LA COSTITUZIONE E I DIRITTI NEGATI

14 Mar 2016

Riforme, la Costituzione secondo Renzi:
premierato assoluto e negazione della rappresentanza

1. Dubbi (sic!) sulla legittimità dell’attuale Parlamento a modificare la seconda parte della Costituzione.
La sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, nel dichiarare l’incostituzionalità della legge elettorale definita Porcellum , affermava che le Camere, elette appunto con una legge dichiarata incostituzionale, in particolare per l’assenza di una soglia minima per l’assegnazione del premio di maggioranza, avrebbero potuto continuare ad esercitare le loro funzioni soltanto sulla base di un principio implicito all’ordinamento giuridico, ovvero su il principio fondamentale della continuità dello Stato . Un principio che, tuttavia, non legittima un esercizio prolungato nel tempo, tra l’altro, finalizzato a stravolgere l’impianto costituzionale, ma al massimo, come esemplificato dalla Corte nella medesima sentenza, limitato nel tempo.
In questo senso, la stessa Corte fa riferimento alla prorogatio prevista negli articoli 61 e 77, comma 2 della Costituzione. Istituto che, al massimo, può prevedere un’efficacia di tre mesi. Quindi un Parlamento, eletto con premi di maggioranza dichiarati incostituzionali e con un potere limitato nel tempo , come affermato dalla Corte, si avvia a mutare forma di governo e forma di Stato .

2. La crisi della rappresentatività ed il dominio dell’esecutivo.
Ai sensi del’art. 55 del progetto di riforma costituzionale Renzi/Boschi, il rapporto di fiducia si instaurerà soltanto tra la Camera dei deputati ed il Governo . Infatti, solo alla Camera dei deputati è attribuito concedere o revocare la fiducia. Questa norma, tuttavia, va letta unitamente alle disposizioni di cui alla legge n. 52 del 2015 (c.d. Italicum) che, come è noto, assicurano una maggioranza assoluta dei seggi all’unica lista che ottiene il miglior risultato . In sostanza, se un partito supera la soglia del 40% dei voti validamente espressi, al secondo turno al ballottaggio, anche con una soglia bassa di partecipazione, quindi anche in presenza di un’alta astensione, avrà la maggioranza dei seggi .
Un partito, anche non altamente rappresentativo, sarà in condizione ed abilitato a formare il governo ed ottenere il voto di fiducia da parte della Camera dei deputati; un partito poco rappresentativo del corpo elettorale, espressione di un’esigua minoranza di voti, potrà governare da solo il Paese. Il partito di maggioranza relativa, anche con il 30% dei voti, ad esempio con il 50% degli astenuti, otterrebbe la maggioranza dei seggi. La funzione di determinazione ed attuazione dell’indirizzo politico si concentra “nelle mani dell’Esecutivo”, anche in contrasto con quanto sostenuto ed argomentato nella sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale, con la quale si dichiarava l’illegittimità del c.d Porcellum. In particolare la Corte affermava che la “rappresentatività” non dovrebbe mai essere penalizzata dalla “governabilità” .

 3. Composizione del Senato.
Del tutto peregrina è la composizione del Senato: 100 senatori di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Oscure risultano le modalità di elezione di consiglieri e sindaci che, espressione delle autonomie territoriali, non saranno eletti dai cittadini, ma le cui modalità di elezione sono rinviate ad una futura legge ordinaria.
I 95 personaggi in cerca d’autore (per i 5 di nomina presidenziale l’autore è il Capo dello Stato che formerà un suo partitino) non hanno nulla in comune con la tanto evocata Camera delle regioni propria del Cancellierato tedesco (Bundesrat). Infatti, a differenza del sistema tedesco, nella c.d. Camera delle regioni nostrana, non saranno presenti gli esecutivi regionali, ma 100 senatori part time.
Ci troviamo, dunque, in presenza di un Senato debole, sia di fronte alla Camera che al Governo, ma altresì debole nei confronti degli stessi governatori regionali.

