DIRE che Filippo Penati è un gran furbetto è fargli un complimento. Sulla rinuncia alla prescrizione aveva assunto un impegno, giudiziario, politico, morale. Lui, uomo in vista nel Pd, fino a essere il braccio destro di Bersani, aveva dato la sua parola. Aveva garantito che non si sarebbe avvalso della legge Severino, una legge profondamente sbagliata, che ha scisso il reato di concussione e ne ha “figliato” uno assai più debole, la corruzione per induzione, meno punito e quindi più rapidamente prescrivibile. Una modifica che ha diviso il Pd e che ha attirato sospetti su chi era favorevole. Quando la legge è stata approvata, se ne sono compresi subito i frutti avvelenati. S’è fatto il conto dei processi che sarebbero saltati ed è venuto a galla il caso Penati. È così serpeggiato il dubbio che la modifica della prescrizione potesse portare anche il suo nome. Penati, già sotto processo, ha subito gridato che l’accusa era infondata, perché lui, al momento giusto, avrebbe pronunciato la magica parola “io rinuncio”. Invece, quando il giorno giusto è arrivato, quando il giudice ha chiesto se Penati rinunciava alla prescrizione, l’ex presidente della Provincia di Milano non c’era. Ormai è tardi, ma con Penati prescritto, resta una macchia anche sul Pd. Possono lavarla il premier Renzi e il Guardasigilli Orlando con le prime due leggi da fare, il passo indietro sulla legge Severino e l’orologio della prescrizione fermato quando parte l’azione penale. Altrimenti è inutile vantare la collaborazione di magistrati come Gratteri o Cantone.
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