invisibili, questa società stratificata ineguale è tremendamente ingiusta e anche pericolosa. “Prima gli italiani” è uno slogan poco perspicace perché il coronavirus rende i non-liberi e gli invisibili un rischio incalcolabile.
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la Repubblica, 18 aprile 2020

2 commenti

  • A me sembra che la propaganda sovranista si giovi del diritto del cittadino alla vivibilità; Questa manchevolezza non è di oggi, causata dalla crisi ma convive da sempre nella nostra società. Se ci rendiamo capaci di metterci nei panni dei diseredati, ci accorgeremmo che tutti gli altri diritti di cui in moltissimi, la maggioranza godiamo si sono trasformati in privilegi. Consegue la facilità della propaganda sovranista contro gli immigrati fingendo di voler aiutare i cittadini italiani in miseria ma salvaguardando invece i propri interessi. Se il diritto di vivibilità valesse per tutti i cittadini italiani sarebbe stato molto più difficile negarlo ai disperati che arrivano dal mare.

  • Lonate Ceppino 30/6/2008

    Oggetto: Per capire il fanatismo è opportuno capire l’alienazione (da Anima e società di From)

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    Sono d’accordo con From, non è fanatico chi si batte per le proprie convinzioni, quando queste sono il frutto della elaborazione profonda del proprio pensiero, ma chi, completamente avulso da idee personali, si lascia trascinare da qualcosa che gli permetta di vivere senza la fatica dell’impegno più gravoso che è quello di rimanere padrone della propria identità, costruendo da sé il proprio pensiero. Ho riportato le parole di From perché sono esplicative di come per capire il fenomeno del fanatismo è necessario riuscire a considerarlo fra le possibilità del proprio modo d’essere, della propria anima, in ultima analisi di sé stessi. Se non si riesce a mettersi su questo piano, secondo me, non si riuscirà mai a capirci niente. In altro modo rimarrebbero inspiegabili fatti che vediamo tutti i giorni, che uomini che hanno tutte le caratteristiche da me attribuite all’essere umano, si trasformino in strumenti automatici ed annullandosi completamente in tali strumenti, eseguano azioni efferate molto lontane da quelle che ritengo essere le prerogative dell’uomo. L’uomo da uomo si trasforma in strumento automatico che esegue azioni guidato non più dalla propria volontà cosciente ma da un meccanismo artificiale che lo possiede completamente. Faccio ricorso ancora a quanto dice From in anima e società:
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