4. Kafkiano iter legislativo.
L’iter di formazione delle leggi risulta molto complesso. Si contano circa una decina di diverse modalità di approvazione di una legge, al di là delle leggi monocamerali e bicamerali( leggi costituzionali, leggi in materia di elezione del Senato, referendum popolare e ordinamento degli enti territoriali) . E’ evidente che i valori dell’efficienza e dell’efficacia (oltre che della velocità) su cui si basa il mainstream renziano risultano fortemente ridimensionati e soprattutto la farraginosità delle procedure legislative, presumibilmente, determinerà un elevato contenzioso davanti alla Corte Costituzionale.
Nel marasma legislativo si introduce il controllo preventivo di legittimità costituzionale affidato alla Corte costituzionale limitatamente alle leggi elettorali .
Tuttavia, un piccolo particolare: non è stato definito il rapporto tra sindacato in via preventiva della Corte e sindacato in via successiva. In sostanza, legittimamente ci si domanda: può una legge elettorale essere sindacata anche successivamente e quale sarà il rapporto tra giudizio preventivo e giudizio successivo? Non è dato saperlo…..con “buona pace della certezza del diritto”.

5. Elezione degli organi costituzionali di garanzia.
Il Capo dello Stato è eletto dalla Camera e dal Senato. Inutile dire che, vista la sproporzione di numeri tra le due Camere, sarà la volontà della Camera dei deputati a decidere ed a prevalere. Dal primo al terzo scrutinio, occorrerà la maggioranza dei due terzi dell’assemblea, dal quarto al sesto dei tre quinti dell’assemblea, dal settimo scrutinio saranno sufficienti i tre quinti dei votanti. Come si vede, dal settimo scrutinio la maggioranza è calcolata sui votanti e non sui componenti. Il che significa che dal settimo scrutinio il presidente potrà essere eletto con maggioranze parlamentari ridotte, qualora una o più forze politiche decidano di non presentarsi al voto. Pertanto, aumenta la forza della Camera nella scelta del Capo dello Stato, in raccordo con l’Italicum, e soprattutto il potere del partito che ha la maggioranza grazie al premio elettorale. Strategie di partito sarebbero dunque in grado di far perdere il ruolo di neutralità che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica e la titolarità di quella sua funzione che notoriamente è definita di indirizzo politico di controllo e garanzia, ovvero estranea all’indirizzo politico governante o di maggioranza.
Un discorso analogo, ovvero di potenziale prevalenza del partito di governo nell’elezione degli organi di garanzia, è possibile rappresentarlo per l’elezione della componente laica del CSM che, come è noto, dalla terza votazione è eletta con i tre quinti dei votanti e non dei componenti l’assemblea, come invece avviene per i primi due scrutini.
Infine, per quanto attiene all’elezione parlamentare dei cinque giudici costituzionali appare sproporzionato, vista la diversa composizione quantitativa tra le due Camere, che tre siano espressione della Camera e due del Senato. Al di là di questo dato anomalo, risulta quanto meno singolare che nell’ambito di un organo costituzionale non territoriale (quale la Corte costituzionale) l’elezione di due giudici avvenga da parte di un organo, appunto il Senato, rappresentativo, nel progetto di riforma, le istituzioni territoriali.

6. Il c.d. Statuto delle opposizioni.
Nel nuovo art. 64 del progetto di riforma, è introdotta una modifica: i regolamenti delle Camere garantirebbero i diritti delle minoranze parlamentari ed il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni. I regolamenti parlamentari sono approvati a maggioranza assoluta, ovvero con il 50% per cento dei componenti l’assemblea, il che significa che, ancora una volta, in relazione con l’Italicum, sarà il partito di maggioranza, che sostiene il Governo, a decidere quando e quali poteri e garanzie concedere all’opposizione. I diritti delle opposizioni risultano ostaggio delle maggioranze (sic!), sottoposti ad un possibile ostruzionismo della maggioranza.

