Il referendum sull’autonomia lombarda

Il referendum sull’autonomia lombarda

Il referendum del 22 ottobre sull’autonomia lombarda assume un nuovo rilievo politico dopo l’allarme suscitato dal successo della Destra Afd in Germania e dopo l’incredibile delirio prodotto dal referendum in Catalogna.

Senza questi precedenti si sarebbe tentati di ignorare un referendum che appare vuoto di reale sostanza e pieno di facile retorica.

“Vuoi tu, cittadino lombardo (e veneto), essere più autonomo?” Questo il quesito che ci è posto.

Un quesito vuoto di sostanza perché il risultato referendario non produrrà alcun effetto diretto e concreto. Assegnerà solo al presidente della regione Lombardia, in caso di vittoria dei Sì, il compito di intavolare una trattativa con il governo per ottenere maggiori competenze, soprattutto in tema di fiscalità. Quindi è privo di effetti immediati e conseguenti, e ha solo una portata politica. Di fatto costituisce una investitura per l’attuale governatore della Lombardia che, assieme a quello veneto, ha inventato questo appuntamento per preparare la campagna elettorale per il prossimo rinnovo dei consigli regionali.

In assenza di concreti successi di governo (pensiamo solo alle condizioni dei ponti sul Po!), e in costanza di una lunga serie di scandali, soprattutto sul versante sanitario (e di infiltrazioni della criminalità organizzata), il governatore lombardo tenta un diversivo per evitare un bilancio effettivo sul suo mandato, e la mette sul piano della pura suggestione retorica. Vogliamo solo ricordare che dagli anni di Formigoni a quelli di Maroni non c’è stato un solo assessorato alla sanità lombarda che non sia stato investito da scandali, incriminazioni, condanne.

Si devia così su un quesito puramente suggestivo. Chi non vorrebbe essere autonomo, se è vero che il contrario di autonomo è dipendente e subalterno, cioè privo della libertà di decidere per sé e soggetto ad una arbitraria volontà altrui?

E’ questa la grande fortuna di tutti i movimenti autonomisti, sovranisti, indipendentisti. Il messaggio autonomista serve a far credere che ritagliarsi una propria piccola, locale, campanilistica autonomia serva a costruire una barriera a difesa della propria libertà. Un muro contro un mondo ostile, cui addebitare le proprie insicurezze prodotte da un reddito scarso o precario, o da un lavoro che non si trova, o dalle paure create da cambiamenti troppo rapidi e incontrollabili.

Sono illusioni. Sono movimenti di opinione che, partendo da disagi molto concreti, sbagliano purtroppo bersaglio. Valgano come esempi i casi dei britannici con la Brexit e degli americani con Trump. Scelte politiche che hanno reso questi due paesi ancor più dipendenti dai veri poteri che governano il mondo. Gli inglesi si troveranno ancor più dipendenti, visto che l’opzione di Londra è quella di trasformarsi in un paradiso della finanza, mentre l’America si è consegnata ancor più al controllo dei manager delle grandi banche d’affari, se è vero che metà dei suoi ministri vengono dagli ambienti di Wall Street.

E noi stiamo qui a parlare di autonomia lombarda. Che poi significa consegnare al ceto politico lombardo i poteri di spesa che oggi sono del governo nazionale. Dunque la domanda potrebbe essere: il ceto politico regionale, con i precedenti degli ultimi due decenni, merita questi onori e questi nuovi poteri?

Il vero significato del referendum sull’autonomia può di fatto ridursi al famoso slogan “prima la Lombardia”. Prima i lombardi, che pagano le tasse e devono poter decidere come spendere del proprio. Ma subito dopo ci si potrebbe domandare: perché i maggiori contribuenti, quelli che pagano più tasse, dovrebbero pagare servizi e prestazioni a chi le tasse non le paga (i bassi redditi)? Dunque, prima i lombardi ma, subito dopo, prima chi ha i soldi e paga le tasse. Perché per la stessa logica anti-redistributiva, non è giusto che si paghino prestazioni e servizi a chi le tasse non le paga. E’ così che si consolida la piramide sociale, prima su base territoriale, poi in una scala gerarchica della ricchezza.

Del resto, la spinta autonomista viene dalle stesse forze politiche che hanno già annunciato come programma di governo una flat-tax del 15 per cento, cioè una tassa uguale per tutti, secondo un paradossale e assurdo principio di uguaglianza. Una tassa uguale per tutti favorisce una divaricazione dei redditi e della ricchezza, genera nuove povertà che impediscono l’esercizio di una effettiva libertà e indipendenza, alimenta risentimento e insicurezza. Si creano cioè le condizioni sulle quali si pretende di fondare la domanda di autonomia. Una spirale perversa che si auto-alimenta. Con un di più di ostilità dei più poveri contro i migranti ultimi arrivati, e contro lo Ius soli. Così l’imbroglio dell’autonomia si completa.

(*) L’autore è socio del Circolo Leg di Mantova.

 

1 commento

  • Avevo già commentato così qualcosa che va bene anche per questo.
    Ho letto l’articolo dell’esimio costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sulla nuova legge elettorale trovo molto giuste le sue tesi sulla sua incostituzionalità. Ma secondo me il danno che può procurare non si limita alla limitazione per l’elettore della piena libertà nella scelta del voto, perché questa scelta non fatta dagli astenuti o espressione di contraddizione per chi va votare si tradurrà in futuro nel perdurare nella società della divisione dei cittadini, in coloro che godono di tutti i diritti (o spesso di privilegi), chi di solo alcuni, chi pressoché di nessuno. Secondo me il cittadino dovrebbe avere come primo diritto quello di contare nella società, perché solo chi non si vede negato questo diritto essenziale ed ha acquisito la capacità di valersene può contribuire veramente a realizzare la società del buon vivere. Molti fra i cittadini che si disinteressano della politica sono convinti che la politica non serve a niente, proprio perché hanno acquisito per conto proprio una gran parte dei diritti e sicuramente quelli essenziali a condurre una vita senza molti problemi: “lasciatemi in pace! a che serve!? Ho altro a cui pensare”. In questa tipologia di persone s’interessa di politica solo chi ha scoperto che ne può ricavare vantaggi e sceglie fra gli addetti coloro che quei vantaggi gli promettono. Molti altri si sono accorti che hanno contato, anzi meglio sono stati contati solo nel momento delle elezioni e dopo proprio per niente perché non hanno il diritto di contare e non aspirano ad averlo perché non ne sono stati resi capaci. Io voterei per una parte politica che esprimesse un programma che indicasse una modalità istituzionalizzata per far contare il cittadino e i passi successivi per la realizzazione. Questa modalità di scelta si può tranquillamente disinteressare di come funzionano le elezioni perché se esistesse una parte che si presentasse con quelle prerogative a nessuno sarebbe proibito di votare per quel principio. Qualcuno pensi veramente a costruire un domani migliore. Contrapporre al paese di Bengodi il paese della buona società fondata sul patto sociale fra i cittadini.

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