La grande corsa al voto, ma per fare che cosa?

06 Giu 2017

Voto subito, ma per fare cosa? Un’unica certezza – la corsa alle urne – s’accompagna a una pioggia battente di domande in attesa di risposte. Per ora sappiamo solo che, in un battibaleno, il sistema elettorale maggioritario introdotto nei primi anni Novanta del secolo scorso lascerà il passo a un sistema proporzionale (un “tedesco” all’italiana, sembra di capire) che era stato protagonista dal 1948 al 1992. 

Un grande salto all’indietro, con tanto di addio al declamato principio che saranno gli elettori a decidere chi governa il giorno dopo le elezioni. Stabilità e governabilità saranno tutte da conquistare, perché è molto probabile che in Parlamento si dovranno trovare accordi di coalizione tra forze politiche che fino al giorno prima, come ha detto Matteo Renzi, «se le sono date di santa ragione» per conquistare i voti. Ma si voterà presto, perché così hanno deciso partiti e movimenti, a partire dal Pd di Matteo Renzi, da Forza Italia di Silvio Berlusconi, dalla Lega di Matteo Salvini. E dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, sempre che la fronda interna non blocchi l’ accordo. 

Quando si voterà? Già a settembre o ai primi di ottobre, al termine di una campagna elettorale balneare, questa sì una novità assoluta. Al tempo dei governi (balneari) della Prima repubblica avevano un certo successo di pubblico le interviste dei politici in vacanza “sotto l’ombrellone”. Nell’estate 2017 vedremo i politici e la politica al lavoro tra gli ombrelloni o sui sentieri di montagna, alla ricerca del consenso dei cittadini e contribuenti. Alla campagna elettorale permanente caratteristica della politica italiana mancava l’ apertura di questa finestra temporale. Ora si cambia, nessuna tregua. Per mari e per monti. 

Resta la domanda: per fare che cosa? La prima evidenza che verrebbe in mente è la messa in sicurezza dei conti pubblici di un Paese su cui grava un debito pari a circa il 133% del Pil, fattore di indiscutibile vulnerabilità. L’altro ieri, di fronte al Presidente della Bce Mario Draghi, il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha parlato di «sforzo eccezionale» per superare definitivamente la crisi e della necessità di perseguire un avanzo primario al 4% del Pil per far sì che il debito scenda, in dieci anni, sotto il 100% del Prodotto. Si tratta di un percorso molto impegnativo, che richiama a scelte di politica economica coerenti con l’ obiettivo che si intende perseguire. E non minore, ha aggiunto Visco, è l’impegno necessario per ritrovare un sentiero di crescita stabile ed elevata. Questa, come è noto, è tra le più basse in Europa. 

Ieri l’Istat ha rivisto al rialzo la crescita del Pil (+0,4%) del primo trimestre 2017 e si prevede ora che l’ obiettivo stimato dal Governo per fine anno (+1,1%) possa essere centrato e, forse, anche superato. Buona notizia, anche se «l’ impegno continua» ha specificato il premier Paolo Gentiloni. Ma non solo: il ministro dell’Economia ha scritto alla Commissione europea che il Governo italiano punta per il 2018 a una correzione dei conti inferiore a quella prevista e prospetta a Bruxelles uno «sconto» di circa 9 miliardi su cui il governo europeo dovrà esprimersi.

Improvvisamente, il barometro sembra indicare una stagione a venire più facile e, in controluce, più agevole per la corsa alle elezioni. Peccato manchi al momento – oltre un percorso condiviso in vista della nuova legge di bilancio – qualsivoglia indicazione, da parte dei partiti e movimenti che puntano al voto nel più breve tempo possibile, su cosa fare per ridurre il debito e rilanciare la crescita. 

Si vogliono ridurre le tasse? Su quale terreno (Irpef, cuneo fiscale per i giovani, cuneo fiscale in generale) e con quali risorse? Si vogliono tagliare le spese? Dove, e in che misura? Si vogliono rilanciare il lavoro e gli investimenti pubblici e privati? Come? Privatizzazioni? Liberalizzazioni? E resterà in agenda il piano sui superammortamenti, per stare a un provvedimento di cui si parla troppo poco a dispetto dei buoni risultati che ha già dato? Quali posizioni si vogliono assumere al tavolo dell’ Europa, atteso che (per fortuna, rispondendo se non altro a un esercizio minimo di realismo) nessuno si pone più come obiettivo politico la fuoriuscita dall’euro? 

Di questi temi, accanto alla definitiva messa in sicurezza dei conti pubblici, occorre discutere subito. Perché fare della data per le elezioni una variabile indipendente addirittura dalla nuova legge elettorale, che nel migliore dei casi arriverà a luglio, potrebbe avere conseguenze gravi. Tanto più in un contesto dove l’incertezza e un calo di fiducia si possono scaricare sui mercati finanziari – dove si compra, si vende e si scommette – in una spirale che non vorremmo neanche immaginare. Voto subito, ma per fare cosa?

 

Il Sole24 Ore, 2 giugno 2017

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