7. Democrazia diretta o partecipativa.
Per l’iniziativa legislativa popolare l’inganno è evidente: si innalzano le firme richieste da 50.000 a 150.000 con il pretesto che poi i testi redatti dai cittadini abbiano un percorso certo. Ancora una volta questo percorso certo, sia per l’esame che per la votazione, è riservato alla competenza dei regolamenti parlamentari, per cui valgono le considerazioni di cui al punto precedente. Al buon cuore del partito di maggioranza decidere sulle sorti della democrazia partecipativa e diretta . In merito all’istituto referendario, si aggiunge, accanto a quella esistente, un’altra procedura con un altro quorum. Infatti, in caso di sottoscrizione della proposta, da parte di 800 mila elettori sarà sufficiente per la validità del referendum la maggioranza dei votanti all’ultima elezione della Camera dei deputati. Si tratta di una norma che, con il secondo quorum, intenderebbe, rispetto al testo attuale, facilitare la validità del referendum. Tuttavia, va ricordato che il vero nodo dell’esito referendario è la sua effettività, consentire che la volontà referendaria sia in seguito recepita dall’organo legislativo .
Sul punto va ricordata la recente sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale con la quale si annullavano norme tese a negare l’esito dei referendum del 2011 contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali, compresa l’acqua . In quell’occasione la Corte, nell’annullare tali norme, ribadiva anche il principio del vincolo referendario, ovvero il principio secondo il quale la sovranità popolare (art. 1 Cost.) che si esprime anche attraverso gli istituti della democrazia diretta e partecipativa prevale e vincola il legislatore ovvero incide sulla sovranità statuale o legislativa.
Una reale volontà a valorizzare gli istituti della democrazia partecipativa e diretta avrebbe spinto a valutare ipotesi quali il referendum confermativo e il referendum propositivo, sdoganando il referendum soltanto dalla sua forza demolitoria di abrogazione delle leggi.
Ad oggi, nella storia repubblicana, su 197 richieste di referendum nazionali, il 66% non è neppure arrivato al voto. Negli altri casi, sono stati il quorum o il parlamento a vanificare la volontà di decine di milioni di italiani.
Discorso analogo riguarda le leggi di iniziativa popolare per le quali la riforma Boschi triplica il numero delle firme necessarie, nonostante dal 1979, solo l’1,15% di quelle depositate siano state approvate dal parlamento.
Anche senza modificare la Costituzione, basterebbe un Referendum Act che con legge ordinaria garantisse l’informazione, semplificasse le procedure, consentendo di firmare on line, ampliando la platea degli autenticatori.

8. La democrazia partecipativa oltre il referendum.
I referendum del 2011 sui beni comuni e contro il nucleare, caratterizzati da un’ ampia partecipazione, hanno arrestato il processo di privatizzazione bipartisan lanciato sin dagli anni novanta. Tuttavia, il referendum abrogativo rimane comunque uno strumento di mediazione della sovranità dello Stato; è comunque uno strumento che non si può fare interprete in toto della democrazia partecipativa e/o diretta, in quanto risulta sempre governato e gestito, nei suoi esiti, dalla sovranità statuale, piuttosto che dalla sovranità popolare.
E’ comunque uno strumento “concesso dall’alto” e proprio “dall’alto” ne può essere depotenziata la sua efficacia, la sua portata. Tende ad essere uno strumento ancellare della democrazia della rappresentanza, che lo utilizza per smaltire le sue tossine .
La prova ne è l’esito dei referendum del 2011, assolutamente depotenziati, nei loro effetti dalla sovranità statuale. L’abrogazione, quale effetto del referendum come previsto dall’articolo 75 della Costituzione, può assumere caratteri della democrazia partecipativa soltanto se si innesta in un binario democratico più ampio, che si articola in analisi, proposta, conflitto, dissenso, lotta.
Si ragioni dunque su forme di autogestione e di auto rappresentazione e, come si è detto, su altre forme referendarie più incisive di quella abrogativa sotto il profilo della dimensione partecipativa.

