L’aeroporto di Comiso (re)intitolato a Pio La Torre

09 Giu 2014

Sabato 7 giugno l’aeroporto di Comiso è stato intestato a Pio La Torre, il dirigente comunista ucciso da Cosa nostra il 30 marzo 1982, insieme al suo compagno Rosario Di Salvo. In effetti, si tratta di una reintestazione, perché già l’aeroporto gli era stato intitolato sette anni fa, con una decisione poi revocata dal presidente della regione Raffaele Lombardo…

200px-Pio_la_torreSabato 7 giugno l’aeroporto di Comiso è stato intestato a Pio La Torre, il dirigente comunista ucciso da Cosa nostra il 30 marzo 1982, insieme al suo compagno Rosario Di Salvo. In effetti, si tratta di una reintestazione, perché già l’aeroporto gli era stato intitolato sette anni fa, con una decisione poi revocata dal presidente della regione Raffaele Lombardo, nello scorso febbraio condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.

Già per questo si tratta di una vicenda paradigmatica e d’altronde è tale la serie di avvenimenti che condussero all’assassinio di Pio e di Rosario.

Nel 1981, in anni di durissima contrapposizione tra i due blocchi guidati da Urss e da Usa, era stata decisa dai due schieramenti l’installazione di missili nucleari e, in particolare, fu scelto, quale loro base, l’aeroporto di Comiso. In quell’agosto, assumendo l’incarico di segretario del Pci in Sicilia, La Torre dichiarò che la lotta contro la mafia e la battaglia per la pace e contro l’installazione dei missili sarebbero stati i punti-cardine della sua politica. Su queste premesse, ebbe la straordinaria capacità di tessere una rete di alleanze che superò gli ambiti dei partiti, delle generazioni, delle idee politiche e delle fedi religiose. Instancabilmente promosse la convergenza delle coscienze migliori, lanciò parole d’ordine e campagne che suscitarono incredulità iniziale nel suo stesso partito, colse con grande lucidità i connotati del nuovo sistema di potere intrecciato tra mafia, politica corrotta e affarismi. Per esempio, denunciò la “scalata”, da parte di un misconosciuto commercialista palermitano, di una notissima azienda dolciaria piemontese con fondi delle cosche (come anni dopo fu accertato giudizialmente) e promosse la raccolta di un milione di firme contro l’installazione dei missili. E le firme, vere e non virtuali, furono apposte a una a una nei posti di lavoro, nelle piazze, nei condomini, nelle parrocchie, nei circoli Acli e non solo nelle sezioni comuniste, con una straordinaria mobilitazione anche di quella che poi si sarebbe chiamata società civile. Firmarono parroci e operai; sindacalisti e imprenditori; politici democristiani, comunisti, socialisti e repubblicani; impiegati e studenti. Firmarono 1 milione di persone e non qualche decina di migliaia di internauti.

Frattanto, nel novembre 1981, a seguito dell’iniziativa di La Torre, il ministro dell’interno dovette sostituire il questore di Palermo dell’epoca, perché iscritto alla P 2. Nel successivo marzo, La Torre, insieme a una delegazione parlamentare comunista, incontrò il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, per consegnargli un documento contenente proposte operative per il contrasto alla mafia e per chiedergli l’invio in Sicilia, sconvolta da una guerra tra le cosche e delle cosche contro lo Stato, del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, dotato di poteri pubblici speciali. Il generale fu nominato prefetto di Palermo ai primi di maggio, ma i poteri speciali di Alto Commissario contro la mafia furono attribuiti al suo successore, giacché dalla Chiesa fu ucciso dopo sei mesi, insieme alla moglie Emanuela.

Prima, il 4 aprile, si tenne un’imponente manifestazione pacifista a Comiso. Pio La Torre era lì, radioso, alla testa di un lunghissimo corteo arcobaleno e non solo rosso. Sulle labbra aveva quel sorriso di gioia quasi infantile che da tanti anni gli conoscevo e che mi sembrò di rivedergli anche il 30 aprile, con il corpo crivellato accanto a quello del fido Rosario. Non arrivò a sorridere, invece, per l’approvazione a lui postuma della legge che aveva proposto per l’introduzione, tra l’altro, del reato di associazione di stampo mafioso, dell’art. 416 bis del codice penale e della normativa per l’espropriazione dei patrimoni accumulati dalla mafia, colpendola così nei gangli vitali dei suoi interessi economici con la stessa intuizione che maturò in sede giudiziaria Giovanni Falcone.

Ecco: nell’originaria intestazione dell’aeroporto a Pio La Torre, nella successiva revoca e, infine, nella nuova intestazione a quel grande combattente e costruttore di alleanze, si trova il paradigma anche di uno Stato attaccato, di uno Stato che resiste, di uno Stato che tratta, di uno Stato nel quale vincono comunque i valori della democrazia e della costituzione. Quei valori per i quali Pio è caduto vincendo, lasciandoli in eredità quali esempio per tutti, com’è attestato nel decreto con cui gli è stata conferita la medaglia d’oro al merito civile: “Fulgido esempio di elevatissime virtù civiche e di rigore morale fondato sui più alti valori sociali spinti fino all’estremo sacrificio”.

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