L’esercizio del risentimento contro chi sostiene la Costituzione

07 Nov 2018

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Sul Corriere della Sera del 2 novembre scorso, Angelo Panebianco ha lanciato un j’accuse contro i “puristi” della Costituzione che nel 2016 si opposero alla riforma costituzionale Renzi-Boschi perché segno di una “svolta autoritaria”.  Scrive l’articolista del Corriere: “Sembra proprio che alla maggioranza di questi paladini della Costituzione nata dalla Resistenza importi ben poco sia della Costituzione che della Resistenza: la difesa della Costituzione contro le ‘involuzioni autoritarie’ è più che altro un’arma politica di comodo da utilizzare contro il nemico di turno, si chiami Bettino Craxi, Silvio Berlusconi o Matteo Renzi”.

A ruota, sul sito del Pd, Democratica, è uscito poco fa un commento elogiativo dell’articolo di Panebianco a firma di Vittorio Ferla, il quale si scaglia contro “i puristi” (lunga la lista delle loro professioni) che avrebbero non solo portato l’Italia nelle braccia dei “minacciosi totalitari”, quelli di Cinquestelle, ma ora “tacciono” di fronte alle parole di Grillo sulla “rottamazione del Parlamento” e  “l’aggressione al Capo dello Stato”.  Per Ferla i puristi avevano un piano: far fuori Renzi, perché Renzi sarebbe il nemico, non il M5S.

La campagna contro chi si oppose a quel referendum-plebiscito è oggi un penoso esercizio di risentimento, dei renziani e di chi pensava a Renzi come al mezzo per attuare un progetto che attendeva sottotraccia da qualche decennio.  Panebianco, da coerente conservatore, è risentito che il gollismo non abbia avuto corso in Italia – e che chi ci ha provato (Craxi, Berlusconi, Renzi) abbia pietosamente fallito. Ed è importante che sia Panebianco a mettere in fila i dioscuri del cesarismo gollista. Noi abbiamo chiamato quel progetto – il gollismo appunto – un progetto autoritario. Panebianco lo conferma. In Francia, il gollismo è stato atterrato nel 1969 proprio come progetto autoritario.  Ma, si sa, il 1969 era l’anno della ubriacatura del radicalismo politico!

La riproposizione del gollismo in Italia, dopo quella sepoltura francese, ha un sapore di antico solo all’apparenza.  Riportare ora il decisionismo nella Costituzione avrebbe un significato di rimozione conclusiva, definitiva: chiuderla con la pletora dei movimenti per i diritti, della contestazione, del movimentismo! Vive la gouvernabilité. Craxi, Berlusconi, Renzi. Un unico progetto, una sola finalità. Democrazia come governabilità. Fuori di qui, o apatia (buona cosa) o movimentismo (una spina nel fianco della democrazia). L’argomento conclude così: chi non condivide questa visione duale, prevedibilmente non vuole quel tipo di riforma della Costituzione, e sta con i populisti. O governabilità o populismo. Ecco l’alchimia – i puristi erano gli amici dei populisti!

 Questa la logica di Panebianco. Raffinata e radicale. Micidiale.

 Ma quella di Ferli è logica dello scrivano che muove la penna per ribadire la leadership di Renzi. Anche se è stato travolto il 4 dicembre e poi, insieme al suo partito, il 4 marzo.  Tutta colpa dei “puristi” poiché lui era nel vero, era la verità. C’è da provare pena per la povertà intellettuale e l’ottusità politica di questo argomentare. Ancora qui a recriminare! Ancora qui ad alimentare risentimento! E per giunta per una cosa sbagliata: non solo perché chi ha perso ha perso; ma anche perché chi ha perso non ha perso per colpa dei “puristi” semplicemente, ma del 60% degli elettori. Prendetevela con quel 60%, amici di Democratica. Viva la minoranza, dunque!

Una linea sbagliatissima quella di Ferli per un’altra ragione: in quanto accusa i “puristi” di non essere così puristi con le cose che dice Grillo (tra l’altro, oggetto di critiche anche da parte dei “puristi”) – ma, signor Ferli, queste sono affermazioni, non proposte da referendum. Decisione e opinione, i democratici dovrebbero saperlo, non sono la stessa cosa. Quando i grillini o i leghisti vorranno proporre si cambiare la Costituzione, “i puristi” saranno pronti a riprendere le armi.

C’è infine un fattore che lascia sempre stralunati: quello della pianificazione del futuro che i renziani assegnavano (e assegnano ancora) a quel referendum.  Pensano che vinto quel referendum, essi avrebbero vinto anche le elezioni, e l’Italia sarebbe stata in una botte di ferro! Ma pensiamo un po’ se avesse vinto il Si il 4 dicembre 2016 e poi avessimo la maggioranza di oggi. Come staremmo noi tutti?

 Il fatto è che il rottamatore Renzi, il semplificatore Renzi, ha contribuito alla grande alla stabilizzazione di un approccio populista alle istituzioni e alla politica. Da Berlusconi – di cui Renzi, come questi altri leader (Salvini e Di Maio), è un epigono nello stile personalista e nella retorica da piazza che cerca l’audience con la battuta ad effetto – la vicenda italiana è segnata da un leaderismo plebiscitario che ha divorato partiti e istituzioni. Non volerlo vedere è una delle ragioni della persistente condizioni minoritaria di questo Pd.

Con l’aggravante che, non avere “un’opposizione” libera dall’ipoteca del 4 dicembre è un problema per la democrazia italiana.

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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