9. Ripartire dai beni comuni
La battaglia referendaria dovrà rappresentare l’occasione per far ripartire con vigore la battaglia sui beni comuni. Il fil rouge di un programma di sinistra altermondialista non può che ripartire della categoria giuridica dei beni comuni, quale baluardo per fronteggiare “l’esproprio dei diritti fondamentali” . Attraverso i beni comuni, ci si sradica dal rapporto proprietario di natura esclusiva, consentendo alle comunità di accedere e fruire dei beni. I beni pubblici, attraverso i beni comuni, non vanno più intesi come beni di proprietà di soggetti pubblici, ma piuttosto come beni di appartenenza collettiva e diffusa. Le istituzioni pubbliche sono coinvolte nella gestione dei beni comuni, in quanto enti esponenziali di interessi generali, non in quanto proprietari e sono titolari di un potere dispositivo limitato sul bene che non consentirebbe di orientarlo al mercato, attraverso gestioni di natura privatistica. Si tratta di un programma politico forte che non è pensabile di realizzarlo soltanto con intereventi legislativi (da circa un decennio il progetto della commissione Rodotà langue negli uffici del Parlamento), stante la sfiducia nella democrazia della rappresentanza, o in istituti di mediazione della sovranità statuale quali il referendum e le proposte di iniziativa legislativa popolare. Tuttavia, neppure è immaginabile l’esodo dalle istituzioni. Le strade oggi, se non si vuole rimanere nel pantano delle strategie da ceto politico, sono quelle tese a intercettare e frequentare il conflitto, l’antagonismo, ma anche l’agonismo . Occorre in una dimensione locale e di prossimità della democrazia, sperimentare, così come si sta facendo in diverse realtà locali, pratiche “dal basso” di auto rappresentazione e autogestione .

10. A mò di conclusioni.
Si potrebbero porre all’attenzione del dibattito tante altre considerazioni – negative – sulla riforma, come ad esempio che:

  • non è vero che scompaiono le province, ma soltanto che si toglie ad esse la copertura costituzionale e che quindi potrebbero continuare ad esistere fintanto che non lo voglia il governo;
  • sono introdotte, con il progetto di riforma, disposizioni proprie di un federalismo competitivo che nulla hanno in comune con il nostro impianto di regionalismo collaborativo. Ad esempio, la clausola di supremazia statale, che attribuisce sostanzialmente al governo il potere di decidere quando c’è l’interesse nazionale, e che consente allo Stato di legiferare anche in materie di competenza esclusiva delle regioni;
  • la norma che attribuisce al Governo il potere di imporre alla Camera dei deputati di deliberare entro settanta giorni su disegni di legge governativi, dichiarati prioritari, attribuisce all’Esecutivo la possibilità di dettare l’agenda politica: tempi e contenuti, relegando il Parlamento in un angolino.

Queste veloci riflessioni, che meritano ovviamente ulteriori approfondimenti, non vogliono assolutamente apparire come il desiderio di un ritorno al passato o come il rimpianto del proporzionale o del Parlamento, quale luogo esclusivo della rappresentanza.
L’idea di fondo è evidenziare la singolarità di un processo di così ampie proporzioni promosso da un Parlamento sul quale pesa una sentenza della Corte costituzionale che sostanzialmente lo delegittima, perlomeno per progetti così ambiziosi, articolati e complessi. Si è voluto evidenziare come il combinato riforma elettorale-riforma Renzi-Boschi configuri un modello fondato sulla tirannia della maggioranza , nel quale gli stessi organi di garanzia non sono messi in condizione di operare come strumenti di pesi e contrappesi .
I cittadini italiani devono essere consapevoli, alla vigilia della campagna referendaria, allorquando in ottobre saranno chiamati alle urne per confermare o meno la riforma, che li si propone un modello del tutto originale per le democrazie occidentali, e comunque ben distante dai principi fondativi della nostra architettura costituzionale, quali la partecipazione democratica, la rappresentanza politica, l’equilibrio tra i poteri.

