Sulla democrazia interna dei partiti politici. Milano, 24 novembre 2012

30 Nov 2012

I partiti – diceva Calamandrei – da libere associazioni di volontari credenti si sono trasformati in eserciti inquadrati da uno stato maggiore di ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente: nei quali a poco a poco si spegne lo spirito dell’apostolo e si crea l’animo del subordinato, che aspira ad entrare nelle grazie del superiore. Leggi la proposta di Filippo di Robilant “Costruiamo i presidi a difesa della Costituzione”

1.- Cosa ci aspettiamo, noi di LeG e tutti noi che siamo qui riuniti, dai partiti politici? I partiti, come tutti sappiamo, sono  quelle organizzazioni tutelate dalla Costituzione  che esercitano nel nostro paese le fondamentali funzioni di scegliere il personale politico e di determinare le linee politiche e programmatiche che poi vengono trasferite nelle sedi istituzionali.
2.- Dai partiti noi ci aspettiamo essenzialmente questo, che imparino dagli errori (e orrori) del recente passato. I cittadini italiani – che sono i veri titolari del “diritto di associarsi liberamente in partiti” riconosciuto dalla Costituzione – hanno assistito ad una vera degenerazione della forma partito, culminata in manifestazioni estreme e impensabili:  la appropriazione a fini personali dei soldi pubblici assegnati, da norme troppo generose, ai partiti politici;  finanche la difesa della presenza di soggetti condannati in Parlamento, sulla base dell’argomento che anche il paese ha la sua quota di delinquenti! O, appena ieri, la rivolta di primari esponenti del PDL contro la pretesa di un candidato alle primarie di quel  partito di escludere dalla competizione gli indagati.
3.- Questo stato di cose ha origini lontane: già nel 1956 Piero Calamandrei osservava che il fenomeno del “professionismo politico” era foriero di gravi rischi per la democrazia: i partiti – diceva Calamandrei – da libere associazioni di volontari credenti si sono trasformati in eserciti inquadrati da uno stato maggiore di ufficiali e sottufficiali in servizio attivo permanente: nei quali  a poco a poco si spegne lo spirito dell’apostolo e si crea l’animo del subordinato, che aspira ad entrare nelle grazie del superiore. Poiché la sua elezione, dalla quale dipende il suo pane, dipende non dagli elettori, ma dai funzionari di partito. E ciò non può che portare ad uno scadimento sia morale che tecnico.
4.- Calamandrei avevo lo sguardo lungo: oggi ci troviamo di fronte alla necessità di porre rimedio al degrado democratico che lui paventava. La mancanza di democrazia interna dei partiti, lo spreco e l’abuso dei soldi pubblici, il distacco rispetto ai cittadini, che vengono chiamati ormai – con il Porcellum – semplicemente a mettere un timbro di conferma su scelte nelle quali non hanno alcuna parte, le caratteristiche di incompetenza e spesso di impresentabilità etica di troppi tra gli eletti sono alla radice del rifiuto e del disgusto di molti cittadini per la politica.
5.- A questo occorre porre rimedio, dando finalmente attuazione all’art.49 della Costituzione, che prevede che i partiti concorrano con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Molti soci e circoli di Libertà e Giustizia ci fanno regolarmente pervenire petizioni ai partiti ed elenchi di requisiti che chiedono ai partiti di rispettare, come condizione per poterli votare. Gli elementi comuni – e dunque ciò che i cittadini considerano come priorità indispensabili – battono sempre su alcuni punti: i candidati devono dimostrare competenza, assenza di condanne penali di qualsiasi tipo, trasparenza quanto ai loro redditi, dedizione disinteressata alla politica. A proposito: una norma di recente introdotta prevede l’incandidabilità dei condannati in via definitiva; ma noi riteniamo inaccettabile essere rappresentati in Parlamento o in un ente locale da persone condannate per reati di rilievo anche solo in primo grado! E vogliamo che i partiti, indipendentemente da qualsiasi legge, prevedano questa incandidabilità.
6.- Ormai esiste un vasto consenso tra i costituzionalisti a favore di una legislazione che dia finalmente attuazione all’art.49 della Costituzione; una legge che preveda che l’organizzazione interna dei partiti deve ispirarsi ad un metodo democratico e che ciò sia condizione per accedere al finanziamento pubblico: vogliamo partiti nei quali le decisioni sulle candidature e sui programmi siano frutto non di un leader “carismatico” e di approvazioni plebiscitarie, bensì della partecipazione dei cittadini alla vita e alle decisioni dei partiti medesimi.
Che il finanziamento pubblico sia di misura ragionevole, parametrata alle effettive esigenze di svolgimento dell’attività politica e soggetto a controlli esterni, sulla base di bilanci trasparenti e della precisa responsabilità dei soggetti delegati a gestire questi soldi.
Che gli Statuti dei partiti prevedano una presenza paritaria delle donne, grande serbatoio di talenti e di risorse vergognosamente trascurato nel nostro paese.
Che sia limitato a due il numero di mandati che possono essere ricoperti da un candidato, in qualsiasi tipo di organo elettivo. Perché la politica deve tornare ad essere, almeno in buona misura, fatta da persone disinteressate e indipendenti e devote solo al bene comune.
Ma sappiamo bene che le leggi sono necessarie ma non sufficienti. Noi chiediamo anche che cessi l’occupazione lottizzata delle Autorità (che dovrebbero essere) indipendenti, delle municipalizzate, degli enti di ogni ordine e natura, della RAI fatta non sulla base di capacità e motivazione, bensì di appartenenza e fedeltà al partito.
Chiediamo troppo? Ma noi ci crediamo!

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