11. Il referendum confermativo: attenti all’ennesimo inganno!
Il disegno di legge di revisione costituzionale potrà essere approvato definitivamente dalla camera non prima del 14 aprile 2016. La legge potrà essere pubblicata in G.U. il 18 aprile 2016. Si potrebbe verificare che la richiesta di referendum sia richiesta da parlamentari filo governativi di 1/5 dei componenti di Camera e Senato. La Cassazione si potrebbe accontentare di questa richiesta e potrebbe non attendere i tre mesi previsti per eventuali. Già il 22 aprile 2016 la cassazione potrebbe ammettere la consultazione.
A questo punto, il primo Consiglio dei ministri potrebbe convocare le Camere tra i 50 ed i 70 giorni, appunto il 19 giugno 2016 (Election day).
Il referendum confermativo, in quanto strumento di tutela delle opposizioni e delle minoranze, dovrebbe essere generato da un impulso o delle opposizioni parlamentari o dei cittadini.
In sostanza, anche se la Cassazione dovesse dare il via libera, dopo la richiesta di parlamentari filo governativi, il governo dovrebbe attendere i tre mesi previsti dalla Costituzione, aspettando l’iniziativa dei cittadini e quindi la raccolta di 500.000 firme ad opera del Comitato per il No. In questo caso, il referendum non si potrebbe tenere prima del 18 settembre 2016.

12. Vademecum per il cittadino in vista del referendum costituzionale
I cittadini devono sapere che:

  1. il rafforzamento dell’esecutivo, la stabilità, la governabilità non richiedono necessariamente la devastazione della nostra forma di governo e dei suoi principi fondativi, anzi, Esecutivi forti necessitano di opposizioni forti;
  2. l’uscita dal bicameralismo perfetto o paritario non significa mascherarlo con un mocameralismo di fatto, accompagnato da una Camera di zombie.
  3. con la riforma non si attribuisce la governabilità ad una maggioranza. Infatti, a governare sarà un partito che al secondo turno si trova ad avere il 55% dei seggi, anche rappresentando il 20% degli italiani
  4. con la riforma non si eleva il grado di efficienza e governabilità. Il procedimento legislativo diventa molto più farraginoso. Sono previste circa 10 procedure legislative!! Si ipotizza un aumento del contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale.
  5. con la riforma non sono soppresse le province. Infatti, viene meno la loro copertura costituzionale, ma il governo deciderà con legge ordinaria se sopprimerle o meno.
  6. con il nuovo regime delle competenze Stato-regione, non si ridurrebbe l’elevato tasso di contenzioso davanti la Corte costituzionale. Il federalismo competitivo aumenta i conflitti, in particolare con la clausola dell’interesse nazionale od anche supremacy clause, che da la possibilità al governo di stabilire quando c’è un interesse nazionale ed il potere di legiferare nelle competenze regionali.
  7. con la riforma si verifica una forte compressione delle opposizioni. Quindi sostanzialmente della rappresentanza, così come della democrazia partecipativa.
  8. gli organi di garanzia quali il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale saranno risucchiati dalla maggioranza.

Se malauguratamente, dovesse passare questa riforma, sarà molto più semplice per il partito-governo-maggioranza parlamentare (minoranza nel Paese) incidere di fatto, con leggi ordinarie, e perché no, con buona pace di Kelsen, con regolamenti, anche sulla prima parte della Costituzione: sulla scuola, sul lavoro, sulla salute, sull’informazione, sulla previdenza… sullo Stato sociale.

Alberto Lucarelli
Ordinario di Diritto Costituzionale
Università di Napoli Federico II
*Relazione introduttiva, Coordinamento Democrazia Costituzionale
Napoli, Lunedì 18 gennaio 2016

 

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